Abruzzo. La montagna dimenticata
Passata l’emergenza, quanti si ricorderanno delle popolazioni dell’Appennino abruzzese? Quanti avranno capito che la loro storia – che negli ultimi dieci anni ci ha raggiunto quasi esclusivamente con il dramma di terremoti, frane e valanghe – è anche la nostra Storia. E’ la storia di una ‘comunità’ quella dell’Appennino abruzzese che vanta uomini illustri – da Ovidio a Gabriele d’Annunzio a Ignazio Silone – i quali hanno dato molto alla cultura del nostro paese, alle nostre istituzioni, alla nostra ‘comunità’ nazionale
Ma quella storia e quelle popolazioni – forti e gentili – sono state del tutto dimenticate. Ed ora a 7 anni dal terremoto dell’Aquila anzi, nonostante il terremoto dell’Aquila che ha acceso i riflettori sulle loro montagne – il Gran Sasso e la Majella – quelle genti hanno perso tutto.
Dopo gli eventi straordinari – come il sisma dell’Aquila o di Amatrice, come la drammatica vicenda dell’Hotel Rigopiano di Farindola – l’Appennino è la sua quotidianità, torneranno immancabilmente nel cono oscuro dell’oblio. Alle parole quali fatti seguiranno? Davvero pensiamo che il clima – nei prossimi anni – ci darà tregua?
Basta, allora, col dare la colpa alla pioggia o alla neve o ai terremoti. È evidente che a fronte di cambiamenti climatici l’Appennino si presenta molto fragile, più fragile che nel passato. Questo a causa dello spopolamento, dell’assenza di manutenzione privata e pubblica, per qualche errore generalizzato negli assetti urbanistici. Per una povertà indotta, per l’abbandono di un territorio non tanto scomodo perché impervio, quando ‘non conveniente’ economicamente e politicamente.
Quelle comunità sono, allora, il nostro polmone. L’aria pura di quelle vette può ancora ‘purificare’ il nostro modo di fare, di pensare e di sentire? Ci possiamo ancora noi ‘cittadini’, abitanti accomodati e accomodanti, riconoscere nel destino di quei caparbi e umili ‘lupi marsicani’?
Sull’Appennino ci sono saperi e sapori da ricordare e raccontare, c’è un patrimonio geologico e naturale da trasformare finalmente e definitivamente in ricchezza, c’è un turismo culturale da implementare, ci sono rotte e coordinate da tracciare e da consigliare.
C’è un vita – quella dell’Appennino – da celebrare con il racconto e la testimonianza dell’ordinario, dopo lo straordinario. Ci sono istanze da raccogliere, richieste di fondi e denari da intercettare ed elargire. C’è la vita di un territorio e dei suoi abitanti che deve tornare a essere rispettata, oltre ogni tornaconto politico e commerciale. Se non si arresta il progressivo abbandono dell’Appennino abruzzese, se non la smettiamo con la politica di cittadini di seria A e di serie B, continueremo a pagare un conto sempre più salato in termini di vite umane.
di Luca De Risi