Amhed muore di freddo, aveva solo un anno

Al confine Bielorussia-Polonia si consuma un altro dramma, tra l’indifferenza dell’Europa comunitaria, muore un bambino di origini siriane, di freddo e fame. Aveva solo un anno. Sono decine i morti in questa terra di nessuno. Sono migliaia i “fratelli” abbandonati in questo inferno senza via di uscita.

Amhed aveva solo un anno. È morto di freddo. È morto di fame. È morto. Nella foresta, dove era confinato da sei settimane insieme ai suoi genitori. Insieme ad altre migliaia di “fratelli e sorelle” bloccati dalla disumana indifferenza dei governi europei che hanno ripudiato l’umana pietas. Quel sentimento che è parte di ognuno di noi e ci fa accorrere in soccorso delle persone in difficoltà, di qualsiasi religione o razza. Amhed è morto, di freddo, aveva solo un anno. Tra le braccia dei genitori feriti e impossibilitati a muoversi. Bloccati da un esercito forte di più di ventimila uomini. Inviati dal governo polacco per chiudere la frontiera. Per giocare con la Bielorussia un gioco mortale sulla pelle dei fratelli che fuggono dalla guerra siriana, afghana, libica e tante altre guerre. Un gioco politico in cui la diplomazia dello scontro tra governi, investe l’Europa che invece di intervenire resta a guardare. Tutti sanno. Tutti fanno finta di non sapere. Intanto migliaia di fratelli muoiono. Così muore Amhed, di freddo. Così muore Amhed, di fame. Così muore l’Europa dei popoli e della solidarietà che non è mai nata. Così, ancora una volta, l’Europa della finanza vince e cancella l’umana pietas che ci rende umani e fratelli tutti.

Amhed, è morto di freddo , alle 2,26 del mattino. Non mangiava da giorni. Non aveva da mangiare da settimane. Eppure, sul confine, davanti a quei reticolati, c’erano ventimila soldati in assetto di guerra. C’erano cani addestrati a sbranare chi oltrepassava quei reticolati. Una versione moderna dei campi dì concentramento. Una versione uguale di genocidio. Nulla è cambiato. Tutto è restato uguale. E quei campi di sterminio, lasciati lì per futura memoria, altro non sono che la riproposizione della follia umana, che lascia morire di freddo e fame un bambino di un anno, che si chiamava Amhed. Loro, i soldati in assetto di guerra, hanno tutti più di un pasto caldo e giubbotti imbottiti. Tutti, loro, i soldati in assetto di guerra, hanno le coperte, le tende, per ripararsi dal freddo. Ma loro, tutti quei ventimila soldati in assetto di guerra, hanno lasciato morire di freddo, nella foresta, il piccolo Amhed di un anno. Tutti, loro, i ventimila soldati in assetto di guerra, hanno lasciato morire di fame, nella foresta, il piccolo Amhed, che aveva solo un anno. Tutti, loro, i ventimila soldati in assetto di guerra, sapevano, che in quella foresta c’era il piccolo Amhed, di solo un anno. Abbracciato ai genitori feriti, da giorni. Loro, sapevano, ma sono rimasti davanti a quel filo spinato, con i loro cani che abbaiavano ad ogni movimento. Intanto, dentro la foresta, Amhed, che aveva solo un anno, moriva di freddo. Moriva di fame. Tra le braccia ferite dei suoi genitori. Moriva Amhed, aveva solo un anno, davanti a ventimila soldati in assetto di guerra, che non porgevano le mani per aiutare ma tenevano i cani, pronti a lasciarli andare, se solo, i genitori feriti di Amhed, avessero provato ad avvicinarsi. Amhed è morto, di freddo. Aveva un anno. Nessuno lo ha aiutato a sopravvivere. È morto in Europa. Nella foresta tra il confine bielorusso-polacco. È morto, ma non piangeva più da giorni. Era morto dentro già da tempo. Lo teneva in vita il fiato caldo di sua madre, nostra sorella, ferita, che da sei settimane cercava aiuto tra il fango, la fame e il freddo. Non aveva più nulla, la madre del piccolo Amhed. Aveva la forza di madre di tenersi tra le braccia il figlio morente. Aveva la forza di guardalo morire per non farlo sentire solo, in quella foresta di lupi pronti a sbranarlo. La forza della madre, che stringe il figlio di un anno, mente muore, e lo guarda morire, accarezzandogli le guance rosse e fredde. Amhed muore, a solo un anno, di freddo, nella foresta davanti a ventimila soldati in assetto di guerra…

di Claudio Caldarelli

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