Mangia! ché poi Catania ti sbrana…

Il permanente galleggiare sulla linea del fallimento si può eleggere a condizione esistenziale di una generazione, a suo stile di vita e d’arte? E quello che cerca di fare Maria, priva di reddito, che vaga di giorno in cerca di un qualsiasi lavoro, o intrattenendo pubblici occasionali, scarni con la sua rivisitazioni di canzoni popolari o frammenti di nudo teatro drammaticamente ironico. Il lavoro, poi, lo trova in un ristorante simil cinese, di proprietà di un’autentica capò italiana, che comanda tutto a suon di lama sguainata di coltellaccio. Cuoca, cameriera, sguattera, strofinaccio e mocio fatto persona per la disumana untuosità di superfici e pavimenti. Tra le panchine di strade, piazze e tavolini all’aperto dei bar di Catania, all’ombra della Muntagna, ossia dell’Etna, si esibisce, viene applaudita, ma poi alla domanda: “Ma allora vi è piaciuto?”, o: “Vi ha fatto ridere?”, la risposta è sempre esclamativamente monosillabica, monocorde: “No!”.

Di sera beve birra in un bar, anzi un baraccio, con proprietario depresso dal costante lamento a filo di rasoio anche lui del fallimento. Ambiente queer, trans, corpi delusi arresi alla dogana dei propri limiti. A casa una madre ansiosa, ansiogena, anaffettiva. Mangia! Mangia! Mangia! E lei s’ingozza, la bocca in primo piano che rigurgita cibo, quasi fosse il cratere del vulcano che erutta lava. Alla sua sindrome bulimica corrisponde quella ludopatica del padre, con Catania pronta a ingoiare l’una e l’altro. Il tutto in stile dada, punk, fumetto dark demenziale.

Singolarmente, però, e neanche tanto simbolicamente, la vicenda di Maria quale personaggio viene a convergere con quella reale dell’autrice, regista, attrice Anna Piscopo, nelle peripezie affrontate durante la tormentata – a dir poco – realizzazione del film. Galliano Juso, mitico produttore del cinema marginale, vede a Bari il monologo teatrale dall’omonimo titolo di piscopo e la convince a farne un film. Scrivono la sceneggiatura insieme, e appena possono partono con il set cinematografico operativo. A Catania, però, non a Bari, dove la scena è originariamente ambientata. Tra sintonie profonde, ma pur contrasti al calor di lava, il film procede. All’improvviso, però, Juso muore e Anna si ritrova esattamente come Maria, senza soldi, tra le strade, i bar, le trattorie, le paninerie della città etnea, la quale, però, è ora essa che la mangia! Come il baraccio, quale metafora dell’impresa produttiva, infatti, anche il film si trova ora sull’orlo della bocca d’a Muntagna, nella voragine della depressione, sul filo del rasoio del fallimento, proprio come un’intera generazione giovanile che lo ha sopra la testa, vera e propria spada di Damocle tesa sull’orizzonte esistenziale e ambientale del futuro loro e del nostro pianeta. Non a caso questo tema, attraverso l’ironico eppure serio ritornello sul cibo vegetariano, sull’animalismo, sulla pelliccia-straccio indossata da Anna, attraversa il film dall’inizio alla fine.

Davvero Anna Piscopo se voleva trovare un riscatto al fallimento deve intraprendere, parafrasando un celebre testo sulle merci dell’economista Piero Sraffa, una vera e propria produzione d’arte a mezzo arte. La burrasca luttuosa, il vento impetuoso delle scelte drammatiche, le lacrime che l’autrice ha dovuto fronteggiare e dominare, mentre il vascello produttivo beccheggiava alla deriva, diventano esse stesse il suo film, il suo stile, la forma attraverso la quale si stratificano i contenuti e il suo indubbio talento. La messinscena piscopiana del fallimento di un personaggio, di una generazione si tesse del reale, disperato oltrepassamento  di un incombente fallimento, per il quale lei, come Ulisse sugli scogli, si è scorticata la pelle: quella sua e quella del film.

Si dice che questa opera, dopo il riconoscimento al Bari International Film&Tv Festival, stia diventando un piccolo, grande caso, che media, social e pubblico scoprono con sempre maggiore sorpresa e consenso. E questo proprio perché la strutturale costrizione all’imperfezione produttiva che improvvisamente gli si è rovesciata addosso, lo rende autenticamente perfetto. Durata 88 minuti.

Riccardo Tavani

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