Il Giorno di Colombo

In coincidenza con l’anniversario della scoperta dell’America, è stata diffusa la notizia che alcuni ricercatori dell’Università di Granada, in base ad analisi del DNA effettuate su alcuni resti di Cristoforo Colombo e di suo figlio, sostengono che il celebre navigatore non era genovese – come ritiene la maggioranza degli storici – bensì spagnolo e di origini ebraiche.

Non so se questa affermazione sia vera, ma non mi sembra particolarmente interessante, se non per gli storici, la secolare disputa tra Italia, Spagna, e anche Portogallo, sulla nazionalità del personaggio. Insomma, non mi straccerei le vesti se fosse accertato che non sia annoverabile tra le glorie del nostro Paese.

Ritengo più importanti, invece, le difformità di giudizio sulla figura di Colombo, emerse con forza soprattutto negli ultimi decenni. Vi sono infatti due posizioni, radicalmente opposte: una – che potremmo definire “tradizionale” – gli attribuisce grandissimi meriti per il progresso delle conoscenze e per lo sviluppo dell’umanità; l’altra – in qualche modo “rivoluzionaria” – gli imputa la colpa di tutti (o quasi) i crimini commessi all’inizio dai conquistadores spagnoli e in seguito dai colonizzatori anglo-sassoni nei confronti delle popolazioni indigene, barbaramente sterminate.   

La prima ha determinato considerevoli effetti, a partire dal fatto che la data del 12 ottobre 1492, cioè dell’approdo nel Nuovo Mondo, sia stata scelta come spartiacque tra il Medioevo e l’Età moderna. Sono poi innumerevoli i monumenti, le strade e le piazze dedicate in tutto il mondo al grande navigatore. La ricorrenza della scoperta dell’America viene celebrata in molti Paesi; in particolare negli Stati Uniti è stato istituito il Columbus Day, inizialmente (dalla seconda metà del diciannovesimo secolo) come festa della comunità italiana a New York, poi, dal 1934, come festività nazionale: gli uffici pubblici sono chiusi, si svolgono cortei anche con esibizione della bandiera italiana.

Secondo il punto di vista opposto, Cristoforo Colombo rappresenta il genocidio, la supremazia bianca, la dominazione e l’oppressione delle altre popolazioni. Sono quindi nate celebrazioni alternative dedicate ai nativi americani, accompagnate da varie forme di contestazione, in alcuni casi con l’abbattimento di statue del navigatore. Beninteso, è giusto condannare i crimini del passato, ed anche solidarizzare con le vittime, cercando – per quanto possibile – di risarcire i loro discendenti. Questo atteggiamento, però, se portato alle estreme conseguenze, conduce a rimuovere parti importanti della storia, o ad instaurare sensi di colpa per le nefandezze dei nostri avi, cose che non mi sembrano ragionevoli. Il corso della storia non può certo essere modificato a posteriori, né se ne può cancellare il ricordo. La scoperta dell’America è comunque un evento fondamentale ed al suo protagonista principale non si può attribuire la responsabilità di ciò che è avvenuto in seguito. Oltre tutto, per quanti secoli o millenni indietro nel tempo dobbiamo sentirci in colpa per le malefatte dei nostri progenitori?

Credo quindi che non abbia alcun senso criminalizzare Colombo (anche se bisogna dire che non si comportò benissimo nella sua funzione di governatore delle nuove terre scoperte); allo stesso modo non è corretta la narrazione – piuttosto diffusa – che lo rappresenta come un genio della modernità in contrapposizione all’ignoranza e ai pregiudizi di un’età oscura, nella quale si credeva ancora che la Terra fosse piatta. In realtà, nel Medioevo – come già dai tempi di Aristotele – tutte  le persone istruite sapevano che la Terra è una sfera, la cui circonferenza era stata calcolata, con stupefacente precisione, dal greco Eratostene alla fine del terzo secolo avanti Cristo.

Al riguardo, mi viene in mente un esilarante discorso (reperibile facilmente sul web) dell’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, secondo il quale Colombo “circumnavigò la Terra in base alle teorie di Galileo” (sic!), superando le obiezioni dei membri dell’Inquisizione che sostenevano, con argomenti assai deboli, l’impossibilità di navigare oltre le Colonne d’Ercole. Questo racconto contiene una serie di colossali svarioni: gli storici moderni concordano su una versione molto diversa che, senza sminuire la statura del personaggio, ne delinea la reale figura.

In breve, Cristoforo Colombo fu senza dubbio un grande navigatore e un uomo coraggioso e determinato, ma – occorre dirlo – dal punto di vista scientifico era totalmente in errore. Nel presentare il suo audace progetto alla commissione di scienziati (i famosi “dotti di Salamanca”, non l’Inquisizione!) nominata dalla regina Isabella, affermò che, in base ai suoi calcoli, la distanza tra l’Europa e l’estremo lembo orientale dell’Asia (le cosiddette Indie) misurava non più di 6.000 chilometri. Per ottenere questo risultato, Colombo aveva notevolmente sottostimato la circonferenza terrestre e sovrastimato l’estensione del continente eurasiatico. Gli scienziati della commissione, invece, partendo da dati più corretti, stimavano una distanza di circa 20.000 chilometri (valore molto prossimo a quello che oggi conosciamo esattamente). Una traversata così lunga – era evidente a tutti – non poteva essere affrontata con le imbarcazioni dell’epoca, in mancanza di scali intermedi per i rifornimenti.

I tanto vilipesi “dotti”, dunque, avevano ragione: se Colombo non avesse avuto l’incredibile fortuna di imbattersi in un continente del quale nessuno immaginava l’esistenza, sarebbe inevitabilmente morto di sete in mezzo all’oceano insieme con tutti i suoi marinai.

Adolfo Pirozzi