n-Ego, dal Tevere al Circeo l’eco stanca dell’ego che incanta

Certamente in ogni cinematografia del mondo esistono personalità, sensibilità, singolarità artistiche e loro conseguenti opere completamente e fortunatamente inclassificabili. Noi, però, dovremmo essere felici che una astralità del genere appaia anche nel cielo dei nostri schermi e che qui prenda il nome di Eleonora Danco. Proviene da una costellazione del teatro come autrice, poeta, regista, attrice. Al cinema appare ancora prima che come immagine, quale lettera dell’alfabeto: per l’esattezza la consonante N. Nel 2014, infatti, la strana cometa N si profila per la prima volta nell’orizzonte degli eventi, ma non è per niente consonante. Anzi, dissona del tutto: N-Capace.  Ma come si dice, come lo pronuncia ‘sto cavolo di titolo?! E che significa: che sei ‘na ‘ncapace, un’incapace? O proprio enne capace, capace all’ennesima potenza?

Poi vai a vedere il film e ti rendi conto che non è solo il titolo a essere n-consonante. Anzi, la s-consonanza, assurdamente, è proprio lo strabiliante plasma connettivo dell’intera opera. Cominci davvero a domandarti da quale universo parallelo provenga questa n-Danco. Il tutto è in congiunzione astrale tra le effemeridi di Roma e Terracina, la prima città natale,  la seconda di successivo precoce trasferimento. Sarà, allora, che dentro ‘Circe’ e ‘Circeo’ c’è già ‘Circo’, e nel circo, l’originale teatro edenico animal-umano, che poi è gravidato nel cinema, o lo ha ‘ngravidado… Dalla Nascita della Tragedia, opera fondamentale di Nietzsche sulla grecità, all’Immagine-Tempo, secondo tomo di Gilles Deleuze sul cinema, tutto si è magmaticamente compattato dentro la supernova Danco. E adesso vallo a dipanare tale immane ammasso di gas,  elementi, fonemi, e tante fatal imago!

La trama di N-Capace? Per chi non l’afferrò allora, non resta che riprovarci con n-Ego. La semplice, nuda, erotica verità è che non c’è proprio nessuna tradizionale trama. Né in quest’ultimo, né in quello prima. Ma rimani ugualmente avvinto – eroticamente – dalla genialità cinematografica di n-Danco. Eroticamente, perché ogni singolo spettatore percepisce che, nel buio della sala piena, il fascino ineffabile della sua arte stia attraversando, si stia rivolgendo intimamente soltanto a lui.  È lei che si muove come una musa arcaicamente contemporanea tra le sponde del Biondo Tevere e quelle inquiete sotto il Picco con la punta del naso di Maga Circe che dorme. E sono queste sacre e antiche sponde, a recarle l’umanità più autenticamente ironica e disperata. Un’umanità che è nel sottosuolo delle città e del nostro inconscio. E a essa Danco restituisce la voce che le è stata brutalmente o indifferentemente tolta. La restituisce anche alle figure scomparse, come un ragazzo morto per eroina che lei incontra vicino al pattino di uno stabilimento balneare a Terracina.

In N-Capace, indossando e facendo indossare una tuta spaziale con casco, incontrava anziani, bambini e adolescenti In n-Ego, invece, cerca e scova gli adulti, vestita da manichino alla De Chirico, con una calza in faccia e una cartucciera con flaconcini di sonnifero a tracolla. È un fitto affioramento d’umanità dispersa, comico e drammatico, da scompisciarsi dal ridere e piangere simultaneamente. Una rete di relazioni prima invisibili, nella quale n-Danco scaraventa potentemente anche il suo di ego. Lo fa apparire in una perturbante poeticità esistenziale, nella sua azione e voce di autrice-attrice, affermandolo e immediatamente dopo disdicendolo. Ossia: qui lo dico e qui lo n-Ego! E lo fa con raffiche di battute micidialmente sintetiche tese a stancare, sfiancare, abbattere proprio quel manichino messo in scena, attraverso il quale lei si vela, si svela e si ri-vela: “Super-io devi farmi a pezzi, perché questo è quello che merito”.

Sì, sono tanti i film dei quali non si può dire tutto. Con n-Ego, però, il critico cinematografico deve proprio arrendersi del tutto, consegnare le armi. La sua ode omerica, il suo sperimentale poema per immagini, corrisponde esattamente alla frase di Hölderlin: “Ciò che resta lo fondano i poeti”. Ossia c’è un resto, un qualcosa che non si può mai esprimere pienamente in parole, in concetti. E i concetti del cinema, ci ricorda infatti Gilles Deleuze, sono unicamente le immagini. Solo che Eleonora Danco, iconograficamente incantandoci, quel resto lo n-fonda. Eccellente. Durata 82 minuti.

Riccardo Tavani

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