É cambiato qualcosa?

Partono ‘e bastimente

pe’ terre assaje lontane

cantano a buordo:

so’ Napulitane!

Nel 1861 l’Italia, almeno geograficamente, era fatta e Vittorio Emanuele II poteva fregiarsi del titolo di Re d’Italia, anche se mancavano ancora Roma, Trento, Trieste e relativi hinterland. L’Italia c’era quasi tutta ma mancava la capacità di governarla. Basti pensare che dal 1861 al 1922, in appena poco più di 60 anni, si succedettero bel 39 diversi Presidenti del Consiglio, uno ogni 18 mesi e le responsabilità non andavano attribuite soltanto alle insipienze della allora ristretta ed imperante classe politica ma ripartite con la Monarchia e la sua colpevole sottovalutazione dei gravi problemi che sarebbero derivati da una difficile compenetrazione tra due realtà assolutamente diverse l’una dall’altra: nord e sud, settentrione e meridione. Sfatiamo subito un luogo comune che governanti (?) che hanno imperversato nella fine del secolo scorso ed anche nei primi due decenni dell’attuale ci hanno propinato a piene mani: nel 1861 il Sud non beneficiò di nessuna ricchezza del nord. Anzi, sia il napoletano che la Sicilia non avevano debiti pubblici e l’Unità d’Italia obbligò i meridionali a pagare i debiti accumulati dai settentrionali! Ovviamente la questione non si limitava solo all’aspetto finanziario ma, così come tenacemente denunciato sia da Antonio Gramsci che da Gaetano Salvemini,

erano tre le malattie che opprimevano il Sud: uno Stato che accentrava ogni potere, l’oppressione economica esercitata dal nord e la struttura sociale semifeudale che offriva una rigida aggregazione economico-sociale: la grande proprietà terriera, la piccola borghesia ed il proletariato agricolo.

Ed il governo italiano, quel governo che così violentemente aveva schifato il meridione, tanto da far dire al Cavour “Meno male che abbiamo fatto l’Italia prima di conoscerla”, quello stesso governo che stava manifestando tutta la sua incapacità ed inadeguatezza nel gestire una nuova realtà, non riusciva a far altro che creare un solco sempre più profondo tra il nord ed il sud. Altro non restava che l’emigrazione verso terre lontane per cercare una prospettiva di vita. Prima dell’Unità d’Italia emigravano i residenti al nord e, ad esempio, per i genovesi e per i padani le destinazioni prescelte furono Argentina e Uruguay. Negli anni successivi, dal 1876 al 1915, sono emigrati 14 milioni di italiani su una popolazione complessiva, all’inizio del secolo di 30 milioni, mentre dal 1861 al 1985 sono emigrati ben 30 milioni di italiani. Un autentico sterminio demografico! Le destinazioni principali furono gli States, l’America del sud, l’Australia ed il Canada: quelli del nord partivano da Genova, quelli del sud da Napoli. Angherie, soprusi ed umiliazioni patiti dai nostri emigranti restano di difficile narrazione. Negli Stati Uniti si diceva che gli italiani “non erano bianchi, ma nemmeno palesemente negri”. In Australia ne parlavano come “l’invasione delle pelli oliva” senza tralasciare complimenti come: una razza inferiore o una stirpe di anarchici, assassini e mafiosi. Come al solito, la ciliegia sulla torta fu messa dal presidente USA Richard Nixon che, intercettato nel 1973, fu il più chiaro fra tutti. Disse: “Non sono come noi. La differenza sta nell’odore diverso, nell’aspetto diverso, nel modo di agire diverso. Il guaio è che non si riesce a trovarne uno che sia onesto.” Credo che la nausea sia evidente e che non servano commenti!

Nei 39 diversi governi che avevano guidato il paese tra il 1861 ed il 1922 primeggiò, se non altro per le presenze, Giovanni Giolitti (nato a Mondovì 1842 – morto a Cavour 1928) che guidò il governo in 5 diverse occasioni e per oltre 10 anni. I suoi governi furono una manna per il nord Italia ed un autentico disastro per il meridione.

Il modo di far politica di Giolitti fu chiamato del “doppio volto”.   Al Nord “promosse numerose riforme in campo sociale: venne riconosciuta sostanzialmente la validità degli scioperi per motivi economici, venne regolamentato il lavoro femminile e minorile, fu resa obbligatoria l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, regolamentò la sanità pubblica, ricostruì la Cassa nazionale per l’invalidità dei lavoratori, istituì l’ispettorato del lavoro e nel 1912 introdusse il suffragio universale maschile”. Favorì un generale sviluppo delle infrastrutture (basti pensare alla rete ferroviaria, passata dai 6000 km del 1870 ai 18.000 del 1914); “i trafori alpini, lo sviluppo dell’idroelettricità, le grandi opere di bonifica e d’irrigazione consentirono un notevole incremento della produzione in tutti i settori. La produzione del grano e dei vini raddoppiò. Ebbe inizio l’esportazione del cotone; a Torino con la FIAT sorse l’industria automobilistica (1899), seguita poi nel 1910 dall’Alfa Romeo e i grandi colossi industriali dell’Ansaldo e dell’Ilva.” Per il Sud, invece, il discorso fu drammaticamente opposto: qui, a differenza del nord dove aveva favorito le organizzazioni dei lavoratori e non aveva represso gli scioperi, aveva impedito agli avversari politici di tenere i comizi elettorali, si era reso responsabile di falsificazione dei risultati elettorali ed aveva usato la malavita per intimidire gli avversari. Controllò le elezioni politiche e represse duramente le agitazioni contadine, facendo ricorso ai Prefetti, dimostrando, se mai ce ne fosse stato bisogno, che per lui il Sud era solo un serbatoio di voti. Per effetto di quelle politiche, il potere assoluto dei latifondisti rimase incontrastato e non permise lo sviluppo e la democratizzazione del meridione. La stessa borghesia pensò che il servile, pedissequo e sciocco asservimento al potere latifondista le avrebbe garantito il continuo godimento di piccoli benefici, non comprendendo che stavano gettando l’intero meridione nelle mani del clientelismo più sfrenato. Insomma, una manna per il Giolitti! Per lui il Sud era solo un ricco serbatoio di voti. Mancante di una classe imprenditoriale, il Sud rimase agricolo e l’unica valvola di sfogo, come sopra dettagliato, fu una dolorosa e lacerante emigrazione. La piccola e media borghesia del Sud scelse quindi un improduttivo comportamento opportunista che la portò a beneficiare di posti di potere in cambio di un contrasto ad ogni forma di progresso che avrebbe potuto favorire il proletariato agricolo. Del resto, per loro stessa ammissione, il loro vangelo era “dove gli operai industriali mancano ed i contadini sono impermeabili alla propaganda nostra, ivi l’idea socialista o non penetra o, se penetra, si corrompe”.

Gaetano Salvemini, storico, socialista, sicuramente una delle menti più lucide che abbia avuto la cultura e la politica italiana del secolo scorso, così si espresse riguardo al Giolitti: “Nessuno più di lui è stato così brutale, così cinico, così spregiudicato come lui nel fondare la propria potenza politica sull’asservimento, sul pervertimento, sul disprezzo del Mezzogiorno d’Italia; nessuno ha fatto un uso più sfacciato, nelle elezioni del Mezzogiorno, di ogni sorta di violenze e di reati”.   Il Giolitti fu premiato con la non nobile nomea di Ministro della malavita.

Dopo di lui gli avvenimenti assumeranno una tragica velocità e porteranno, in rapida successione, alla I^ Guerra Mondiale, al Biennio Rosso, alla Marcia su Roma, all’avvento del fascismo, all’assassinio di Matteotti, alle leggi fascistissime del 1925 e del 1926.

Scioglimento di tutte le formazioni politiche, associazioni e organizzazioni sulla base della semplice accusa di essere contrarie al regime;
Il Partito Nazionale Fascista unico legale;
Abolizione della libertà di stampa (tutte le testate giornalistiche venivano assoggettate a controllo preventivo e soggette a censura ove osassero criticare il governo);
Il capo del governo rispondeva del proprio operato solo al re d’Italia e non più al Parlamento, che così veniva ridotto a semplice luogo di ratifica degli atti adottati dal potere esecutivo;
Tutte le associazioni tra cittadini venivano sottoposte al controllo delle autorità di Pubblica Sicurezza;
Unici sindacati riconosciuti furono quelli fascisti e furono tassativamente proibiti gli scioperi e le serrate;
Abolizione delle amministrazioni comunali e provinciali elettive e loro sostituzione con Funzionari (Podestà) nominati dal Governo;
Innalzamento del Gran consiglio del fascismo, presieduto da Mussolini, a massimo organo costituzionale del regno d’Italia;
Istituzione del Tribunale Speciale per la difesa dello stato;
Istituzione del confino di polizia per gli antifascisti;
Istituzione dell’OVRA, la polizia segreta del fascismo;
Obbligo per tutti gli insegnanti di iscriversi al Partito Nazionale Fascista;
Istituzione del MinCulPop (Ministero della Cultura Popolare);
Unico libro di scuola fascista;
Nel 1938 emanazione delle immonde leggi razziali.

Il 25 aprile del 1945 finirà il martirio del popolo italiano, la partecipazione alla vita politica ritorna ad essere anelito dei viventi e verrà salutata con entusiasmo da coloro che ritornarono ad assaporare la fragranza della libertà.

Continua

di Pietro Lucidi