Paese fragile

Secondo l’Istat l’Abruzzo é una delle regioni italiane con più basso numero di mortalità per tumori, con minor emissione di gas serra per abitante, coi maggiori consumi di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili e con la minore diseguaglianza nella distribuzione dei redditi. Tra tutte le regioni italiane é quella che vanta il maggior numero di Borghi più belli d’Italia. Un paradiso, sulla carta. Una regione difficile da vivere, nella realtà. All’inizio di questo 2017 sull’Abruzzo si é scatenata la tempesta perfetta, la concatenazione micidiale tra una nevicata che non si vedeva da 45 anni e tre scosse di magnitudo molto alta. Da metà gennaio le quattro province abruzzesi sono in ginocchio: l’alluvione a Pescara, la neve a Chieti, la neve e il terremoto a L’Aquila, le scosse le frane e le slavine a Teramo. Decine di migliaia di famiglie senza energia elettrica, la viabilità bloccata in quasi tutto il territorio. Su un totale di 305 comuni abruzzesi, oltre 250 hanno chiesto l’intervento delle turbine per liberare le strade dalla neve. Sulle dighe del lago di Campotosto, il secondo invaso più grande d’Europa, é stato evocato l’effetto Vajont.

Un’emergenza assoluta per la quale, senza contare tutti gli altri interventi dei Vigili del Fuoco e della Protezione Civile, le sole Forze Armate hanno messo in campo 8000 persone, 3.300 unità, 1370 mezzi speciali (cingolati e ruotati) e 36 elicotteri. E mentre la Patria illuminava l’albergo Rigopiano travolto dalla slavina, la gente d’Abruzzo resisteva, tra la paura delle scosse di terremoto, al freddo, sotto metri di neve.

A Santo Stefano di Sessanio, che fa parte del Club dei Borghi più belli d’Italia, dei 60 abitanti rimasti in paese solo 4 potevano uscire di casa. Dei 4 uno era il sindaco: passava a bussare alle porte di tutti per informarsi dello stato di salute degli anziani e dei bambini rimasti bloccati: un isolamento surreale. E sempre sotto il Gran Sasso un’intera frazione veniva evacuata con l’elicottero: 23 giorni l’età del passeggero più giovane, i piú anziani, una coppia, 87 e 88 anni. Quei due cuori antichi: sarebbe bello sapere cosa si saranno raccontati prima del volo in elicottero, nei giorni di luce corta, nella notte dalle 5 di sera alle 7 del mattino, due metri di neve sopra la testa.

Ovunque le stalle crollavano sotto il peso della neve, i negozi rimanevano chiusi, le partite di calcio venivano rinviate per adibire gli spogliatoi degli stadi in luoghi di ricovero, le prove dei concerti rinviate fino a data da destinarsi, sospese le attività chirurgiche programmate negli ospedali, le filiali delle banche chiuse, come le scuole. Le interruzioni di energia elettrica fermavano le caldaie, i telefoni, i computer, le aziende.

E c’era un morto che non si riusciva a seppellire: troppa neve al cimitero.

Che cos’é questa Patria se non qualcosa di cui prendersi cura personalmente?”

Sarà vero. Che tutto passa. Ma sarebbe bello che qualche volta queste storie restassero a raccontare la parte di Italia che riesce a resistere là dove nessun altro vorrebbe restare, il pezzo moralmente più solido di un Paese fragile.

Per la provincia dell’Aquila si tratta del terzo terremoto in otto anni. Possiamo continuare a parlare dell’Abruzzo come di una regione in periodica emergenza? L’accanirsi del destino su questa terra dura da troppo tempo, le sue difficoltà sono ormai strutturali. Non prendersene cura, continuare ad occuparsene soltanto in seguito ad eventi eccezionali, considerare mentalmente questa regione come un territorio dimenticato, significa perdere un pezzo di Paese che invece, come tutti gli altri, ha diritto alla normalità.

di Daniela Baroncini

 

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