I conti non tornano
La storia ci insegna a rintracciare nei sistemi e nelle logiche economiche i motivi e le ragioni delle scelte politiche e di quanto orienta il cammino del mondo.
Dalla recrudescenza terroristica alle diverse guerre in atto nel pianeta; dai nuovi riposizionamenti sullo scacchiere geopolitico – penso al riavvicinamento tra Russia e Turchia – alle campagne referendarie ed elettorali come la corsa alla Casa Bianca; sono tutti ‘fatti’ e circostanze che devono essere letti in funzione di uno specifico assetto macroeconomico, come fossero i sintomi dello stato di salute dell’intero corpo sociale.
Da queste pagine non abbiamo mai mancato di sottolineare come l’enorme disuguaglianza che colpisce strati sempre più vasti e profondi delle società sia la principale ragione di una deriva dagli effetti imprevedibili. Si tratta di una misura della disuguaglianza senza precedenti: miliardi di persone sono costrette a vivere di ‘niente’ a fronte di una élite di privilegiati ‘paperoni’, monarchi assoluti delle risorse energetiche e finanziarie del pianeta. Stiamo cioè assistendo alla lotta della strenua – e mortale – difesa del ‘privilegio’ contro la più semplice ed elementare idea di giustizia sociale.
In un mondo in cui si confondono e si nascondono i luoghi del ‘decidere’, non resta che osservare e giudicare gli effetti delle decisioni prese, tra l’altro, a dispetto di qualsiasi effettiva rappresentatività democratica formalmente espressa e condivisa. Questa delega dei poteri è un altro insostenibile portato di un assetto politico incapace di dare ancora ‘voce’ e ‘potere’ alle popolazioni.
Ci sono, però, momenti in cui questo ‘governare’ di nascosto – sommerso e inabissato – risale in superficie e si offre ad una visione più chiara e trasparente.
Pensiamo alle ‘banche’ e a quanta energia si spenda – ad ogni livello – nella ricerca continua di tenuta e tutela del sistema bancario. La prima cosa che dovremmo riconoscere è, allora, che la stessa parola ‘banca’ ha cambiato significato e non designa più un luogo – come vorrebbero farci credere – con una sede, degli sportelli, degli impiegati che si occupano del nostro denaro. Questo è solo un simulacro residuale. La ‘banca’ in cui entro – quando non opero, la maggior parte delle volte, sul mio computer – sta alla tutela del mio denaro come un calciatore al tifoso. Tra i due ci sono – decisivi – gli interessi delle società e dei procuratori. Forse, è per questo che non riesco più ad appassionarmi di calcio.
Ciò premesso, vuol dire che la parola ‘banca’ designa, ormai, altro da quello che siamo disposti a credere ed implica concetti di volubilità, volatilità e di rischio in aperta antitesi con la presunta natura della sua istituzione che si vorrebbe caratterizzata da vincoli sicuri e inviolabili.
Che, al contrario, il sistema bancario corra costantemente dei ‘rischi’ è dimostrato dall’affanno con cui burocrati e tecnocratici si impegnano nei suoi continui salvataggi. Ma l’ipotesi che le ‘banche’ lungi dall’essere ancora dei luoghi non siano più neppure istituzioni sicure non può essere formulata: questa verità conclamata dagli ultimi 20 anni di disastri finanziari – dai bond Parmalat ai Bond Argentini, dai subprime ai derivati, da Banca Etruria a Monte de Paschi – questa evidenza ormai ‘scientifica’ della criticità del sistema non può essere detta, né affermata. Né pronunciata: neppure dalla stampa specializzata, che di fronte all’ennesimo crack quotidiano si spertica in partecipati editoriali sulle necessarie e ormai improrogabili modifiche al sistema.
Accade però che il dolo e la cattiva fede, improvvisamente, si mostrino come è avvenuto, qualche giorno fa – nella prima settimana di un Agosto poco vacanziero – quando abbiamo assistito al varo del piano di salvataggio del Monte dei Paschi di Siena, mentre le banche europee trattenevano il fiato per l’esito degli stress test sulla loro tenuta.
In ottemperanza della normativa europee che non consente più il salvataggio con denaro pubblico degli istituti finanziari, per il Monte dei Paschi di Siena è stato deliberata una operazione che prevede la vendita di circa 10 miliardi di sofferenze (crediti incagliati o inesigibili) a fronte della garanzia della Cassa Depositi e Presiti – fatta dei risparmi postali degli italiani – e del fondo Atlante che riunisce le Casse mutue di diversi ordini professionali. I nostri risparmi e la nostra previdenza, quindi, a garanzia di un’operazione di salvataggio di un Istituto bancario controllato e ‘indebitato’ interamente dalla politica: esilarante!
Tutti felici e contenti? Per la verità la Corte dei Conti, ovvero l’organo della magistratura contabili che dovrebbe tutelare il bilancio dello Stato ci ha provato a parlare di ‘dubbi di legittimità’ sull’utilizzo della Cassa Depositi e Prestiti per garantire operazioni finanziarie come il salvataggio di Monte dei Paschi o dell’Ilva di Taranto, ma è stata subito messa al suo posto da una stizzita affermazione del premier Renzi che in un’intervista a La Repubblica ha dichiarato: “A ciascuno il suo. Cosa fa la Cassa Depositi e Prestiti lo decidono i soci e le leggi, non la Corte dei Conti”.
Proprio così, “A ciascuno il suo”: a noi il simulacro di sistemi democratici e garanzie costituzionali violati e squassati, a voi il tentativo di restaurare un potere finanziario ormai al collasso. Qualcosa mi dice che a partire dal risultato sul referendum costituzionale, fino all’esito delle presidenziali USA, ne vedremo delle belle.
di Luca De Risi