Per Bankitalia le donne hanno stipendi più bassi

Per Bankitalia le donne hanno stipendi più bassi dell’11% rispetto ai colleghi, stesso divario di un decennio fa.

Quando il tempo scorre senza scorrere.

Secondo un recente sondaggio della Banca d’Italia che illustra i risultati del progetto “Le donne, il lavoro e la crescita economica”, le donne percepiscono mediamente retribuzioni più basse dell’11% rispetto ai colleghi uomini e il differenziale è già ampio all’ingresso nel mercato del lavoro: il 16% tra i diplomati, il 13% tra i laureati. Si accentua ancora di più con la maternità e con l’avanzare della carriera.

Il nostro paese risulta essere l’ultimo in Europa per occupazione femminile e penultimo per divario di genere occupazionale. Infatti l’occupazione femminile al 51,1% è inferiore di oltre 18 punti percentuali rispetto alla quota di uomini nella fascia d’età compresa tra i 15 e i 64 anni, registrando il secondo divario di genere più ampio in ambito lavorativo tra i paesi dell’Unione Europea dopo la Grecia, dove si registrano oltre 19 punti percentuali di divario tra occupazione maschile e femminile.

Riguardo alla maternità, nei due anni successivi alla nascita del primo figlio le madri occupate hanno una probabilità quasi doppia rispetto alle donne senza figli, di non avere più un impiego e dopo circa quindici anni dal parto le loro retribuzioni medie sono circa la metà. Un divario indubbiamente legato alla carenza di servizi.

Alessandra Perrazzelli, vice direttrice generale della Banca d’Italia sostiene che questo divario salariale tra uomini e donne è quasi uguale a quello stimato nel 2012 e che le carriere delle donne sono particolarmente lente e discontinue, non solo, afferma anche che la loro maggiore presenza nelle società quotate non ha indotto significativi cambiamenti nella composizione dei vertici delle società sottoposte alla normativa sulle quote di genere.

Il tasso di partecipazione femminile si colloca ancora su un livello particolarmente basso nel confronto europeo, inferiore di quasi 13 punti percentuali rispetto alla media UE.

È ancora al di sotto di quel 60% che era stato indicato come obiettivo da raggiungere entro il 2010 dall’Agenda di Lisbona e dei traguardi impliciti nell’Agenda Europa 2020 che avrebbero comportato per l’Italia un sostanziale allineamento della partecipazione femminile alla media europea. Altri paesi, come ad esempio la Spagna, che negli anni Novanta partivano da condizioni simili a quelle dell’Italia, hanno fatto registrare tendenze significativamente migliori.

Va necessariamente ricordato a questo punto che le donne occupate hanno più di frequente impieghi di tipo temporaneo e part-time, non sempre una scelta considerando che una lavoratrice a tempo parziale su due sarebbe disponibile a lavorare a tempo pieno per guadagnare di più ma che spesso sono anche gravate da compiti quali la cura e il sostegno della famiglia. Condizioni che inducono sempre a rinunciare a qualcosa, ad adattarsi, ad accettare impieghi meno retribuiti, a calpestare gli studi fatti con fatica e quel sogno di realizzarsi professionalmente fatto scivolare in un cassetto.

Un cassetto che spesso non aprono mai più, rassegnate da una realtà che non le considera, non le valorizza e che vede tutto ciò come “normalità”.

Stefania Lastoria

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