Silvio Mirarchi: un esempio per tutti noi

Un uomo che ha indossato la divisa e con la divisa ha dovuto indossare la maschera del duro. Un uomo che ha trascorso la vita al servizio dei cittadini. La vocazione dell’Arma, una missione, un sentire speciale che ti porta a diventare un carabiniere speciale. Un carabiniere nato, un collega da esempio. E convivere con la paura fa parte del mestiere.

Accompagnato dalla competenza, dalla professionalità, dal buon cuore, ma soprattutto dal coraggio. Magari di incarichi delicati, di operazioni pericolose con quella divisa ne avrà ricoperti tantissimi. Magari lui e l’Arma sarebbero invecchiati insieme, da eroe nella lotta alla criminalità a servitore fedele dello Stato. Ha donato la sua vita al servizio dell’Arma, prima ha imparato, poi si è addestrato per garantire la sicurezza a tutti. Una vita spesa per la famiglia e l’Arma. Una vita di sacrifici, fatti di persona e fatti fare alla moglie per chi fa un mestiere duro come il suo. Un carabiniere, anche un carabiniere “normale” rischia, per strada, a un posto di blocco. Un uomo concreto, non ha mai fatto che del bene nella sua breve esistenza, pronto a comprendere le esigenze della gente e farle valere i diritti.

È il momento di raccontare la sua storia.

È la notte del 31 maggio 2016. Sono circa le 23.00. Avrebbe dovuto essere una notte come le altre. Una di quelle notti in cui il militare svolgeva il suo servizio. Era con un collega. Stava facendo un appostamento nei pressi di una serra dove viene coltivata cannabis nelle campagne di Marsala in provincia di Trapani. I due in pattuglia si erano fermati perché attirati da alcuni rumori in quella zona di campagna buia. Hanno notato qualcosa e sono scesi dall’auto. Una volta intimato l’alt e dopo essersi identificati come carabinieri sono stati esplosi diversi colpi di pistola. Mirarchi era in borghese, gli hanno sparato alle spalle, anche se quella sera non era in servizio antidroga. È stato colpito alla schiena. Un proiettile lo ha raggiunto al rene, l’altro gli ha perforato l’aorta. Avrebbe perso molto sangue. Subito la corsa in ospedale a Marsala e poi il tentativo disperato di salvargli la vita all’ospedale di Palermo, dove era stato trasportato d’urgenza per un lungo intervento chirurgico, ma non ce l’ha fatta. Non c’è stato nulla da fare. Mirarchi è morto il giorno dopo.

Un brutale agguato. Silvio Mirarchi aveva 53 anni, sposato e due figli. Un delitto feroce, un delitto che spegne la vita di un militare per il quale l’Arma era tutto. Una notizia scioccante, sconvolgente che ha scosso tutti. L’omicidio del maresciallo dei carabinieri avvenuto a Marsala, in contrada Ventrischi, la notte del 31 maggio. Mirarchi, calabrese, originario di Catanzaro, vice comandante della stazione di Ciavolo, è morto l’1 giugno 2016 in seguito alle ferite gravi riportate nel corso di una sparatoria, mentre si trovava in appostamento con un collega e stava effettuando un servizio di controllo nelle campagne di Marsala, in una zona molto periferica, non illuminata, nei pressi di una serra di marijuana.

Una zona in cui la coltivazione di cannabis si era fatta troppo imponente. La provincia di Trapani infatti si è rivelata la capitale delle coltivazioni di marijuana ed ha quindi il primato in Italia. È un business illegale in espansione, l’oro verde che fa ricchi i trafficanti. Un business milionario che aumenta sempre di più, soprattutto in Sicilia, soprattutto in provincia di Trapani. In questo business i signori della marijuana fanno affidamento sui piccoli agricoltori in crisi che affittano i terreni a poco prezzo. Dove una volta c’erano ortaggi e verdure adesso c’è la marijuana. Dove c’erano i vigneti, le serre in cui si coltiva l’oro verde. In Italia nel 2016 sono triplicati i sequestri di piante di marijuana rispetto all’anno precedente. Attorno alla droga, alle piantagioni di cannabis sono avvenuti delitti e fatti di sangue raccapriccianti. Si spara per difendere una piantagione, si ammazzano uomini come fossero animali. Si spara, si combatte e si muore per la coltivazione di queste piantine.

Le indagini, dopo l’omicidio dell’esponente dell’Arma, non si sono fermate per fare piena luce sui tragici eventi di quella notte e hanno permesso di scoprire come in quelle zone è molto attiva l’attività criminosa legata alla coltivazione di marijuana. I controlli si sono intensificati soprattutto dopo la sua uccisione e si sono susseguiti sequestri ed arresti. Accusato di omicidio è Nicolò Girgenti, bracciante agricolo di Marsala, ritenuto anche uno dei gestori della piantagione di marijuana. Oltre all’emissione di una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere per Girgenti, segue l’arresto di Fabrizio Messina Denaro, noto come Elio, castelvetranese. Girgenti e Messina Denaro sono accusati di produzione e traffico di sostanze stupefacenti. Fu proprio quest’ultimo a proporre al vivaista marsalese di cedere l’utilizzo delle serre a Francesco D’Arrigo, che ne avrebbe curato in prima persona la coltivazione, immediatamente individuato e arrestato la notte del delitto.

Sono quindi venuti fuori alla fine gli elementi per arrivare a chi, quel martedì sera del 31 maggio, avrebbe sparato, ferendolo a morte, al maresciallo Silvio Mirarchi, vice comandante della stazione dei carabinieri di contrada Ciavola a Marsala. Aveva 53 anni, moglie e due figli quando è stato ucciso. Ucciso nell’agguato davanti ad una serra. È inaccettabile che un esemplare servitore dello Stato venga ucciso nel corso della propria attività di perlustrazione. Ancora una volta un altro lutto, che vede cadere un altro carabiniere, un servitore di uno Stato che non ha saputo proteggerlo. I colleghi lo hanno definito “un uomo solido” ed è un esempio per tutti noi.

Solo il tempo riuscirà a trasformare il dolore di chi lo ha tanto amato nell’orgoglio di aver avuto un padre, un compagno, un amico, un collega che ha donato la vita per il grande senso del dovere.

di Maria De Laurentiis

Print Friendly, PDF & Email