L’unica operazione speciale è la Pace

Constatato che non si può parlare della guerra in Ucraina senza aver prima fatto una premessa sull’aggressore, inizio col dire che il Paese ex sovietico è stato attaccato dalle truppe di Mosca.

Continuo affermando che le ragioni adottate da Putin per la sua “operazione speciale” – e cioè la necessità di proteggere le popolazioni russofone e denazificare il Paese guidato da Zelensky, che pure trovavano riscontri nell’oggettiva persecuzione di molti cittadini ucraini e nella presenza attiva, internazionalmente riconosciuta, di formazioni neonaziste – non giustificano in alcun modo l’invasione in armi del Paese confinante che, piuttosto, si spiega con la nostalgia imperiale che ispira il Cremlino.

Se mi è consentito, però, voglio parlare del ruolo dei Paesi occidentali, del loro braccio armato e delle loro motivazioni.

Evito di dire che quella in corso è una guerra per procura. Anche questa affermazione, infatti, spedisce chi la pronuncia ad ingrossare le file degli accusati di putinismo.

Una considerazione, anche in tempi di informazione embedded, però va fatta. Tra le due parti in guerra la sproporzione di forze è talmente ampia che spingere la parte più debole a continuare, e trascinare, il conflitto significa trattare la popolazione ucraina come carne da macello.

Quando dico spingere alla continuazione della guerra, faccioriferimento alle dichiarazioni del segretario generale della Nato sulla Crimea, distanti da quelle di Zelensky, e all’obiettivo dichiarato di Stati Uniti e Regno Unito: la sconfitta di Putin. Obiettivo rifiutato dal governo ucraino che afferma, invece, di non essere interessato ai destini dei leader.

La naturale, e onesta, conseguenza delle dichiarazioni angloamericane dovrebbe essere l’entrata in guerra a fianco dell’Ucraina.

Non sto affermando che questa scelta sia quella giusta. E nemmeno che sia quella da evitare. Certo è che solo schierando una potenza militare almeno paragonabile a quella russa, gli obiettivi proclamati da statunitensi e britannici possono essere raggiunti. Ovviamente correndo il rischio di un’espansione del conflitto.

Non, beninteso, una guerra mondiale perché, grattando sotto la propaganda, è chiaro che la gran parte dei paesi non occidentali, ma anche gli Stati Uniti, si tiene ben lontana dal conflitto. Ma di una lunga, terribile, guerra combattuta sul suolo europeo.

È questa la scelta che si vuole compiere? Se si, sarebbe bene che i popoli e i Parlamenti ne siano informati.

Se invece non si intendono perseguire passivamente gli interessi geopolitici degli Usa, e quelli del complesso industriale-militare, si smetta di parlare di armamenti e si faccia partire, seriamente, un dialogo volto al cessate il fuoco e alla ricerca di innovativi accordi di pace.

E, già che ci siamo, la si smetta anche di accusare di collusione e tradimento chi, dal Papa in giù, esprime il suo disprezzo per ogni guerra.

Di Enrico Ceci

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