Genovese Pagliuca, morto per difendere la sua fidanzata

Lui, lei, l’altra. Lui voleva proteggere lei dalle avance omosessuali dell’altra. E l’altra che fa ? Lo fa uccidere. Semplice. O meglio, semplice per chi la vita umana non ha più peso dell’aria. Semplice, cioè, per l’amante di un capoclan della camorra. Era questo, Angela Barra: la compagna del noto esponente dei casalesi Francesco Bidognetti. Fu lei la mandante dell’omicidio di Genovese Pagliuca, venticinquenne macellaio napoletano di Teverola, in provincia di Caserta, crivellato dal fucile a canne mozze di Giuseppe Setola, braccio destro di Bidognetti, per la sola colpa di aver difeso la sua fidanzata Carla dalle insistenti pressioni amorose di una “donna d’onore”. Era il 19 gennaio 1995. Siamo nell’Italia del dopo stragi di mafia, del dopo Tangentopoli, del dopo tutto. Ma chissà perchè, il dopo somiglia terribilmente al prima. Carla, 24 anni, lavora in un negozio di parrucchiera e lì, nel 1993, conosce la Barra, che gestisce una gelateria proprio di fronte e s’invaghisce della ragazza. Dapprima riesce a farsela amica e poi ci entra in confidenza al punto che quando Carla ha problemi a casa con i suoi genitori è con lei che va a sfogarsi. Ma mai amicizia fu più interessata. La Barra ne approfitta e cerca di sedurla, e al rifiuto della giovane la fa rapire e rinchiudere in un appartamento dove non solo la violenta lei ma anche suo fratello, Carmine Barra, e un amico di quest’ultimo, Luigi De Vito. Dopo alcuni giorni Carla riesce a fuggire e raggiunge il suo fidanzato, al quale racconta tutto. Ma la camorrista non si è arresa, rivuole la “sua” donna, e dopo mesi di intimidazioni e minacce, ordina di far uccidere Genovese. Così la sera del 19 gennaio 1995, mentre rientra a casa, il ragazzo viene avvicinato da due uomini appena scesi da una Fiat Uno e trapassato al volto. Uno di loro è Setola, che sarà condannato all’ergastolo per quell’omicidio. E qualcuno all’inizio ebbe pure a pensar male. Per via dei lati oscuri che la vicenda presentava si pensò che il giovane fosse stato ucciso per un regolamento di conti interno alla camorra e che quindi egli facesse parte di quel mondo malavitoso nel quale aveva trovato la morte. Ad un anno dai fatti la Prefettura fece anche rimuovere una pietra effigiata in un’aiuola a memoria della tragedia. Ma le indagini successive hanno dimostrato che Genovese fu solo una delle tante vittime innocenti della piovra campana.

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