Sepolti dall’emergenza

Si scioglierà la neve e con lei la paura. Dimenticheremo, per un po’. Si spegneranno i riflettori sulla vita di chi torna sulle montagne in attesa della prossima scossa e della prossima nevicata. E, allora, di fronte all’ennesima paralisi si tornerà a parlare – ancora – di ‘emergenza’.

Quando si devono coprire colpe e responsabilità, quando si deve blandire l’opinione pubblica, puntuale torna il tema dell‘emergenza’. Anche nel caso di neve in montagna. Sarebbe da ridere se non fosse da piangere.

Con l’umiliazione di chi deve cercare l’ovvio, abbiamo provato a collezionare alcuni dati e, in rete, ne abbiamo trovati a iosa. Tutti concorrono a restituirci una evidenza: il fatto che in Italia – dalla Valle d’Aosta all’Etna – in montagna nevichi.

Statistiche alla mano si scopre addirittura che dal 1921 al 1960 sull’Appennino centrale ha nevicato, in media, un giorno in più che sul alcune zone dell’arco Alpino: 30 giorni l’anno, contro i 29. Scorporando, ulteriormente i dati, si rileva che a Campo Imperatore i giorni di neve raddoppiano e arrivano a 60 in un anno.

Se, dunque, la storia dell’innevamento del nostro paese testimonia due mesi di neve l’anno sul Gran Sasso – dal 1921! – come è possibile, nel 2017, parlare di emergenza? Sono cento anni che in Abruzzo nevica quanto in Alto-Adige.

Ciò che dovremo avere il coraggio di indagare, allora, è come sia stata possibile – complici gli stessi abitanti – attuare questa sorta di ‘rimozione antropologica’ della nostra storia regionale.

Abruzzo e Molise – un tempo un’unica regione – nel corso degli ultimi 60 anni sono letteralmente scomparsi dal nostro orizzonte culturale e ‘politico’. Incapaci, da un lato di identificarsi con le lagnanze di una questione meridionale che li lambisce appena; dall’altro di qualsiasi accostamento con le terre della mistica umbra o con i favori ‘pianeggianti’ dell’economia padana, Abbruzzo e Molise sono diventati oggetto di una politica clientelare e familista che ha perseguito il riuscito esperimento dell’emergenza, senza dotare mai davvero e definitivamente la regione montana e sismica più estesa del Paese delle strutture adatte.

Abbiamo parcheggiato in Abruzzo e Molise – terra di Ovidio, D’Annunzio, Silone – la nostra anima bella ecologista e animalista. Tutti presi dal rispetto per orsi e lupi, ci siamo dimenticati delle genti d’Abruzzo e, più in generale dell’Appennino centrale.

I dati che raccontano una quantità di neve e di nevicate assolutamente analoghe a quelle delle fiorenti zone turistiche delle Dolomiti, dicono di una sensibilità politica ed economica che è diventata sfruttamento e saccheggio.

La domanda su un numero tanto esiguo di turbine e addetti, in quelle località che ogni anno la neve ricopre sul Gran Sasso e la Maiella forse sta nella mancanza di un solido trend turistico.

Il sospetto è che l’emergenza si crea là dove c’è abbandono e si abbandonano i territori dove non si sviluppano economie. Più stazioni sciistiche, più campi da sci, più skilift in Abruzzo avrebbero comportato la presenza di più mezzi anti-neve. Esattamente come avviene su tutto l’arco Alpino.

Non deve impressionarci la straordinarietà di evento come quello dell’Hotel Rigopiano – situazione gestita per altro in modo gravemente approssimativo – ma l’ordinaria amministrazione. Quelle carenze strutturali che annichiliscono un territorio abbandonato a se stesso, 365 giorni l’anno.

Dal turismo invernale a quello ecologista, dal patrimonio artistico alla gastronomia, dalla viabilità ai trasporti, queste sono le sole, vere, ‘emergenze’ della regione cui porre definitivo rimedio.

Il solo gesto coerente verso chi resta sulle montagne non sono gli aiuti pur necessari nell’emergenza, ma investimenti ordinari. Incentivi, detassazione, legislazione speciale, innovazione tecnologica – a cominciare dall’edilizia – fondi speciali: sono interventi che potrebbero trasformare il volto dell’Appennino.

Soldi, lavoro e onestà amministrativa: è tutto ciò che serve all’Abruzzo per non restare sepolto sotto la coltre – grave – dell’emergenza.

di Luca De Risi

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