Intervista a Stefania Prandi, autrice di “Le conseguenze. I femminicidi e lo sguardo di chi resta”
«Ho deciso di concentrarmi sulle conseguenze dei femminicidi sulle famiglie, la prima cellula della società. A pagare le conseguenze di questi crimini sono madri, padri, figli, sorelle, fratelli». Stefania Prandi, giornalista e fotografa, negli anni ha realizzato importanti reportage in Italia, Europa, Africa e Sudamerica. Tra i suoi temi le questioni di genere, il lavoro e i diritti umani.
«Le conseguenze. I femminicidi e lo sguardo di chi resta» è un reportage durato tre anni.
Come lei stessa dice, il libro esiste grazie al contributo di chi ha deciso di incontrarla. Insieme è stato possibile mostrare che le vittime, le donne uccise, hanno resistito, come potevano, per se stesse, per la vita che avevano costruito, per i propri progetti, per le figlie e figli. Attraverso le loro testimonianze e le sentenze dei processi ha ricostruito quindici casi diversi di femminicidio che dimostrano come il fenomeno della violenza maschile contro le donne sia complesso e differenziato. In alcuni casi c’erano stati segnali eclatanti e in altri no. In altri casi ci sono donne scomparse, mai più ritrovate. Le donne appaiono nel libro attraverso le parole di chi le ha davvero amate e continua a lottare perché non vengano dimenticate.
Uno dei temi più accalorati è proprio quello della reazione dei familiari, che hanno fatto diventare il loro dolore politico, che hanno reso il personale pubblico. Famigliari che scrivono libri, organizzano incontri nelle scuole, nelle piazze, lanciano petizioni, partecipano a trasmissioni televisive, raccolgono fondi per iniziative di sensibilizzazione e sostengono le donne in situazioni di violenza che cercano il loro supporto. Lo scopo è dimostrare che quanto si sono trovati a vivere non è dovuto alla sfortuna né alla presunta colpa di chi è stata uccisa, come si sentono rinfacciare spesso, più o meno esplicitamente, ma ha radici culturali ben precise. Vogliono fare in modo che il ricordo resista al passare del tempo e vogliono dare un contributo alla società, sensibilizzando, perché non succeda ad altre.
Emerge così la sfiducia nella giustizia, senza riparazione o risarcimento. In troppi sono stati lasciati soli, pochi i servizi a sostenerli.
Stefania Prandi, ci dice che le famiglie che ha incontrato sono state lasciate sole ad affrontare la complessità del dopo-femminicidio, il dolore, l’iter giudiziario, penale e civile. Nei casi di figlie e figli sopravvissuti, nonni o zii si occupano dei cosiddetti «orfani speciali» senza un supporto adeguato delle strutture di riferimento – ad esempio, hanno accesso a servizi di psicoterapia in modo discontinuo e non sempre con personale preparato per traumi di questo tipo – e con la grande difficoltà di accesso ai risarcimenti e ai fondi previsti dalla legge 4 del 2018 (ne sono stati una minima parte, fino ad ora, nonostante le domande inoltrate). I rapporti che si instaurano tra questi parenti sono relazioni amicali, di supporto, di resistenza. Si sostengono e si aiutano, anche a distanza, si riconoscono: tra loro non c’è quel senso del sospetto che spesso la società riserva loro, l’idea, ad esempio, che in fondo non siano stati delle buone madri o dei buoni padri, che non siano stati in grado di crescere figlie abbastanza emancipate. A noi, che guardiamo da fuori, offrono una contro-narrazione importante che ribalta gli schemi che ci vengono proposti dai media rispetto al femminicidio e alle dinamiche della violenza maschile contro le donne.
I dati sulle violenze e i femminicidi sono sconfortanti. I soldi per i Centri sono scarsi, la macchina burocratica ingestibile.
Le donne formano una classe che è stata ed è percorsa da violenze maschili di vario tipo e intensità e con varie conseguenze. Violenze che sono servite e ancora servono per esercitare e mantenere intatto il sistema di oppressione patriarcale, il potere degli uomini.
La strada compiuta negli ultimi cinquant’anni è stata importante, però molte conquiste si sono rivelate fragili e contraddittorie.
La violenza è uno dei meccanismi sociali decisivi per mezzo dei quali le donne sono ancora costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini, è una manifestazione dei rapporti di classe tra uomini e donne: non sembra ci sia una vera volontà di cambiare questo stato delle cose. Possiamo e dobbiamo discutere delle singole misure nel dettaglio, ma il sistema nel suo complesso sembra ancora lontano dall’essere ribaltato.
di Stefania Lastoria