Presentazione STAGIONE TEATRALE 2023 – 2024 TEATRO VASCELLO
Presentazione STAGIONE TEATRALE 2023 – 2024 TEATRO VASCELLO
IL TRUCCO E L’ANIMA
Una nuova stagione: emozioni e suggestioni da vivere insieme. 30 spettacoli tra cui 12 nostre produzioni, una selezione di quelli che pensiamo siano gli spettacoli a cui non rinunciare, la qualità e il valore delle proposte sono il presupposto necessario per essere riconosciuti e seguiti, ne è prova il costante aumento di un pubblico affezionato che vive il Teatro Vascello come un luogo di appartenenza, di incontri, di scambi culturali. un teatro vivo, vitale, accogliente, aperto sempre alle novità e a nuovi stimoli.
Nel teatro c’è sempre aria di crisi, ma la mia fiducia ed ostinazione supera il concetto di crisi per portare avanti la mia visione di un teatro d’arte, di eccellenza.
Nella nuova stagione ci saranno spettacoli che raccontano il presente e il futuro, perché’ stiamo investendo nel futuro: di generazioni, di tecnologie, di talenti.
Anche le nostre nuove produzioni indagheranno il futuro come un probabile, auspicabile mondo migliore.
Il claim di questa stagione è “il trucco e l’anima” un omaggio al grande studioso di teatro Angelo Maria Ripellino.
In queste due parole è racchiuso il senso del teatro che è appunto “trucco” cioè finzione, rappresentazione della realtà, attraverso la parabola della contemporaneità, ma anche immaginazione, fantasia, fascinazione della rappresentazione e “anima” il centro di tutto, il soffio vitale, il respiro, lo spirito, la coscienza universale.
Tra questi due poli: raziocinio e spiritualità, etica ed estetica si colloca la nostra stagione con spettacoli che attraverso una indagine e un pensiero critico e profondo ci condurranno alla narrazione della complessità dal tempo passato a quello presente.
Per i grandi capolavori senza tempo siamo davvero orgogliosi di ospitare Umberto Orsini uno degli attori più amati dal pubblico, una icona del nostro teatro da più di 50 anni protagonista di memorabili interpretazioni che affronta il personaggio più complesso e tormentato creato da Dostoevskij in: LE MEMORIE DI IVAN KARAMAZOV per la regia di Luca Micheletti. Uno spettacolo che la scorsa stagione ha ottenuto un clamoroso successo sia di pubblico che di critica.
Ancora un classico sul tema della complessità dell’animo umano ZIO VANIA seconda tappa dopo il grande successo del Gabbiano del progetto Cechov di Leonardo Lidi regista tra i più talentuosi della nuova generazione.
Un salto indietro nel tempo ci conduce all’origine della scienza moderna con PROCESSO GALILEO drammaturgia di Angela Demattè e Fabrizio Sinisi regia di Carmelo Rifici e Andrea De Rosa una indagine intorno ai problemi scientifici e ai grandi misteri del nostro tempo protagonista Luca Lazzareschi e Milvia Marigliano.
Passiamo ora a presentare gli spettacoli che possono essere collocati nella sfera che riguarda le difficoltà e le incertezze del vivere quotidianamente la propria esistenza
LA TRILOGIA DEL VENTO regia di Fabiana Iacozzilli in corealizzazione con Romaeuropa Festival che presenta tre suoi lavori. LA CLASSE, UNA COSA ENORME e l’ultima creazione IL GRANDE VUOTO. trittico che indaga le tre tappe dell’esistenza umana: infanzia maturità e vecchiaia.
Anche La RAGAZZA SUL DIVANO di Jon Fosse per la regia di Valerio Binasco tratta il tema dell’inadeguatezza e delle ferite legate al disagio di una infanzia infelice e vede come protagonista Pamela Villoresi insieme allo stesso Binasco a Giovanna Mezzogiorno Michele Di Mauro e Giordana Faggiano.
IL Tema del disagio è affrontato invece in chiave umoristica in 4-5-6 di Mattia Torre un autore molto amato soprattutto per la serie televisiva Boris, prematuramente scomparso, una commedia che racconta come all’interno della famiglia possano nascere diffidenza, ostilità e cinismo.
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Carrozzeria Orfeo che nei loro precedenti spettacoli ci hanno presentato il mondo degli ultimi e dei reietti in SALVEREMO IL MONDO PRIMA DELL’ALBA loro nuova produzione coglieranno con ironia i paradossi e le deformazioni grottesche del benessere e dell’apparente successo.
Una drammaturga tra le più apprezzate Caryl Churchill con TOP GIRLS ci racconta le difficolta delle donne a raggiungere l’apice di una carriera. Attraverso il personaggio aggressivo di Marlene direttrice di una agenzia di collocamento. TOP GIRLS per la regia di Monica Nappo con un cast prestigioso tutto al femminile.
Passiamo alla fascinazione della rappresentazione con il grande mago della fantasia, dell’iperbole, del surreale gioco scenico, cioè Antonio Rezza che con Flavia Mastrella torna come di consueto per il periodo di Natale con tre spettacoli, AMISTADE un omaggio a Fabrizio De Andre, FOTOFINISH (spettacolo di repertorio) e HYBRIS che ha debuttato la scorsa stagione.
Nel solco di Antonio Rezza si muove il giovane Nicolò Fettarappa che presenta LA SPARANOIA “Atto unico senza feriti gravi purtroppo”. Uno spettacolo all’insegna del divertimento e dell’ironia.
Una nostra consuetudine è di inserire nel cartellone ogni anno una storica compagnia del periodo felice dell’avanguardia e della ricerca; quest’anno è Il Teatro Del Carretto che riporta sui palcoscenici uno degli spettacoli più importanti e significativi del loro percorso artistico il favoloso PINOCCHIO protagonista Giandomenico Cupaiolo, regia di Maria Grazia Cipriani e le scene che hanno ottenuto il premio E.T.I agli Olimpici del Teatro di Graziano Gregori.
Un altro grande maestro della ricerca con la sua grande attorialità di performer e regista, già vincitore di un premio Ubu: Roberto Latini aprirà la stagione 2023\ 2024 del Teatro Vascello con un’opera originale tratta dal libretto d’opera Pagliacci di Leoncavallo e dalla novella all’Uscita di Pirandello, due testi molto diversi a cavallo tra l’ottocento e il novecento ai due estremi di un ideale ponte fondamentale per la letteratura teatrale.
PAGLIACCI ALL’USCITA con Roberto Latini, Elena Bucci, Ilaria Drago, Savino Paparella e Marcello Sambati.
Entriamo nel pieno delle avanguardie artistiche del 900 con IL DIARIO DI KIKI modella e musa di tanti artisti che animarono Parigi in quegli anni. Picasso, Modigliani, Cocteau, Soutine, Man Ray che la amarono e la ritrassero nelle loro opere. Il viso e il corpo di Kiki dominò e divenne un simbolo di quella Parigi effervescente, libertina, alcolista. Uno spettacolo multimediale capace di ricostruire e restituire il clima di un’epoca stravagante. Protagonista Manuela Kustermann, regia di Consuelo Barilari.
Ascolteremo la poesia di Franco Arminio il grande paesologo nello spettacolo POETICA con la regia e interpretazione di Tindaro Granata e gli attori, Caterina Carpio, Mariangela Granelli, Emiliano Masala, Francesca Porrini.
Un altro momento poetico sarà lo spettacolo QUESTO E’ IL TEMPO IN CUI ATTENDO LA GRAZIA da Pier Paolo Pasolini con Gabriele Portoghese. Una biografia onirica e poetica di Pasolini attraverso le sue sceneggiature.
Il regista dello spettacolo Fabio Condemi scrive: quello che ci interessa esplorare non è il suo cinema, ma il suo sguardo. Uno sguardo che ci riguarda sempre.
Fabio Condemi è uno dei più interessanti e particolari registi di nuova generazione e ci condurrà anche nel mondo e nel labirinto di incontri, sogni, libri, storie di Roberto Bolano con lo spettacolo ULTIMI CREPUSCOLI SULLA TERRA Tratto dalle opere di Roberto Bolano: Il terzo Reich, Puttane Assassine, 2666…
Restiamo in tema di poesia ma accompagnata dalla musica per due spettacoli interpretati dal bravissimo Lino Musella COME UN ANIMALE SENZA NOME da Pier Paolo Pasolini e i sonetti di Shakespeare L’AMMORE NUN ‘E’ AMMORE tradotti e recitati in napoletano.
Musella in questi due spettacoli sarà accompagnato per Pasolini dalle sonorità musicali del Maestro Luca Canciello e per i sonetti di Shakespeare dalle percussioni di Marco Vidino.
Un approfondimento della nostra storia DE GASPERI: L’EUROPA BRUCIA drammaturgia di Angela Demattè, uno spettacolo che si propone di mettere in scena la statura, la complessità con le sue luci ed ombre di un grande statista, Alcide De Gasperi, fondatore della Democrazia Cristiana che aderì totalmente al suo compito e ideale politico tanto da diventarne vittima e carnefice.
Protagonista è Paolo Pierobon sicuramente uno degli attori più bravi, carismatici e significativi del panorama teatrale italiano, vincitore di numerosi premi tra cui L’UBU e Le Maschere del Teatro
La regia è di Carmelo Rifici direttore artistico del LAC di Lugano e docente alla scuola del Piccolo teatro di Milano.
Da una storia politica ad una storia etica di formazione LA FABBRICA DEGLI ATTORI uno spettacolo di Giacomo Bisordi basato sulla ricostruzione di frammenti di saggi storici dell’Accademia D’Arte Drammatica Silvio D’Amico, una scuola di formazione per attori e registi tra le più importanti d’Italia da cui sono usciti i nostri maggiori interpreti di cinema e teatro sin dal 1936, una riflessione sull’idea di scuola pubblica oggi e forse un manifesto per un teatro in una società incandescente.
Un dovuto omaggio al grande drammaturgo Giovanni Testori per l’anniversario dei cento anni dalla sua nascita, lo celebreremo con lo spettacolo LA MARIA BRASCA per la regia di Andrée Ruth Shammah e l’interpretazione di Marina Rocco.
Come ogni anno, non mancheranno gli spettacoli di danza. Avremo il piacere di ospitare: il Balletto del Sud con LA LUNA DEI BORBONI, ispirato all’omonima poesia di Vittorio Bodini, con le coreografie di Fredy Franzutti; L’ARTE DELLA FUGA di Spellbound Company, con le coreografie di Mauro Astolfi su musica di J.S. Bach; La nuova creazione di Roberto Zappalà, KRISTO “Quadri di dubbia saggezza”, ed infine una produzione che vede in sinergia Michele Pogliani e Lucinda Childs, inossidabile grande Signora della danza.
La nostra stagione si arricchirà anche di concerti e appuntamenti musicali.
Inoltre Per le nostre attività collaterali segnaliamo:
Un omaggio a Cristina Campo per i 100 anni dalla sua nascita. Una tavola rotonda a cura di Roberta Ascarelli, Elisabetta Rasy, Gabriella Caramore.
NELLO SPECCHIO DI ELSA, omaggio a Elsa Morante di e con Elio Pecora con lettura interpretativa di Francesca Benedetti
Il terzo convegno “STORIE CHE CURANO” che chiude il primo ciclo sulla psicanalisi dopo il grande successo della scorsa stagione.
Continueranno gli appuntamenti al Coffee Plant bar bistrot del Teatro Vascello, una serie di iniziative musicali e teatrali all’insegna del buon umore.
Per maggiori dettagli e informazioni potete visitare il nostro sito, sempre aggiornato con le novità.
Da oggi inizierà la nostra campagna abbonamenti, vi invitiamo quindi ad abbonarvi al Teatro Vascello per un’altra stagione da vivere insieme a questo link https://www.teatrovascello.it/biglietteria-23-24/ .
Comunque qui a seguire troverete tutte le schede degli spettacoli e vi invito ad andare sul nostro sito https://www.teatrovascello.it/presentazione-stagione-teatrale-2023-2024/ per ulteriori approfondimenti e aggiornamenti.
Grazie e viva il teatro!!!
Manuela Kustermann
Dal 29 settembre all’8 ottobre
dal martedì al venerdì h 21 – sabato h 19 – domenica h 17
debutto venerdì 29 settembre h 21
PAGLIACCI ALL’USCITA
da Leoncavallo a Pirandello
di e con Roberto Latini
e con Elena Bucci, Ilaria Drago, Savino Paparella, Marcello Sambati
musiche e suono Gianluca Misiti
luci e direzione tecnica Max Mugnai
regia Roberto Latini
produzione La Fabbrica dell’Attore – Compagnia Lombardi Tiezzi
Durata: 70’
“Pagliacci”, dal libretto dell’opera di Ruggero Leoncavallo, con debutto a Milano nel 1892 e “All’uscita”, l’atto unico che Pirandello definisce “mistero profano”, andato in scena a Roma per la prima volta, nel 1922.
Sono due testi molto diversi per stile e contenuto, ma capaci di una comune sensazione che li rende profondamente accostabili: il primo è immerso nel Verismo di fine ‘800, nella trama spietata del delitto d’onore e d’amore, il secondo è una parabola metafisica, quasi filosofica. Sembrano, per struttura e doti, collocabili da una parte all’altra di un ponte ideale, fondamentale per la letteratura teatrale, che a cavallo dei due secoli, riesce a trasformare i percorsi sintattici in prospettive drammaturgiche; uno accanto all’altro, creano un terzo materiale, indipendente, per evocazione e compromissione: il sipario metateatrale che Pirandello aprirà sul nuovo secolo, viene scucito da Leoncavallo nel suo Pagliacci.
Insieme, sono una dichiarazione d’indipendenza tra il Verismo e il teatro borghese.
Il Teatro nuovo è all’indomani di una giornata di sole e coltello e di un notturno di cimitero e ombre. All’uscita da Pagliacci, è il vero appuntamento. (O da dove abbiamo mosso il nostro mare).
Quanto le scritture sceniche semineranno e raccoglieranno da lì in poi, nei nuovi cicli del Teatro, dei Teatri, sarà ciò che ci porterà nelle traiettorie del contemporaneo e in quel concetto di drammaturgia che oggi vanta una prossimità col linguaggio, più della regia stessa, o dell’occhio esterno, come indicato in tanti casi.
La drammaturgia, allora, l’occhio interno, è quanto effettivamente in esplorazione, in esplosione. Lo abbiamo imparato sezionando il concetto, la funzione, le sfumature e le possibilità. Abbiamo moltiplicato l’occasione e l’abbiamo sollecitata, in lungo e in largo.
Abbiamo ammesso i concetti di drammaturgia del testo, del suono, della scena. Abbiamo riscritto le parole originali e riscritto anche le riscritture.
Ci siamo dotati di nuovi strumenti per cercare di definire l’indefinito e lo abbiamo fatto portandoci in proscenio, dove finisce il palco e comincia il Teatro.
Nella frequentazione del confine, la prassi è il centro e la sua periferia.
Vorremmo comprometterci, letteralmente, oltre le barriere di genere che abbiamo costruito o contribuito a creare, per necessità o politica, ridefinendo il punto di vista, attraverso il punto dello sguardo. Fluidamente. Roberto Latini
acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/pagliacci-all-uscita/210395
Dal 10 al 22 ottobre
dal martedì al venerdì h 21 – sabato h 19 – domenica h 17
LE MEMORIE DI IVAN KARAMAZOV
con Umberto Orsini
drammaturgia di Umberto Orsini e Luca Micheletti
dal romanzo di Fëdor M. Dostoevskij
regia LUCA MICHELETTI
scene Giacomo Andrico
costumi Daniele Gelsi
suono Alessandro Saviozzi
luci Carlo Pediani
assistente alla regia Francesco Martucci
produzione Compagnia Umberto Orsini
Durata: 70’
Un percorso all’interno dell’ultimo e forse più grande romanzo di Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov, che Umberto Orsini affronta per la terza volta nella sua carriera d’attore come una vera e propria linea guida e “cavallo di battaglia”. Dopo il fortunato sceneggiato televisivo di Bolchi e La leggenda del grande inquisitore, questo “nuovo Karamazov” è per Orsini l’occasione di confrontarsi direttamente con la complessità del personaggio più controverso e tormentato dell’intera epopea letteraria: Ivan Karamazov, il libero pensatore che teorizza l’amoralità del mondo e conduce forse consapevolmente all’omicidio l’assassino di suo padre; Ivan Karamazov, protagonista controverso e tormentato, colpevole e innocente insieme, ritorna a parlare, come un uomo ormai maturo che sente di non aver esaurito il suo compito, che sente il suo personaggio romanzesco troppo limitato per esprimere la complessità del suo pensiero e chiarire le esatte dinamiche dei “delitti” e dei castighi”… E così si confessa e cerca di raccontare la sua storia. Compila le sue memorie e tenta di fare luce sui propri sentimenti e sulla propria filosofia, provandosi a svelarne le implicazioni criminali in un vero e proprio thriller psicologico e morale il cui più alto vertice resta l’immaginario poema di Ivan che narra del confronto metaforico tra un Cristo ritornato sulla terra e un vecchio inquisitore che crede che Egli si meriti il rogo.
Nella ricchezza d’un linguaggio penetrante quanto immediato e nell’avvicendarsi degli stati psicologici d’un personaggio “amletico” e imprendibile, Umberto Orsini è il grande protagonista d’un inedito viaggio nell’umana coscienza che non teme di affrontare tabù antichi e moderni (la morte del padre, l’esasperato vitalismo, l’incontro con il diavolo…) precipitando Ivan Karamazov nel suo personale “sottosuolo” dal quale egli compone delle allucinate eppure lucidissime memorie, quarant’anni dopo le vicende del romanzo di Dostoevskij.
L’attore, accompagnato da una musica in stringente e fervido dialogo emotivo con le parole ch’egli pronuncia, dà luogo ad una straziata e commovente confessione a tu per tu con sé stesso e con i propri fantasmi, a metà tra la finzione letteraria e il “pirandelliano” dissidio con un personaggio in cui ritrova le espressioni più oscure del proprio “io”.
LE MEMORIE DI IVAN KARAMAZOV – Note di Umberto Orsini
Sembra incredibile ma è quasi mezzo secolo che conosco il signor Ivan Karamazov. L’ho incontrato in uno studio televisivo di Via Teulada, a Roma, e da allora ci siamo guardati nello specchio e ci siamo confusi uno nell’altro al punto di identificarci o de-identificarci. L’ho costruito giorno dopo giorno quell’Ivan, gli ho dato un aspetto severo, l’ho fatto diventare biondissimo, quasi albino, gli ho messo un paio di occhialini tondi e dei colletti inamidati di fresco. L’ho difeso da una sceneggiatura che lo penalizzava, battendomi per dare lo spazio adeguato all’importanza del suo “Grande Inquisitore”, inizialmente dato per troppo cerebrale e dunque probabilmente indigesto al grande pubblico. Con lui, specchiandomi in lui, ho trascinato il pubblico ad un ascolto record in una puntata dei “I Fratelli Karamazov” che lo vedeva impegnato in una discussione sull’esistenza di Dio. È lì che ci siamo incontrati, negli anni Settanta, e da allora è stato difficile, per chi in quegli anni ha seguito quella trasmissione, separare la sua immagine dalla mia. E, a poco a poco, anch’io mi sono illuso di essere il depositario di quell’immagine, di essere diventato il suo doppio, il suo SOSIA, per dirla col suo autore, il signor Dostoevskij. E, negli anni successivi a quel primo incontro in cui gli avevo prestato le mie sembianze, ho sempre cercato di seguirlo anche fuori dal contesto del romanzo, immaginando per lui una longevità e un finale che il suo autore gli aveva negato. Mi sono dunque preso la libertà di rappresentarlo come un personaggio che resiste nel tempo, e mi sono chiesto, e gli ho fatto chiedere, perché mai l’autore, il suo creatore, lo abbia abbandonato non-finito. E questo non-finito me lo sono trovato tra le mani oggi, come in-finito e dunque meravigliosamente rappresentabile perché immortale e dunque classico. “La vera vita degli uomini e delle cose comincia soltanto dopo la loro scomparsa” è una frase di Nathalie Sarraute che ho inserito in questo spettacolo e che, in qualche modo, ne riassume il senso. Sono grato a Luca Micheletti di aver condiviso la mia passione per i temi che lo spettacolo sollecita accarezzando la mia persona con grande cura e protezione. Come si conviene a due vecchi signori: il signor Ivan Karamazov e il sottoscritto.
IVAN E IL SUO DOPPIO – Note di regia di Luca Micheletti
Il cuore drammaturgico e registico di queste nostre Memorie di Ivan Karamazov è quello d’una sofferta e sibillina riflessione sull’identità. Assumendo il romanzo come nucleo mitologico “a monte”, ci siamo chiesti chi sia Ivan. Un personaggio, d’accordo. Ma anche l’incarnazione romanzesca di un nodo ideologico cruciale e, quindi, un alter ego dell’autore… Ivan è una creatura narrativa che, nonostante le diffuse connotazioni che lo descrivono e le molte pagine che Dostoevskij gli dedica, sfuma nell’imprendibile: è la maschera e il pretesto di logiche segrete, negate. È un protagonista che si sottrae alla centralità, individuo che si rifrange in una pluralità di riflessi cangianti, è un’invenzione sospesa, quasi incompiuta. Identità plurime e osmotiche, cui nel nostro caso se ne affiancano anche altre, di natura metateatrale. Sì, perché il nostro Ivan è anche un personaggio-ossessione, che accompagna cinquant’anni di carriera di un mirabile “capitan Achab” della nostra scena, un attore che insegue la sua balena enorme e veloce, la arpiona e si lascia trascinare… dapprima in uno sceneggiato-feticcio che la RAI manda in onda nel 1969, poi in diverse incursioni sottotraccia che sfociano in uno spettacolo sul solo “Grande Inquisitore” di un decennio fa, e ora in questo confronto a tu per tu con l’intera parabola romanzesca di Ivan, che è anche una personale ricapitolazione di luoghi e memorie. Ivan e Umberto, il personaggio e l’attore che lo incarna, osservano la loro storia, esplorano i loro ricordi, riascoltano le loro testimonianze a più voci (che sono poi sempre una sola, quella di Orsini, che risponde oggi alla sua voce
di cinquant’anni fa… incredibile occasione!), celebrando un accorato e solitario processo di sincronizzazione interiore.
Dostoevskij abbandona Ivan al suo destino dopo il processo per il parricidio: è sembrato interessante ripartire da lì, dal processo. Prigioniero di quell’aula, di un finale mai scritto, di una sentenza sbagliata, il nostro Ivan continua ad aggirarsi tra i frammenti della sua esistenza, osservati come prove materiali di fatti e memorie che riemergono a strappi, negli spazi di lucidità che gli concedono le febbri cerebrali, nel circolare affastellarsi di teorie e ricordi, in un girotondo giudiziario kafkiano e grottesco, sempre meno reale, che inesorabilmente scivola nell’ultraterreno.
acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/le-memorie-di-ivan-karamazov/210392
Dal 25 al 29 ottobre
dal martedì al venerdì h 21 – sabato h 19 – domenica h 17
debutto mercoledì 25 ottobre 2023 h 21
LA FABBRICA DEGLI ATTORI
con Ilaria Arnone, Jacopo Carta, Eny Cassia Corvo, Vanda Colecchia, Leonardo Della Bianca, Chiara Di Lullo, Leonardo Di Pasquale, Luca Ingravalle, Fabiola Leone, Paolo Madonna, Federico Nardoni, Fausto Peppe, Maria Vittoria Perrillo, Domenico Pincerno, Michele Scarcella, Maria Grazia Trombino, Teresa Vigilante
regia Giacomo Bisordi
drammaturgia Federico Bellini
scene, costumi e luci Marco Giusti & Clémence Kazémi
suono Dario Felli
video Igor Renzetti
movimenti Marco Angelilli
assistenti alla regia Consuelo Bartolucci, Enrico Faliero
produzione Compagnia dell’Accademia Nazionale D’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” e La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello
Durata: Spettacolo in allestimento
Nella foto La prima classe dell’Accademia 1936
Silvio D’Amico, critico teatrale tra i più incisivi del primo novecento, nell’atto costitutivo dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, parlava della necessità di un luogo dedicato alla formazione d’un attore che potesse rinnovare il teatro e con esso – non senza uno slancio idealistico – la comunità. Partendo da lì, quali sono gli attori e le attrici che dovrebbero essere “fabbricati” oggi? Che cosa sono disposti a fare gli studenti e le studentesse dell’Accademia per vivere del mestiere che hanno scelto? La fabbrica degli attori, è una drammaturgia originale basata sulla ricostruzione di frammenti dei saggi storici dell’Accademia, reinterpretazioni di testimonianze degli allievi e delle allieve che hanno ottenuto il riconoscimento dal sistema produttivo nazionale, rielaborazioni dell’immenso archivio video esistente sulla storia della scuola stessa e materiali originali del cast. È un lavoro che vuole essere piccola storia d’Italia, riflessione sull’idea di Scuola pubblica oggi e, forse, un manifesto per un teatro in una società incandescente.
acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/la-fabbrica-degli-attori/210384
dal 7 al 19 novembre
TRILOGIA DEL VENTO
La Classe – Una cosa enorme – Il grande vuoto
regia Fabiana Iacozzilli
produzione La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello – Cranpi – La Corte Ospitale
in corealizzazione con Romaeuropa Festival
La trilogia del vento è un trittico in cui Fabiana Iacozzilli si interroga su tre tappe dell’esistenza umana: l’infanzia e il rapporto con i maestri che ci mostrano o ci impongono delle vie da percorrere; la maturità e il rapporto con la genitorialità e la cura e, infine, la vecchiaia in rapporto con il vuoto e il senso della memoria. I punti di partenza sono stati da un lato – e per la prima volta – il dato biografico dell’autrice e dall’altro il lavoro di nutrimento della materia artistica, condotto attraverso le interviste a donne e uomini pronti a condividere una scheggia della propria vita.
dal 7 al 9 novembre
martedì, mercoledì e giovedì h 21
La classe
un docupuppets per marionette e uomini
uno spettacolo di Fabiana Iacozzilli | Cranpi
UBU 2019: Vincitore miglior progetto sonoro; nomination per miglior spettacolo di teatro, migliore regia, miglior scenografia
Vincitore Premio della critica ANCT 2019
Vincitore in-Box 2019
Selezione L’Italia dei Visionari – Kilowatt Festival 2019
Vincitore del bando di residenze interregionali CURA 2018
Finalista Premio Tuttoteatro.com alle arti sceniche Dante Cappelletti 2018
Finalista Teatri del Sacro 2017
collaborazione alla drammaturgia Marta Meneghetti, Giada Parlanti, Emanuele Silvestri
collaborazione artistica Lorenzo Letizia, Tiziana Tomasulo, Lafabbrica
performer Michela Aiello, Andrei Balan, Antonia D’Amore, Francesco Meloni, Marta Meneghetti
scene e marionette Fiammetta Mandich
luci Raffaella Vitiello
suono Hubert Westkemper
fonico Jacopo Ruben Dell’Abate
assistenti alla regia Francesco Meloni, Silvia Corona, Arianna Cremona
foto di scena Tiziana Tomasulo, Valeria Tomasulo
consulenza Piergiorgio Solvi
un ringraziamento a Giorgio Testa
un ringraziamento speciale ai compagni di classe
produzione Cranpi, La Fabbrica dell’Attore-Teatro Vascello Centro di Produzione Teatrale,
Carrozzerie n.o.t
con il contributo di MiC – Ministero della Cultura
con il supporto di Residenza IDRA e Teatro Cantiere Florida/Elsinor
nell’ambito del progetto CURA 2018 e di Nuovo Cinema Palazzo
con il sostegno di Periferie Artistiche Centro di Residenza Multidisciplinare della Regione Lazio
DEBUTTO: Romaeuropa Festival 2018
Durata 60’
La classe è un docupuppets con pupazzi e uomini. Un rito collettivo – in bilico tra La Classe morta di Tadeusz Kantor e I cannibali di George Tabori – in cui dei bimbi interpretati da pupazzi rileggono i ricordi di un’infanzia vissuta nella paura di buscarle. Una storia che Fabiana Iacozzilli fa nascere dai ricordi degli anni trascorsi nella scuola elementare all’istituto “Suore di carità” e in particolare da quelli legati alla sua maestra, Suor Lidia.
Queste marionette, questi pezzi di legno, si muovono senza pathos su tavolacci che rimandano a banchi di scuola, ma anche a tavoli da macello o a tavoli operatori di qualche esperimento che fu. Tutto intorno, silenzio. Solo rumori di matite che scrivono e compagni che respirano. I genitori sono solamente disegnati su un cadavere di lavagna ma poi ben presto cancellati. Nel silenzio dei loro passi, questi corpicini di legno si muovono nel mondo terrorizzante di Suor Lidia, unica presenza in carne ed ossa che sfugge alla vista di pupazzi e spettatori. In questa ricerca di pezzi di memorie andate, emerge il ricordo in cui Suor Lidia affida a Fabiana la regia di una piccola scena per una recita scolastica decidendo, forse, insieme a lei, la vocazione della sua alunna.
acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/la-classe/210383
Dal 10 al 12 novembre
venerdì h 21, sabato h 19 domenica h 17
Una cosa enorme
uno spettacolo di Fabiana Iacozzilli
Spettacolo vincitore Last Seen 2021 Krapp’s Last Post
con Marta Meneghetti, Roberto Montosi
scene Fiammetta Mandich
luci Luigi Biondi, Francesca Zerilli
suono Hubert Westkemper
realizzazione body suit Makinarium (special – visual – effects)
collaborazione ai costumi Davide Zanotti, Anna Coluccia
aiuto regia Francesco Meloni
assistente alla regia Cesare Santiago Del Beato
assistente alla drammaturgia Carola Fasana
fonico Jacopo Ruben Dell’Abate
collaborazione artistica Lorenzo Letizia, Luca Lòtano, Ramona Nardò
foto di scena Manuela Giusto
un ringraziamento a Giorgio Testa
produzione Cranpi, La Fabbrica dell’Attore-Teatro Vascello Centro di Produzione Teatrale, Fondazione Sipario Toscana-Centro di Produzione teatrale, Carrozzerie | n.o.t
con il contributo di MiC – Ministero della Cultura, Regione Lazio – Direzione Regionale Cultura e Politiche Giovanili – Area Spettacolo dal Vivo
con il sostegno di Teatro Biblioteca Quarticciolo, Periferie Artistiche Centro di Residenza Multidisciplinare della Regione Lazio, ATCL Circuito multidisciplinare della Regione Lazio per Spazio Rossellini
con il supporto di Nuovo Cinema Palazzo, Labirion Officine Trasversali
DEBUTTO: Biennale Teatro 2020
Durata 90’
Si ringraziano Sheila Heti, Orna Donath e tutte le donne e gli uomini intervistat_ durante il cammino. Le loro storie hanno dato la possibilità di fare luce su una materia ancora così incandescente.
Il desiderio di essere madre e la paura di diventarlo, la capacità di prendersi cura e la difficoltà di generare sono il cuore di questo lavoro.
In scena una donna con una pancia enorme. La donna si muove nel suo spazio fatto di pochi oggetti tra i quali riesce ancora a essere sé stessa: un frigorifero, una macchina del gas, una poltrona, una pianta morta. La donna è in costante e paranoico ascolto di una minaccia che incombe dall’alto. È incinta da un tempo indefinito e da un tempo infinito cerca di tenere dentro di sé il proprio pargolo, di impedirgli di venire al mondo.
Che peso ha nelle viscere di una donna l’essere o il non essere madre? Che forma o che resistenza accanita assumiamo nel ritrovarci a doverci prendere cura di qualcuno? Che peso ha un figlio e che peso ha un padre morente?
In una lentezza serrata, senza scampo, Una cosa enorme parte dal confronto aperto con l’essere generativo per spostare poi la domanda sull’essere generati. Fabiana Iacozzilli declina le molte interviste fatte nel corso del processo artistico e le parole di Orna Donath e di Sheila Heti sull’essere madri, nel silenzio, fino a dissolvere l’azione scenica in una dimensione installativa.
acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/una-cosa-enorme/210401
Dal 15 al 19 novembre
dal mercoledì al venerdì h 21, sabato h 19 e domenica h 17
prima nazionale mercoledì 15 novembre h 21
Il grande vuoto
uno spettacolo di Fabiana Iacozzilli
dramaturg Linda Dalisi
performer Ermanno De Biagi, Francesca Farcomeni, Piero Lanzellotti, Giusi Merli e con Mona Abokhatwa per la prima volta in scena
progettazione e realizzazione scene Paola Villani
luci Raffaella Vitiello
musiche originali Tommy Grieco
suono Hubert Westkemper
video Lorenzo Letina
fonico Jacopo Ruben Dell’Abate
aiuto regia Francesco Meloni
assistenti Virginia Cimmino, Francesco Savino, Veronica Bassani, Enrico Vita
collaborazione artistica Marta Meneghetti, Cesare Santiago Del Beato
foto di scena Laila Pozzo
produzione Cranpi, La Fabbrica dell’Attore-Teatro Vascello Centro di Produzione Teatrale,
La Corte Ospitale, Romaeuropa Festival
con il contributo di MiC – Ministero della Cultura
con il sostegno di Accademia Perduta / Romagna Teatri, Carrozzerie n.o.t, Fivizzano 27,
Residenza della Bassa Sabina, Teatro Biblioteca Quarticciolo
Durata 90’
DEBUTTO: Romaeuropa Festival 2023
Si ringraziano Luisa Pacilio, Martina Bonati, Martina Tirone, Clara Greco, Benjamin Miller,
Mirko Lorusso, Irene Paloma Jona, Marco Ferrara, Beth McCreton
Il Grande vuoto indaga l’ultimo pezzo di strada che una famiglia percorre prima di svanire nel vuoto e, questo dissolversi, è amplificato dal progressivo annientamento delle funzioni cerebrali della madre a causa di una malattia neurodegenerativa. Al progressivo svuotarsi del cervello della madre fa eco lo svuotarsi di esseri umani dalla casa, mentre questa si popola di oggetti, di ricordi che aumentano pesano e riempiono tutte le stanze. Il lavoro trova risonanze e spunti in “Una donna” di Annie Ernaux, e nel romanzo “Fratelli” di Carmelo Samonà ed è il tentativo di raccontare una grande storia d’amore: quella tra una madre, i suoi figli e un padre che muore.
Ne’ Il Grande vuoto la narrazione teatrale si contamina con il video per raccontare che grazie alle fotocamere Tapo e i loro video ad alta risoluzione con visione notturna fino a trenta piedi, un figlio può continuare a vivere la propria vita ed entrare senza essere visto in quella del proprio genitore. Guardare la madre giocare al solitario, fissare la televisione spenta, parlare con persone che non esistono, non farsi il bidet, piangere, stare seduta e ferma sul bordo del letto, passare la notte a tirare fuori dai cassetti fotografie pezzi di carta mutande sporche per poi rimetterli dentro.
Tante le domande che ci hanno spinto a sprofondare in questa materia artistica, ad addentrarci in questa ricerca su cosa rimane di noi e se resta qualcosa di quello che siamo stati mentre ci approssimiamo alla fine, ma una su tutte è forse la più incandescente bella e giusta per il lavoro ed è quella letta in un fumetto della autrice Giulia Scotti: “il punto è trasformare il dolore in bellezza. Ci riusciremo ancora?”
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Fabiana Iacozzilli
Regista-autrice porta avanti un lavoro di ricerca improntato sulla drammaturgia scenica e sulle potenzialità espressive della figura del performer. Collabora dal 2013 con il Teatro Vascello e dal 2017 con Cranpi e Carrozzerie N.O.T. Dal 2011 è membro del LINCOLN CENTER DIRECTORS LAB (Metropolitan di New York). Tra i suoi spettacoli: “Aspettando Nil” con il quale vince l’Undergroundzero Festival di New York; La trilogia dell’attesavincitrice del Play Festival (Atir e Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa); Da soli non si è cattivi. Tre atti unici dai racconti di T. Tomasulo e La classe che vince il bando di residenze interregionali CURA 2018, debutta a Romaueropa Festival 2018 e vince il Premio In-Box 2019, il Premio della Critica ANCT 2019 e ottiene quattro nomination UBU 2019 (miglior progetto sonoro vinto da H. Westkemper). Nel luglio 2020 Una cosa enorme debutta alla Biennale Teatro 2020 e replica a REf2021. Nel 2021 è regista di “Abitare il ritorno” progetto di teatro comunitario ideato da Asinitas inserito in INCROCI (progetto di interscambio tra realtà che usano il teatro come strumento di interazione culturale) e nel progetto di scambio internazionale di pratiche teatrali Literacy Act. Nel 2022 cura la mise en lecture di En Abyme per la Biennale di Venezia 2022. Attualmente cura insieme a CRANPI un progetto di teatro integrato rivolto a giovani performers e giovani donne che soffrono di disturbi alimentari in cura presso Villa Pia-Italian Hospital Group di Guidonia Montecelio (RM). Contemporaneamente è al lavoro sulle sue prossime produzioni del 2023: Il Grande vuoto e En Abyme.
dal 23 al 26 novembre
giovedì e venerdì h 21, sabato h 19, domenica h 17
LA LUNA DEI BORBONI
da una poesia di Vittorio Bodini
coreografie di Fredy Franzutti
musiche originali di Rocco Nigro e Giuseppe Spedicato
eseguite dal vivo da Brancaleone Project
set di Fredy Franzutti
compagnia: Balletto del Sud
produzione Balletto del Sud
durata: 75’
LA LUNA DEI BORBONI
Lo spettacolo, ispirato all’omonima poesia di Vittorio Bodini, inscena le atmosfere evocative dell’area mediterranea raccontata dal poeta.
La Luna dei Borboni, spettacolo di danza in un atto dedicato alla poetica di Vittorio Bodini.
Le musiche scritte per le coreografie di Franzutti da Rocco Nigro (fisarmonica) e Giuseppe Spedicato (basso) saranno suonate dal vivo – accompagnati da Giorgio Distante (tromba), con cui formano il trio Brancaleone Project.
Una delle produzioni più moderne del repertorio della compagnia, che ha riscosso, fin dalle prime rappresentazioni, gran successo di pubblico e lodi dalla critica è stata creata da Fredy Franzutti ispirandosi all’omonima opera poetica – quest’anno ricorrono i settant’anni dalla prima pubblicazione – di Vittorio Bodini, poeta e traduttore italiano, considerato il maggiore interprete e traduttore italiani della letteratura spagnola.
Il Sud è per Bodini – e per lo spettacolo – un’originale “invenzione”, che parte da una precisa realtà storica e geografica, con tutti i problemi di natura sociale ed economica, e si elabora in una reinvenzione fantastica. Il luogo è fatto di atmosfera, di costumi, di abitudini di una concreta realtà e si parte da questi per poi trasfigurarli in un progetto metafisico. La situazione è sognante e rilassata come il ricordo di una festa di un Santo patrono nella piazzetta del quartiere (Le Scalze), dove eravamo ancora tutti assieme, tutti vivi.
Franzutti usa un linguaggio personale proteso verso il teatro contemporaneo e utilizza come elementi ispirativi e asse della ricerca le pertinenze territoriali con il Sud, inteso come appartenenza alla Magna Grecia, il rapporto con i popoli del mare, l’utilizzo della matrice popolare e l’argomento del testo poetico per creare la nuova narrativa coreografica.
Dopo il debutto nella stagione 2021, e di una tournée estiva che ha fatto tappa in alcuni Festival di danza italiani e una replica in novembre a Lecce, lo spettacolo ha avuto una tournée in Spagna, nel Teatro Municipal Castelar di Elda e nella Factoria Cultural de Terrassa/Barcellona.
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Breve bio Balletto del Sud
Il “Balletto del Sud” nasce nel 1995 fondato e diretto da Fredy Franzutti, coreografo di agile eclettismo, fra i più conosciuti e apprezzati in Italia e all’estero. La compagnia ha un organico di 20 elementi di diverse nazionalità, con solisti di elevato livello tecnico in grado di alternarsi nei ruoli principali e possiede un vasto e vario repertorio di quarantasei produzioni comprendente i grandi titoli della tradizione, coreografati in elaborazioni creative da Fredy Franzutti, e nuovi spettacoli, di concezione moderna, tratti da fonti letterarie e spesso realizzati con arti integrate: teatro, musica e danza. L’elenco si completa con progetti di ricostruzione e rievocazione del repertorio classico.
Le molteplici tournée, in Italia e all’estero, annoverano importanti teatri e festival per un totale di circa 100 spettacoli ogni anno.
Vittoria Ottolenghi, che da subito individua la compagnia definendola «…grintosa, realmente stabile e decisamente superiore alla media delle altre compagnie del nostro paese» invita il Balletto del Sud a molte “Maratone internazionali di danza” da lei organizzate.
Negli anni hanno partecipato agli spettacoli artisti come Carla Fracci, Luciana Savignano, Lindsay Kemp, Alessandro Molin, Xiomara Reyes, Letizia Giuliani.
L’attività si arricchisce di collaborazioni con orchestre, compositori, musicisti e direttori scenografi costumisti, attori e personaggi dello spettacolo che hanno contribuito al successo riconosciuto dalla critica e dal pubblico. «Magnifica realtà tersicorea che da tempo si è posta in una posizione privilegiata nella costellazione delle compagnie di danza italiane.»(Nicola Sbisà – Gazzetta del Mezzogiorno)
Breve Bio Fredy Franzutti
Coreografo italiano di agile eclettismo, ospite di realtà di prestigio internazionale, fonda nel 1995, il “Balletto del Sud” compagnia per la quale crea un vasto repertorio di spettacoli di un genere che spazia dalla ricerca del contemporaneo, alla rivisitazione moderna dei classici.
Crea, con il suo linguaggio, spettacoli per il Teatro “Bolscioj” di Mosca, per il Teatro dell’Opera di Roma (6 produzioni), per il Teatro dell’Opera di Sofia (come coreografo residente dal 2019 al 2021), per l’Opera di Montecarlo, Bilbao, Tirana, Magdeburg e per diversi eventi Rai e per altre reti nazionali. Cura le danze di opera in Francia, Spagna, Russia e numerose in Italia (tra cui: R.O.F di Pesaro, terme di Caracalla, Teatro Lirico di Cagliari, Bellini di Catania, Petruzzelli di Bari). Crea appositamente spettacoli ed eventi per inaugurazioni. Danzano sue coreografie alcuni tra i più importanti ballerini del mondo come Carla Fracci, Luciana Savignano, Lindsay Kemp, Xiomara Reyes e Vladimir Vassiliev.
martedì, mercoledì e giovedì h 21
COME UN ANIMALE SENZA NOME
da Pier Paolo Pasolini
un progetto di e con Lino Musella
musiche dal vivo di Luca Canciello
drammaturgia di Igor Esposito
produzione La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello – Cadmo
durata 60’
Torna a grande richiesta, Lino Musella, attore fra i più amati e premiati della sua generazione, con un’opera-concerto originale, su testi di Pier Paolo Pasolini, dal titolo Come un animale senza nome.
Il poema autobiografico del “Poeta delle ceneri” sarà la colonna vertebrale del corpus poetico pasoliniano che la voce di Lino Musella renderà in forma di costellazione sonora, nuova e vibrante, accompagnata dalle sonorità musicali del Maestro Luca Canciello.
La straordinaria e misteriosa potenza del fantasma pasoliniano torna a interrogare il nostro presente a più di cento anni dalla nascita del poeta.
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venerdì h 21, sabato h 19 e domenica h 17
L’AMMORE NUN’E’ AMMORE
30 sonetti di Shakespeare traditi e tradotti da Dario Jacobelli
con Lino Musella e Marco Vidino 8cordofoni e percussioni)
regia Lino Musella
produzione Elledieffe, Cadmo associazione culturale
Durata: 60’
Lino Musella, abituato a muoversi tra cinema e teatro, è qui protagonista di un affascinante percorso poetico attraverso gli immortali versi di Shakespeare, qui “traditi” in napoletano dall’artista Dario Jacobelli.
L’ammore nun’è ammore – nato a Le vie dei Festival, grazie ad un precedente studio realizzato alla Festa di Teatro Eco Logico di Stromboli – è un’originale ‘recita dei sentimenti’ tra emozioni, atmosfere magnetiche e intensi desideri. Musella racconta l’amore, la bellezza e la caducità della vita in una lingua coraggiosa, viscerale e seducente. Ad affiancarlo sulla scena, Marco Vidino – ai cordofoni e alle percussioni – con le sue musiche suggestive e avvolgenti che accompagnano gli spettatori in questo intimo viaggio. Dario Jacobelli, poeta scomparso prematuramente nel 2013, autore di racconti e romanzi, abile paroliere per musicisti come i Bisca, i 99 Posse e gli Almamegretta – ricorda l’attore – si dedicò negli ultimi anni della sua vita alla traduzione in napoletano e al tradimento, come amava definirlo, di 30 Sonetti di Shakespeare. Non aveva scadenze, non doveva rispettare le indicazioni o correzioni di nessun editore. Per committenti aveva i suoi amici più cari ai quali dedicava ogni sua nuova traduzione. I Sonetti in napoletano suonano bene. Battono di un proprio cuore. Indossano una maschera che li costringe a sollevarsi dal foglio per prendere il volo, tenendo i piedi per terra.
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dal 5 al 10 dicembre
dal martedì al venerdì h 21, sabato h 19 e domenica h 17
L’ARTE DELLA FUGA
Coreografia Mauro Astolfi
Interpreti Lorenzo Capozzi, Alessandro Piergentili, Miriam Raffone, Maria Cossu, Mario Laterza, Giuliana Mele, Mateo Mirdita, Anita Bonavida, Martina Staltari
Assistente alla Coreografia Alessandra Chirulli
Musica J.S. Bach
Musica originale Davidson Jaconello
Disegno Luci Marco Policastro
Set concept Mauro Astolfi, Marco Policastro
Realizzazione costume Anna Coluccia
Realizzazione Scenografie Scenario
produzione Spellbound company
con il contributo del Ministero della Cultura coproduzione Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza e Fondazione Teatro Comunale di Modena.
Durata: 60’
L’Arte della fuga è una delle più emblematiche ed enigmatiche opere di Johann Sebastian Bach. Un capolavoro che presenta caratteristiche di grande fascino: se, da un lato, è un’opera senza un assetto definitivo in quanto non fu mai terminata dal compositore, dall’altro questo senso di indeterminatezza è dato anche dall’assenza di indicazione di un organico strumentale specifico per l’esecuzione del lavoro.
Hans-Eberhard Dentler teorizzò che l’Arte della fuga fosse scritta da Bach per visualizzare principi filosofici pitagorici: il vocabolo stesso “fuga” potrebbe essere interpretato come ‘volo’, inteso tanto in riferimento alle frasi musicali quanto all’ascesa dell’anima a Dio.
“Una fuga è fatta ad Arte se nessuno se ne accorge. Se anzi che scappare da qualcosa o qualcuno, mi confondo con gli altri, mi vesto come loro, uso le loro parole. Per non farmi trovare non c’è niente di meglio che cambiare le mie abitudini, trovare sempre un muro dove nascondermi e li incontro sempre qualcun altro che è fuggito da qualcosa…
La fuga può mascherare la realizzazione di un desiderio o forse è l’unico modo consentito di scappare da un mondo che mi crea imbarazzo. La mia fuga in realtà è un’antifuga, è una prospettiva. È il mio bisogno di guardare la vita con altri occhi. È importante scappare ogni tanto, mi aiuta ad accendere la luce su qualche “zona” buia, ma non serve per rimuovere o dimenticare la sensazione di quello che sono infatti rimarrà all’interno della mia mente per sempre, anche quando la fuga sarà finita. Sono fuggito per essere gentile con me stesso…ora posso tornare dagli altri. Anche loro qualche volta hanno provato il desiderio di andarsene e sparire dal mondo. Sono persone. “Mauro Astolfi
Spellbound Contemporary Ballet, prodotta da Associazione Spellbound, nasce nel 1994 per volontà del coreografo Mauro Astolfi cui si è aggiunta alla guida due anni dopo Valentina Marini con cui la compagnia ha avviato una intensa attività di internazionalizzazione. Spellbound si colloca oggi nella rosa delle proposte italiane maggiormente competitive sul piano internazionale, convincendo le platee dei principali Festival di Europa, Asia, Americhe. L’esperienza di quasi 30 anni in ambito professionale ha rafforzato il know how di un team consolidato di professionisti capace di accogliere progetti di produzione e gestione con una spiccata vocazione all’internazionalizzazione. Dal 2015 la struttura allarga il proprio campo d’azione accogliendo anche altri artisti in produzione in una rinnovata visione plurale. Le attività di Spellbound infatti, oltre alla centralità autoriale del coreografo Mauro Astolfi, principale coreografo residente, abbracciano una serie di progetti in rete anche con altri artisti e istituzioni su scala internazionale, come la coproduzione internazionale “Pa|Ethos” a firma del coreografo tibetano Sang Jijia in collaborazione con Fabbrica Europa, Scuole Civiche Paolo Grassi, Marche Teatro, Bejing Dance Festival, “La Mode”, installazione a firma di Tomoko Mukayiama e Tojo Ito che ha inaugurato il National Taichung Theater a Taiwan nell’ottobre 2016, la performance installazione “R e Mark” a cura del coreografo Sang Jijia in rete produttiva con Fondazione Fabbrica Europa , City Contemporary Dance Company Hong Kong, Versilia Danza, il progetto “Collapse” a firma di Francesco Sgrò , la coproduzione in partnership con Grand Theater de Luxembourg nel 2019 in collaborazione con Jean Guillaume Weis, già artista presso Tanztheater Wuppertal Pina Baush, Spellbound 25 a firma di Astolfi, Marcos Morau, Marco Goecke in occasione del venticinquennale nel 2020 e il recente “We, us and other games” a firma di Dunja Jocic in collaborazione con Bolzano Danza. Dal 2000 l’attività di Spellbound è sostenuta dal Ministero della Cultura e dal 2022 è accreditata nel ruolo di Centro di Produzione Nazionale della Danza con il più ampio progetto ORBITA|Spellbound co-diretto da Astolfi e Marini. La visione verso la fattispecie di Centro di Produzione nasce dalla volontà di Spellbound, impegnata da oltre 25 anni in ambito produttivo, formativo e di programmazione e circuitazione della danza, a mettere a disposizione questo patrimonio a una comunità più allargata: una casa produttiva che svolge una funzione di cerniera tra le risorse creative in essere sul territorio romano e la filiera produttiva su scala nazionale e internazionale. Pensato a misura di una città metropolitana Orbita trova il suo cuore presso il Teatro Palladium e dirama le sue attività in spazi satellite della città, diversi per funzioni e identità, come il Teatro Biblioteca Quarticciolo e il Teatro Rossellini. Le diverse funzioni del Centro convergono nell’impegno di promuovere i linguaggi performativi e la danza che trovano nella dimensione del corpo, delle soggettività politiche, culturali e di salute che vi si incarnano, un campo di scambio di pratiche, conoscenze e competenze con ricadute sul piano sociale e politico.
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Dal 12 al 17 dicembre
dal martedì al venerdì h 21, sabato h 19 e domenica h 17
AMISTADE
di Antonio Rezza e Flavia Mastrella
con Antonio Rezza, Ivan Bellavista
e la presenza straordinaria di Fabrizio De Andrè
Una contaminazione di: Flavia Mastrella, Antonio Rezza sfuggita dalle labbra di Dori Ghezzi
montaggio: Barbara Faonio
assistente alla creazione per Fratto_X: Massimo Camilli
disegno luci: Daria Grispino
luci e tecnica: Alice Mollica
progetto video mapping e suono: Giacomo Sanna e Pietro Soru
video e audio: Giorgia Mascia e Alessandro Pulloni
macchinista: Andrea Zanarini
organizzazione: Marta Gagliardi, Michela Murgia e Stefania Saltarelli
produzione: Sardegna Teatro Mixed Reality, RezzaMastrella
in collaborazione con: Fondazione Fabrizio De André, Teatro Vascello di Roma, Fondazione Sardegna Film Commission, Fondazione di Sardegna
con estratti di: FRATTO_X di RezzaMastrella
Materiale Teche Rai su licenza di Rai Com S.p.A. (questa è una voce obbligatoria da contratto RAI)
Durata: 80’
Amistade è una storia a due voci, quella di Fabrizio De André registrata durante i concerti e quella di Antonio Rezza live. Tutto si svolge nell’habitat materico – visuale di Flavia Mastrella potenziato da frammenti di videoproiezioni e video mapping. Insieme a Antonio Rezza in scena c’è Ivan Bellavista. La voce e il movimento si alternano, gli editti di Fabrizio De André, parole del passato, si uniscono alla voce di Antonio Rezza creando una vicenda in continuità con il nostro presente fatto di abusi e veicolazioni di massa straordinariamente efficaci.
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dal 19 al 31 dicembre
dal martedì al venerdì h 21, sabato h 19 e domenica h 17
Il teatro rimarrà chiuso i giorni: 24-25-26 dicembre,
domenica 31 dicembre ore 21:30 Speciale Capodanno
FOTOFINISH
di Antonio Rezza e Flavia Mastrella
con Antonio Rezza e con Ivan Bellavista / Manolo Muoio
(mai) scritto da Antonio Rezza allestimento Flavia Mastrella
produzione RezzaMastrella – La Fabbrica dell’Attore
assistente alla creazione Massimo Camilli luci e tecnica Alice Mollica
organizzazione Marta Gagliardi Stefania Saltarelli macchinista Andrea Zanarini
produzione RezzaMastrella- La fabbrica dell’Attore Teatro Vascello
Durata: 100’
Antonio Rezza Flavia Mastrella
Leoni d’oro alla carriera La Biennale di Venezia 2018
È la storia di un uomo che si fotografa per sentirsi meno solo.
Apre così uno studio dove si immortala fingendosi ora cliente ora fotografo esperto.
E grazie alla moltiplicazione della sua immagine arriva a credersi un politico che parla alla folla. Una folla che non c’è.
Ma che lo galvanizza come tutte le cose che non avremo mai.
Tra un comizio e l’altro arriva a proclamarsi costruttore di ospedali ambulanti che si spostano direttamente nelle case dei malati.
E all’interno di questi ospedali c’è sempre lui: sotto le vesti del primario, sotto quelle del degente e sotto quelle delle suore cappellone che sostituiscono la medicina con gli strumenti della fede.
Ben presto, grazie all’inflazione della sua immagine, è convinto di non essere più solo.
E continua nelle sue scorribande politiche delegando sé stesso alla cultura per costruire impossibili cinema dove l’erotismo differisce dalla pornografia solo per qualche traccia labile di dialogo. E ipotizza incendi e sciagure, ipotizza uscite di sicurezza per portare in salvo lo spettatore medio che lui stesso rappresenta.
Di tanto in tanto torna dal fotografo che è per costringersi a scattarsi nuove foto. E impazzisce a poco a poco.
Ma mai completamente. Nel pieno del suo delirio auto presenzialista arriva a farsi donna con tutta la sua nudità camuffata; e a farsi uomo, pensandosi ora l’una ed ora l’altro, immaginando di uscirci insieme per rientrarsi accanto.
E come politico sblocca ogni piano regolatore per regalarsi una casa ambulante, come gli ospedali, come la disperazione di chi tenta di imbrogliar sé stesso.
E quando è costretto a mettere un cane a difesa della sua abitazione capisce di esser solo e di essere lui quel cane posto a tutela della proprietà.
Ma con un colpo di coda inaspettato torna da cane a politico e accusa gli elettori di non aver capito. Di non aver capito che nulla è mai esistito. L’unica cosa che esisteva era la sua solitudine.
Che non può essere fotografata perché la solitudine è l’assenza di chi non ti è vicino.
L’allestimento scenico è costituito da Cinque elementi, i Totem, che sviluppano le braccia e tentano di contenere il circostante; appesi ai Totem giacciono sculture e volumi mobili che danno la possibilità di percorrere tutto il palco – sono presenti i quadri di scena mutanti – sono dei quadri di scena che scivolando dal supporto metallico diventano abito o appendice del corpo. Apparsi la prima volta nell’allestimento di Barba e Cravatta si sono poi evoluti nel volume con Io.
Il bianco è il colore dominante, in varie tonalità, con squarci di rossi vivaci verdi e blu.
La sfera bianca rotola in uno spazio del quale ignora completamente le regole, vaga come microcosmo mentale abitativo e definitivo.
Lo sferoide con Antonio ruota tra il pubblico nel corridoio centrale del teatro su un prolungamento del palco illuminato. Il mezzo che porta al nulla, munito di ruote, rende agili gli spostamenti.
Sono previste altre presenze umane in scena con Antonio:
Un passeggero – Una folla.
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dal 3 al 14 gennaio 2024
dal martedì al venerdì h 21, sabato h 19 e domenica h 17
debutto mercoledì 3 gennaio h 21
HYBRIS
di Antonio Rezza e Flavia Mastrella
con Antonio Rezza
e con Ivan Bellavista, Manolo Muoio, Chiara Perrini, Enzo Di Norscia, Antonella Rizzo, Daniele
Cavaioli e con la partecipazione straordinaria di Maria Grazia Sughi
(mai) scritto da Antonio Rezza
habitat Flavia Mastrella
assistente alla creazione Massimo Camilli
disegno luci Daria Grispino
luci e tecnica Alice Mollica
organizzazione generale Marta Gagliardi, Stefania Saltarelli
macchinista Andrea Zanarini
produzione RezzaMastrella, La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello, Teatro di Sardegna
coproduzione Spoleto, Festival dei Due Mondi
ufficio stampa Chiara Crupi – Artinconnessione
durata: 80’
Debutto: 7 luglio 2022 – Spoleto Festival dei Due Mondi
Come si possono riempire le cose vuote? È possibile che il vuoto sia solo un punto di
vista? La porta…perché solo così ci si allontana. Ognuno perde l’orientamento, la
certezza di essere in un luogo, perde il suo regno così in terra e non in cielo. L’uomo fa
il verso alla belva. Che lui stesso rappresenta. Senza rancore. La porta ha
perso la stanza e il suo significato, apre sul nulla e chiude sul nulla. Divide quello che
non c’è… intorno un ambiente asettico fatto di bagliori. L’essere è prigioniero del corpo, fascinato dall’onnipotenza della sua immagine trasforma il suo aspetto per raggiungere la bellezza immobile e silente che tanto gli è cara. Le gabbie naturali imposte dal mondo legiferano della nascita, della crescita e della cultura, ma la morte è come al solito insabbiata; ai bambolotti queste cose
sembrano inutili sofferenze, antiche volgarità. La porta attraversata dal corpo, che è di cervello e profondamente pigro, si trasforma in un portale nel vuoto; al bordo del precipizio si può immaginare un mondo alternativo ma il bambolotto si lascia abitare da chiunque, di ognuno prende un pezzo, uno spunto, sicuro e consapevole di dare una direzione sua alle cose. La spina dorsale si allunga e si anima: finalmente si divide. Aprire la porta sulle altrui incertezze, sull’ambiguità, sull’insicurezza dell’essere e la meschinità dello stare. Chiunque sta in un punto, detta legge in quel punto. Ci si conosce sotto i piedi, nulla può durare a lungo quando due persone si incontrano esattamente dove sono: e dove stanno non si vede bene perché ci sono i piedi sopra. I rapporti finiscono perché nascono sotto i calcagni, senza rispetto. Piccoli dittatori che fanno della posizione la loro roccaforte. Ma poi barcollano con una porta davanti gestita da un carnefice inesatto che stabilisce dove gli altri vivono. Non cambia molto essere un metro oltre o un metro prima, ma muta lo stato d’animo di chi sapeva dove era e adesso ignora dove andrà perché non sa da dove parte. Chi bussa sta dentro, chi bussa cerca disperatamente che qualcuno da fuori chieda “chi è?”. Bussiamo troppo spesso da fuori per tutelare le poche persone che vivono all’interno, si tratta di famiglie di due o tre elementi, piccoli centri di potere chiusi a chiave. Dovremmo imparare a bussare ogni volta che usciamo, perché fuori ci sono tutti, l’esterno è proprietà riservata, condominio esistenziale, casa aperta. L’educazione va sfoggiata in mezzo agli altri e non pretesa quando ci si spranga insieme al parentato. La famiglia la sera chiude fuori tutta l’umanità, che senso ha accogliere il diverso quando ogni notte ci barrichiamo dichiarando l’invalicabilità della nostra dimora? Infimi governanti delle pareti domestiche, come le bestie. L’uomo diventa circense, domatore della proprietà privata.
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Dal 19 al 27 gennaio
dal martedì al venerdì h 21, sabato h 19 e domenica h 17
debutto venerdì 19 gennaio 2024 h 21
PROCESSO GALILEO
di Angela Demattè e Fabrizio Sinisi
dramaturg Simona Gonella
regia Andrea De Rosa, Carmelo Rifici
con Luca Lazzareschi, Milvia Marigliano e con Catherine Bertoni de Laet, Giovanni Drago, Roberta Ricciardi, Isacco Venturini
regia Andrea De Rosa e Carmelo Rifici
scene Daniele Spanò
costumi Margherita Baldoni
progetto sonoro GUP Alcaro
disegno luci Pasquale Mari
assistenti alla regia Ugo Fiore, Marcello Manzella
una produzione TPE – Teatro Piemonte Europa, LAC Lugano Arte e Cultura, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale in collaborazione con Associazione Santacristina Centro Teatrale
Durata: 100’
L’INEDITA REGIA A QUATTRO MANI DI ANDREA DE ROSA E CARMELO RIFICI
PORTA IN SCENA LA FIGURA DI GALILEO GALILEI E IL RAPPORTO TRA CONOSCENZA, SCIENZA E TECNOLOGIA
Processo Galileo, uno spettacolo che ci invita a riflettere sul rapporto che abbiamo con la verità scientifica, sulla relazione tra scienza e potere e infine sul concetto del mistero, qualcosa che percepiamo, ma ancora non conosciamo, qualcosa con cui il teatro si trova da sempre ad avere a che fare.
Per la sua prima produzione per il TPE, Andrea De Rosa collabora con il regista Carmelo Rifici e i drammaturghi Angela Dematté e Fabrizio Sinisi, con i quali ha immaginato uno spettacolo a più mani che rappresenta una vera novità per le modalità produttive e creative all’interno del panorama teatrale italiano. Liberamente ispirato alla vita e all’opera di Galileo Galilei, Processo Galileo è il frutto della scrittura di Angela Dematté e Fabrizio Sinisi, alla loro prima esperienza di lavoro comune, affiancati dalla dramaturg Simona Gonella. Sono protagonisti Luca Lazzareschi e Milvia Marigliano, attori dalla solida esperienza, Isacco Venturini, già nel cast di importanti produzioni, e Catherine Bertoni de Laet, Giovanni Drago, Roberta Ricciardi. Lo spettacolo si avvale dell’allestimento dichiaratamente installativo dello scenografo Daniele Spanò, del disegno luci di Pasquale Mari, del progetto sonoro di GUP Alcaro e dei costumi di Margherita Baldoni.
Esito di una collaborazione artistica e produttiva inedita nel panorama teatrale, Processo Galileo nasce da una singolare coincidenza: Andrea De Rosa, direttore del TPE Teatro Astra, e Carmelo Rifici, direttore artistico di LAC Lugano Arte e Cultura, stavano lavorando entrambi sul rapporto tra teatro e scienza, tema che è stato loro suggerito dalla recente crisi pandemica. Preso atto della felice coincidenza, i due registi, lontani per formazione, stili ed estetiche, ma affini per sensibilità artistica, si sono confrontati decidendo di misurarsi con l’esperienza della regia collettiva.
Processo Galileo indaga la figura e il pensiero del celebre scienziato toscano e lo fa partendo dalla sua vita, dagli atti del processo che subì e dalla sentenza della Santa Inquisizione. La scrittura densa dei due autori, che sviluppa la narrazione in tre sequenze, ciascuna delle quali corrisponde ad altrettanti processi, attraverso spostamenti temporali indaga i destini e gli interrogativi del mondo contemporaneo. Processo Galileo si compone di tre storie, tre momenti uniti in un unico spettacolo. Un prologo, ambientato nel passato storico in cui avviene l’abiura: le parole del processo a Galileo del 1633, con i suoi personaggi e il suo linguaggio, fungono da punto di partenza e di irradiazione dei diversi temi in gioco – il rapporto tra la scienza e il potere, la tradizione, la coscienza. Un presente, nel quale una giovane donna, madre e intellettuale, è chiamata a raccontare per una rivista divulgativa il nuovo paradigma che la scienza sta ponendo oggi; il lutto familiare che sta elaborando provoca un cortocircuito con i dialoghi che intrattiene con uno scienziato e con sua madre, costringendola ad intraprendere un viaggio più vasto, che mette in discussione la sua visione del mondo. Un futuro, nel quale ogni realismo si sgretola e i personaggi diventano le voci di un’invettiva contro un Galileo che non è più visto come solo l’imputato di un tribunale ecclesiastico, ma come il portavoce di un processo storico e culturale che ha congiunto in maniera indissolubile la ricerca scientifica alla capacità tecnica, saldando per sempre l’idea di progresso di una società alla potenza dei suoi dispositivi tecnologici. Il cannocchiale di Galileo diventa così lo strumento di una rivoluzione che, iniziata nel XVII secolo, proietta il mondo in un futuro per molti versi inquietante. Tre sequenze che corrispondono ad altrettanti processi che – con diversi linguaggi e modalità espressive – indagano i destini e gli interrogativi del mondo contemporaneo e di quella che oggi chiamiamo modernità.
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Dal 30 gennaio al 4 febbraio 2024
dal martedì al venerdì h 21, sabato h 19 e domenica h 17
KRISTO
quadri di dubbia saggezza
regia e linguaggi del corpo Roberto Zappalà
testi a cura di Nello Calabrò
interprete e collaborazione Massimo Trombetta
donne al seguito Rebecca Bendinelli, Giulia Berretta, Sofia Bordieri,
Andrea Rachele Bruno, Oriana Catania, Laura Finocchiaro, Paola Fontana, Simona Puglisi, Anaelle Spampinato, Paola Tosto, Alessandra Verona
musiche Johannes Brahms, Franz Joseph Haydn, Gioacchino Rossini, The Sugarman, Antonio Vivaldi, Scott Walker
musiche originali e tappeto sonoro l’écume des jours
set, luci e costumi Roberto Zappalà
assistente regia Fernando Roldan Ferrer
direzione tecnica Sammy Torrisi
ingegnere del suono Gaetano Leonardi
realizzazione elementi di scena Luigi Pattavina
management Vittorio Stasi
assistente di produzione Federica Cincotti
organizzazione Laura Gullotta, Lucia Inguscio
amministrazione Carmen Carace
responsabile comunicazione Caterina Andò
comunicazione digitale Andrea Di Giovanni, Giuseppe Tiralosi
ufficio stampa nazionale Veronica Pitea
direzione generale Maria Inguscio
una coproduzione Scenario Pubblico Centro di Rilevante Interesse Nazionale e Teatro Stabile di Catania
in collaborazione con MILANoLTRE Festival
con il sostegno di MIC Ministero della Cultura e Regione Siciliana Ass.to del Turismo, dello Sport e dello Spettacolo
Durata: 70’
Un uomo che si crede Cristo, un uomo che finge di essere Cristo, un povero cristo. Tutti plausibili, legittimi, connessi e inestricabili lati di una “forma” schizofrenica che la figura del performer stratifica sulla scena come su di un antico palinsesto; con il suo corpo e la sua voce, nel suo corpo e nella sua voce.
Un uomo dotato di autoironia e di dubbi, un poco smemorato e anche vanitoso, che forse soffre di un disturbo di personalità multipla. Un corpo che si muove, deambulando in una scena casa/appartamento/palestra attraverso dei quadri scenici che si susseguono senza soluzione di continuità.
Un corpo che utilizza e anche distrugge oggetti; oggetti trasfigurati nella loro quotidianità come una bici usata allo stesso modo che nella “passione vista come corsa ciclistica in salita” di Jarry. Quadri di una dubbiosa saggezza, nell’ironico doppio significato di saggezza che viene dal dubbio e di dubbio che questa sia saggezza.
Il Cristo immaginato dal personaggio uomo in scena non è certo l’essere unico, che ha segnato uno spartiacque nella storia dell’umanità ma si trasforma in una moltitudine, per cui vale quello che dice Hampâté Bâ nella lingua bambara del Mali «maa ka mmaya ka ca a yere kono»: “le persone di una persona sono numerose in ogni persona”.
Nella nuova creazione di Roberto Zappalà non si accenna alla più grande storia mai raccontata, dal titolo del film di George Stevens, né si vuole aggiungere alcuna, per quanto piccola, nota a margine all’assordante rumore audio/video che più di duemila anni hanno prodotto sull’argomento.
Si propongono delle visioni fatte di immagini, suoni e parole che lasciano libera l’immaginazione e che hanno come centro propulsore il corpo del performer. Alle origini del cristianesimo, esisteva una contrapposizione tra coloro che avevano o meno conosciuto Gesù. La conoscenza kατά σάρκα, (“nella carne”), cioè attraverso il corpo, dal vivo come diremmo oggi, dava maggiore autorevolezza nelle continue dispute e lotte di potere di un cristianesimo ancora agli albori.
Il corpo e la “carne” del performer e i testi proferiti, sono la chiave di volta che regge e sospinge la creazione. Il performer scelto da Zappalà, non recita, ma reagisce; le parole sono una conseguenza di quello che il suo corpo attua in scena. Immagini e suoni accompagnati da parole che non sono (tranne in un caso) quelle dei vangeli.
Parole di autori fra i più disparati che convergono nella voce e nel corpo del performer in scena. Parole che interrogano e sconcertano, che creano cortocircuiti del linguaggio, condivisibili o meno, che non possono essere sfruttate e prostituite per alcun fine, come troppo spesso è stato fatto e si continua a fare con quelle del Cristo. Un montaggio (e smontaggio) di pensieri, citazioni, frasi, aforismi, versi, interviste. Parole di Kurt Vonnegut, Charles Simic, Wisława Szymborska, Stanisław Jerzy Lec, Michel Tournier, Quino, Gianfranco Ravasi, Olga Tokarczuk, Ryszard Kapuscinski, Richard Feynman, Amadou Hampâté Bâ, Leonardo Sciascia, Daniel Marguerat, Paolo Poli, Stephen Hawking, Jimmie Durham, Blake Edwards, Ron Padgett, Wystan Hugh Auden, Mario Savio, Milan Kundera, Fernand Deligny, Ernest Hemingway
A cura (e con i raccordi) di Nello Calabrò
acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/kristo/210382
dal 6 al 11 febbraio
dal martedì al venerdì h 21, sabato h 19 e domenica h 17
PINOCCHIO di Collodi
Adattamento e regia Maria Grazia Cipriani
Scene e costumi Graziano Gregori
Attori Giandomenico Cupaiuolo, Elsa Bossi, Giacomo Pecchia, Giacomo Vezzani, Nicolò Belliti, Carlo Gambaro, Ian Gualdani, Filippo Beltrami
Suoni Hubert Westkemper
Luci Angelo Linzalata
Foto di scena Filippo Brancoli Pantera
produzione compagnia Teatro del Carretto
durata: 80’
Pinocchio ha ottenuto i seguenti riconoscimenti:
Premio E.T.I. “Gli Olimpici del Teatro” allo scenografo Graziano Gregori
Premio del pubblico come miglior spettacolo al XIX Baltic House International Theatre Festival a San Pietroburgo
Note di regia
“Ho pensato di fabbricarmi un bel burattino di legno. Il burattino deve ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali.”
Geppetto, misteriosamente custodendo nel suo corpo una scelta da adolescente, sogna di fabbricarsi un burattino meraviglioso e di girare con costui il mondo: viaggio da clown, da circo, avventuroso e illusionistico.
Pinocchio fa suo il sogno di Geppetto. Per realizzare quel sogno, egli dovrà toccare il fondo della sua sventura, fino a quando, trasformato in somaro, sarà Stella della danza nel circo del Paese dei Balocchi e rischierà di diventare una pelle di tamburo per la banda.
Pinocchio è già riconosciuto come fratello dalle marionette del Teatro di Mangiafuoco: il suo ingresso trionfale nel mondo di quelle Maschere immortali sembra un battesimo ufficiale. Qui egli raggiunge il luogo che spiega e motiva la sua nascita.
Da quel progetto accarezzato dal genitore (ridotto a puro fantasma nel ventre della balena) passando attraverso il Carrozzone di Mangiafuoco (Suoni festosi di grancassa…il giubilo del Gran Teatro, attori che sembrano marionette e marionette che sembrano attori…e la scena, straziante satira parodica della commedia popolare e del melodramma, in cui Pinocchio chiede a Mangiafuoco la grazia per “Arlecchino”) o presso la casa della fata, creatura dominata dal terrore di essere abbandonata, perduta, e costretta a sua volta a rischiare di perdere, abbandonare (ma anche quello della fata sembra essere un mondo teatrale con quei dottori e quei becchini grotteschi e surreali, con quel suo apparire e scomparire, resistendo sempre, di morte in vita, quella emblematica “massa” di capelli turchini) a quella ribalta che è il circo dove Pinocchio-somaro è costretto ad esibirsi
l’approdo è in un finale con il palcoscenico ormai vuoto quando, uscito dal sogno “di legno”, Pinocchio vede il suo simulacro abbandonato come un costume di scena. Avventura onirica, notturna, di una notte definitiva, dove il giorno è solo recitato da sarcastici lampi temporaleschi e il destino del grande burattino si rivela, letteralmente, teatrale. Maria Grazia Cipriani
acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/pinocchio/210396
dal 13 al 18 febbraio 2024
dal martedì al venerdì h 21, sabato h 19 e domenica h 17
Souvenir de Kiki
da “Diario di una modella” di Kiki di Montparnasse
drammaturgia, immagini e regia
Consuelo Barilari
Con Manuela Kustermann
Le voci di Hemingeway, Soutine, Man Ray, Fujita
sono di Roberto Alinghieri, Fabrizio Matteini, Noureddine e David Gallerello
Luci Liliana Iadeluca, Suono e editing video Claudio Maccagno,
Proiezioni video Gianluca De Pasquale, Elementi scenici Cri Eco,
Costume Francesca Parodi, Istallazione “Libellus” Marzia Migliora e Ilenia Corti
produzione Schegge di Mediterraneo, Festival dell’Eccellenza al Femminile
in collaborazione con La Fabbrica dell’Attore Teatro Vascello
Nel 1922 Alice Prin alias Kiki di Montparnasse fu proclamata regina di Parigi. Icona delle avanguardie artistiche del Novecento, musa di una rivoluzione senza pari al fianco di Picasso, Modigliani, Cocteau, Soutine, Fujita, Man Ray, Kiki fu anche cantante, attrice, pittrice.
Pochi anni dopo uscì il suo diario, con un’introduzione di Ernest Hemingway: «Se siete stanchi dei libri scritti dalle signore scrittrici d’oggigiorno, eccovi un libro scritto da una donna che non fu mai una signora. Per circa dieci anni, come spesso capita, Kiki fu lì lì per essere una regina, ma questo naturalmente è molto diverso dall’essere una signora».
«Kiki aveva un bel viso e ne aveva fatto un’opera d’arte. Aveva un corpo meraviglioso e una bella voce; fu un’icona e certamente dominò l’epoca di Montparnasse più di quanto la Regina Vittoria non abbia dominato l’epoca vittoriana».
Quanto segue è stato scritto nel 1929; Kiki è come un monumento a sé stessa e all’epoca di Montparnasse, che si ritenne definitivamente chiusa quando lei, Kiki, pubblicò questo libro. Nel giro di un anno, Kiki divenne un simbolo e Montparnasse divenne ricco, prosperoso, sfarzosamente illuminato, brulicante di locali da ballo, fiocchi di avena, pompelmi e al Dòme cominciarono a vendere caviale, beh, l’epoca per quel che poteva valere (e personalmente non credo valesse molto) era finita. Montparnasse, in questo senso, simboleggia i caffè e i ristoranti dove la gente si fa vedere in pubblico; non simboleggia le case, gli studi e le stanze d’albergo dove la gente lavora. Ai vecchi tempi la differenza fra i lavoratori e quelli che non lavoravano era che i perdigiorno non si alzavano prima delle cinque di sera, ora in cui si trovavano a bere, nei caffè, in amichevole competizione con gli operai che per quel giorno l’avevano fatta finita con il lavoro. Era piacevole, dopo il lavoro, vedere Kiki. Era molto bella da guardare.
Tanto per cominciare aveva un bel viso, ne aveva fatto un’opera d’arte. Aveva un corpo meraviglioso e una bella voce (quando parlava, non quando cantava); dominò l’Epoca di Montparnasse più di quanto la Regina Vittoria non abbia dominato l’Epoca vittoriana.
L’Epoca è finita. Se ne è andata via con i reni dei lavoratori, che bevevano troppo con i perdigiorno. I perdigiorno erano belli gente e diedero prova, a lungo andare, di possedere reni più robusti. Ma loro di giorno riposavano. L’Epoca, in ogni modo, è finita.
Kiki ha ancora la sua voce. Non dobbiamo preoccuparci dei suoi reni; viene dalla Borgogna, e il suo viso è un’opera d’arte come sempre, la sola differenza è che ora dispone di più materiale su cui operare.
C’è il libro. Leggetelo.
Questo è l’unico libro per cui io abbia mai scritto la prefazione e – dice Hemingway- se Dio mi aiuta, resterà anche l’ultimo.
È scritto da una donna che, per quanto ne so, non ha mai avuto un angolo tutto per sé. Quando sarete stanchi dei libri scritti dalle signore scrittrici d’oggigiorno, eccovi un libro scritto da una donna che non fu mai una signora. Per circa dieci anni Kiki fu lì lì per essere una regina, ma questo naturalmente è molto diverso dall’essere una signora.
acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/souvenir-de-kiki/211318
Dal 20 al 25 febbraio
dal martedì al venerdì h 21, sabato h 19 e domenica h 17
TOP GIRLS
di Caryl Churchill
traduzione di Maggie Rose
con Sara Putignano, Valentina Banci, Cristina Cattellani, Laura Cleri, Paola De Crescenzo, Martina De Santis, Corinna Andreutti, Simona De Sarno
regia Monica Nappo
produzione Fondazione Teatro Due
durata 125’
Monica Nappo, artista poliedrica, dal rinascimento teatrale napoletano al cinema con Sorrentino, Garrone, Soldini, qui alla regia, gioca con grande realismo la prima strepitosa e immaginaria scena: Marlene festeggia la promozione con eroine del passato e si apprezza, oltre ai costumi di Daniela Ciancio, il fatto che i tempi duri delle pari opportunità non finiscono.
Scritto da Caryl Churchill nel 1982, Top Girls è stata una delle prime opere teatrali a scontrarsi direttamente con il thatcherismo. La commedia si concentra sul personaggio di Marlene, responsabile di un’agenzia di collocamento londinese, che racconta i compromessi che ha dovuto fare per raggiungere una carriera costellata di successi.
La commedia si apre con la famosa scena della cena: Marlene, per festeggiare la sua promozione a direttore dell’agenzia di collocamento, ospita un gruppo di donne famose della storia, figure iconiche di differenti epoche e culture radicalmente diverse: la viaggiatrice del mondo scozzese del 19o secolo, Isabella Bird; Lady Nijo, una cortigiana giapponese del XIII secolo costretta a farsi suora dopo aver perso il favore del suo padrone e che poi viaggiò per tutto il Giappone; la papessa del IX secolo Giovanna, che si travestì da uomo e raggiunse il grado ecclesiastico più alto dell’Impero.
Nata in povertà, Marlene ha dovuto lottare per raggiungere la vetta rinunciando a molte cose, riuscendo però ad affermarsi come e meglio dei colleghi maschi. Nel suo individualismo aggressivo Marlene incarna il thatcherismo degli anni ’80, sottolineando il costo emotivo e sociale affrontato dalle donne. Il testo evidenzia come le donne abbiano dovuto imitare gli eccessi del comportamento maschile per acquisire potere e credibilità. Top Girls è un’opera teatrale femminista e mostra come il thatcherismo e il femminismo siano antitetici. Top Girls mostra che il successo di una donna non eleva il destino di tutte le altre; il denaro e lo status in ufficio non rendono il mondo più equo né cambiano il sistema, non riducono lo sfruttamento emotivo, sessuale delle donne né tanto meno risolvono i dilemmi nei quali si trovano.
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dal 27 febbraio al 3 marzo
dal martedì al venerdì h 21, sabato h 19 e domenica h 17
4 5 6
con Massimo De Lorenzo, Carlo De Ruggieri, Cristina Pellegrino
e con Giordano Agrusta
scritto e diretto da Mattia Torre
produzione Marche Teatro / Nutrimenti Terrestri / Walsh
durata dello spettacolo
Durata: 80’
456 è la storia comica e violenta di una famiglia che, isolata e chiusa, vive in mezzo a una valle oltre la quale sente l’ignoto. Padre, madre e figlio sono ignoranti, diffidenti, nervosi. Si lanciano accuse, rabboccano un sugo di pomodoro lasciato dalla nonna morta anni prima, litigano, pregano, si odiano. Ognuno dei tre rappresenta per gli altri quanto di più detestabile ci sia al mondo.
E tuttavia occorre una tregua, perché sta arrivando un ospite atteso da tempo, che può e deve cambiare il loro futuro.
Tutto è pronto, tutto è perfetto. Ma la tregua non durerà.
4 5 6 nasce dall’idea che l’Italia non è un paese, ma una convenzione. Che non avendo un’unità culturale, morale, politica, l’Italia rappresenti oggi una comunità di individui che sono semplicemente gli uni contro gli altri: per precarietà, incertezza, diffidenza e paura; per mancanza di comuni aspirazioni. 4 5 6 è una commedia che racconta come proprio all’interno della famiglia – che pure dovrebbe essere il nucleo aggregante, di difesa dell’individuo – nascano i germi di questo conflitto: la famiglia sente ostile la società che gli sta intorno ma finisce per incarnarne i valori più deteriori, incoraggiando la diffidenza, l’ostilità, il cinismo, la paura. 4 5 6 racconta la famiglia come avamposto della nostra arretratezza culturale.
Dallo spettacolo è stato tratto l’omonimo sequel televisivo, prodotto da Inteatro e andato in onda su La7 all’interno del programma “The show must go off” di Serena Dandini (attualmente disponibile su YouTube), e il libro “4 5 6 – Morte alla famiglia”, edito da Dalai.
Mattia Torre, sceneggiatore, autore teatrale e regista. Insieme a Giacomo Ciarrapico è autore, negli anni ‘90, delle prime commedie teatrali “Io non c’entro” “Tutto a posto” “Piccole anime” e “L’ufficio”. Nel 2000 pubblica il libro “Faleminderit Aprile ‘99 in Albania durante la guerra”. È co-sceneggiatore del film “Piovono Mucche” di Luca Vendruscolo. Nel 2003 il suo monologo “In mezzo al mare” con Valerio Aprea vince al Teatro Valle di Roma la rassegna Attori in cerca d’autore. Nel 2005 scrive e dirige il monologo teatrale “Migliore”, con Valerio Mastandrea. È autore del monologo breve “Gola” e dei corti teatrali “Il figurante” e “Sopra di noi”. È stato tra gli autori del programma “Parla con me” di Serena Dandini. Con Ciarrapico e Vendruscolo scrive la serie TV “Buttafuori” e, dal 2007, la prima, la seconda e la terza stagione di “Boris”, per Fox Italia. Della seconda è anche co-regista. Con gli stessi autori, scrive e dirige “Boris – il film”. Nel 2011 scrive e mette in scena lo spettacolo teatrale “456” di cui realizza anche il sequel TV per La7. Per Dalai editore ha pubblicato la raccolta di monologhi “In mezzo al mare” (2012). È autore e regista dello spettacolo teatrale “Qui e ora” con Mastandrea e Aprea. Nel 2014, insieme a Ciarrapico e Vendruscolo scrive e dirige il film per il cinema “Ogni maledetto Natale”. Nel 2015 scrive con Corrado Guzzanti la serie TV dal titolo “Dov’è Mario?”. Sta ora lavorando alla sua nuova serie “La linea verticale “.
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dal 5 al 17 marzo
dal martedì al venerdì h 21, sabato h 19 e domenica h 17
SALVEREMO IL MONDO PRIMA DELL’ALBA
Uno spettacolo di CARROZZERIA ORFEO
Uno spettacolo di
CARROZZERIA ORFEO
Drammaturgia Gabriele Di Luca
Con Sebastiano Bronzato, Alice Giroldini, Sergio Romano, Massimiliano Setti, Roberto Serpi
Ivan Zerbinati
Regia Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi
Consulenza filosofica Andrea Colamedici – TLON
Musiche originali Massimiliano Setti
Scenografia e luci Lucio Diana
Costumi Stefania Cempini
Illustrazione locandina Federico Bassi
Organizzazione Luisa Supino e Francesco Pietrella
Ufficio stampa Raffaella Ilari
una coproduzione
Marche Teatro, Teatro dell’Elfo, Teatro Nazionale di Genova, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini
In collaborazione con Centro di Residenza dell’Emilia-Romagna “L’arboreto – Teatro Dimora | La Corte Ospitale
Durata dello spettacolo
“Il bene non potrà mai vincere perché è sfinente.
L’onestà, la sincerità, il vero amore, sono tutte cose sfinenti da praticare perché non durano, sono solo degli istanti. Mentre il male è un maledetto maratoneta, uno spietato realista senza sonno che ha la resistenza dalla sua.”
Dopo aver esplorato in diversi spettacoli il mondo degli ultimi, dei reietti, degli esclusi e dei perdenti, intendiamo in questa nuova produzione indagare il mondo del benessere e dell’apparente successo, attraverso il racconto dei primi, dei vincenti, della classe dirigente, dei ricchi, paradossalmente, però, imprigionati nello stesso vortice di responsabilità asfissianti, doveri castranti, sensi di colpa e infelicità che appartengono a tutti e, quindi, frantumati da tutto ciò che la mentalità capitalista non può comprare: l’amore per se stessi, la purezza dei sentimenti, gli affetti sinceri, la ricerca di un senso autentico nell’esistenza.
Salveremo il mondo prima dell’alba è il racconto della vita di alcuni ospiti e di parte dello staff all’interno di una clinica di riabilitazione di lusso specializzata nella cura delle dipendenze contemporanee come dipendenze sessuali, dipendenza da Internet, dipendenze affettive, dipendenze da lavoro, da psicofarmaci e benzoadepine, droghe e antidolorifici.
In un mondo sempre più frenetico, individualista ed esibizionista, dominato da un tempo schizofrenico e performativo, il prezzo da pagare anche per i vincenti sono l’ansia e l’angoscia, conseguenza spesso dall’ossessione di dover ottenere sempre di più, consolidare, capitalizzare, superarsi. A causa di ciò oggi, come mai prima, le persone si sentono sopraffatte da gravi disfunzioni dell’umore come panico sociale, insonnia, burnout da lavoro, insoddisfazione cronica, stress, inquietudine, frustrazione, senso di fallimento e di vuoto. Una sensazione di smarrimento comune ad un’intera generazione, sintomo di un disagio epocale. Ed è così che sprofondati nel disagio per sfuggire alla realtà, gli ospiti del nostro rehab sono rimasti vittime ognuno della propria dipendenza, via di fuga da una realtà opprimente dalla quale, alcuni costretti dalla società, altri per libera scelta, cercano di liberarsi. Ma le dipendenze e la riabilitazione, ovviamente, costituiscono solo il sintomo esteriore di innumerevoli disagi certamente più profondi, esistenziali e sociali; la metafora di un modello di vita ormai giunto a un punto di non ritorno.
Il tutto (senza mai negare l’emotività e anche la drammaticità delle tematiche affrontate) verrà esplorato in pieno stile Carrozzeria Orfeo, grazie a un occhio sempre lucido e, forse, disilluso, che intende cogliere, con ironia e anche estremo divertimento, i paradossi, le contraddizioni e le deformazioni grottesche della realtà attraverso personaggi strabordanti di umanità, ironia e dolore. L’habitat della nostra storia, il rehab di lusso, è costituita da una grande sala comune dotata di tutti i comfort, separata attraverso una luminosa vetrata dall’esterno, dove in una sorta di giardino d’inverno con tanto di sdraio e bagno turco, gli ospiti facoltosi si possono rilassare e affrontare il loro programma di riabilitazione attraverso la riscoperta di una vita apparentemente semplice e comunitaria nella quale ognuno è chiamato a impegnarsi per il prossimo e la comunità stessa, la loro nuova famiglia. Tutto ciò è evidentemente qualcosa a cui sono profondamente disabituati.
Salveremo il mondo prima dell’alba vuole affrontare alcuni tra i nodi più sensibili della nostra contemporaneità: la proliferazione delle immagini, il fascino della celebrità, il culto del divertimento e della personalità, soprattutto nel nuovo mondo virtuale, come sintomo di una società sempre più triste eppure satura di foto felici in cui sembra non più esistere un luogo dove riconoscersi come soggetti autentici, né tantomeno in progetti sociali che richiedano la nostra dedizione e la nostra lealtà. La proliferazione di mental coach, di influencer, di trainer, di business man prestati al web, che quotidianamente ci propinano stratagemmi funzionali per raggiungere il successo psicofisico e prevalere sugli altri, essere migliori e dominarli, sono lo specchio di una società che sempre di più, fin da piccoli, fin dalla scuola, ci racconta tutto sulla felicità e sul successo e sempre di meno sul dolore. Dolore inteso, soprattutto, come occasione di ascolto di se stessi, opportunità di trasformazione e crescita. L’errore è bandito, la sofferenza individuale è percepita come una vergogna, una zavorra da nascondere agli altri, come segnale chiaro di debolezza e fallimento; mentre in modo sempre più meschino e ingannevole va affermandosi la nuova eroica parola portavoce del capitalismo: resilienza, che, nel cinico pragmatismo di questo sistema malato, in fondo significa solo: “Resisti, resisti nonostante tutto, ignora te stesso e il tuo dolore, nascondilo, tieni duro, non ascoltarti più e vai avanti. Produci, produci, produci!” E dai desideri soddisfatti nascono sempre nuovi desideri. Sempre più prepotenti, ossessivi e, spesso, indotti dal mondo esterno. Come se volessimo bere il mare di bicchiere in bicchiere. L’infinito. L’impossibile. Un impossibile ricerca senza tempo. Ed è da qui che viene il nostro dolore. Hegel ci parla di Cattivo infinito come di “questo continuo voler sorpassare il limite, che è l’impotenza di toglierlo e la perenne ricaduta in esso.”
E il grande problema sembra essere che ormai non ci si scandalizza nemmeno più delle disfunzioni e delle atrocità del capitalismo perché è un modello di vita diventato così maledettamente normale da essere riuscito a colonizzare il nostro inconscio senza lasciarci nessuna percezione di un’alternativa. Ed ecco, quindi, che parole come comunità, umanità e gentilezza sono quasi del tutto scomparse e bandite dalla nostra società (e quasi dal nostro modo di pensare), se non per essere strumentalizzate a fini propagandistici, elettorali e commerciali e, quindi, svalutate e svuotate di ogni loro significato primario. Di tutto questo resta un’umanità (poveri e ricchi, senza differenze) confusa e impaurita, esseri umani sopraffatti dall’ossessione di questo continuo doversi vendere, con il terrore che nessuno ti voglia mai comprare.
Il tema centrale di Salveremo il mondo prima dell’alba, quindi, si fonda sulla riflessione che a nostro avviso nei prossimi decenni, l’umanità non potrà essere assolutamente in grado di ritrovarsi unita nel combattere le grandi battaglie da tempo rimaste inascoltate come il cambiamento climatico, l’inquinamento, la fame nel mondo e l’ingiustizia sociale, semplicemente perché non è un’umanità preparata a farlo. Non siamo veramente una comunità. In un mondo dove individualismo, narcisismo, slealtà, tradimento, svalutazione dei valori, compromesso, annullamento della morale dominano incontrastati, in un contesto sociale così performativo, competitivo, alienante, dove le nuove generazioni sembrano ereditare solo valori come successo, visibilità e vittoria, sembra impossibile pensare a una grande battaglia collettiva per salvare questo pianeta e l’umanità che lo abita. Quando i politici stessi si espongono su tik tok per pubblicizzarsi e la vita politica, al pari di tutto il resto, diventa mera comunicazione, non può esistere una classe dirigente in grado di sensibilizzare la cittadinanza sui grandi temi. Forse, allora, per poter combattere delle grandi battaglie comuni, dovremo prima essere in grado di ritrovare quel senso di comunità, reciprocità, solidarietà e gentilezza che sembriamo aver smarrito. Potremmo concentrarci sulle grandi battaglie collettive solo se riusciremo prima a riabituarci a guardare con occhi attenti ciò che ci è vicino, chi ci è di fianco. Potremo, forse, farcela solo se riusciremo ad arginare tutta quell’invisibile, eppur feroce, violenza quotidiana tra uomo e uomo. Perché lo sappiamo tutti, ci troviamo di fronte a una pandemia, sì… di indifferenza ed egoismo. Ma se riusciremo in questo, se riusciremo a riavvicinarci attraverso un gesto e un pensiero sincero, un insignificante atto di gentilezza e cura gratuita; se riusciremo a ritagliare, in mezzo al caos, uno spazio per il pensiero semplice, familiare e umano, forse, come proveranno a fare i ricchi, arrabbiati, delusi e inaffidabili ospiti del nostro rehab… beh, forse (ma chi può dirlo), potremo salvare il mondo prima dell’alba.
“Non siamo in grado di riconoscere le cose importanti, siamo troppo stanchi ed esausti dal resto. Vediamo la vita solo sfiorando la catastrofe.”
acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/salveremo-il-mondo-prima-dell-alba/210400
Dal 19 al 24 marzo
dal martedì al venerdì h 21, sabato h 19 e domenica h 17
De gasperi: l’europa brucia
di Angela Demattè
con Paolo Pierobon e cast in via di definizione
regia Carmelo Rifici
produzione Teatro Stabile di Bolzano, Lac Lugano Arte e Cultura, La Fabbrica dell’Attore
in collaborazione con FONDAZIONE TRENTINA ALCIDE DE GASPERI e
CTB – Centro TEATRALE BRESCIANO
Durata: 90’
Paolo Pierobon interpreta “De Gasperi: l’Europa brucia”, spettacolo scritto dall’autrice trentina Angela Demattè che porta in scena la statura e la complessità, le luci e le ombre dell’uomo/statista Alcide, il quale aderisce totalmente al suo compito politico tanto da non vedere più i confini tra sé e la nazione, caricandosene il peso e diventandone poi, inevitabilmente, artefice e vittima. La regia è affidata a Carmelo Rifici.
«Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me». Queste le parole che Alcide De Gasperi pronuncia alla Conferenza di pace di Parigi il 10 agosto 1946. «Signori ministri, signori delegati: per mesi e mesi ho atteso invano di potervi esprimere in una sintesi generale il pensiero dell’Italia sulle condizioni di pace, ed oggi ancora, comparendo qui nella veste di ex-nemico, veste che non fu mai quella del popolo italiano, dinanzi a voi affaticati da lungo travaglio o anelanti alla conclusione ho fatto uno sforzo per contenere il risentimento e dominare la parola, onde sia palese che siamo lungi dal volere intralciare, ma intendiamo costruttivamente favorire la vostra opera in quanto contribuisca ad un assetto più giusto del mondo. Chi si fa interprete oggi del popolo italiano è combattuto da doveri apertamente contrastanti. Da una parte egli deve esprimere l’ansia, il dolore, l’angosciosa preoccupazione per le conseguenze del trattato, dall’altra riaffermare la fede della nuova democrazia italiana nel superamento della crisi della guerra e nel rinnovamento del mondo operato con validi strumenti di pace.»
L’uomo che era ed è antifascista – imprigionato per due anni a Regina Coeli – si carica di tutto il peso della storia fascista italiana per poterla traghettare verso altre possibilità, per poterla riscattare. Il suo linguaggio appare schietto solido ed emotivo, più che politico o, in ogni modo, pieno di una retorica positiva e umile molto diversa da quella di oggi. Lo spettacolo “De Gasperi: l’Europa brucia” di Angela Demattè, indaga l’uomo in cerca di soluzioni razionali, concrete, pragmatiche che ha assorbito dalla sua terra, dalla sua lingua materna. Interessandosi al suo sguardo oggettivo e il suo linguaggio che non sa trovare parole di menzogna. “De Gasperi: l’Europa brucia” intende approfondire questo frammento di storia italiana nella stretta e radicata prospettiva della vita dell’uomo/statista Alcide in rapporto con i suoi collaboratori e con la sua vita intima. Si propone di mettere in scena la statura e la complessità, la luce e le ombre di un uomo d’altri tempi che aderisce totalmente al suo compito politico tanto da non vedere più i confini tra sé e la nazione, tanto da caricarsene il peso, diventandone poi, inevitabilmente, artefice e vittima.
acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/de-gasperi-l-europa-brucia/210379
dal 26 al 30 marzo
dal martedì al venerdì h 21, sabato h 19
ultima replica sabato 30 marzo 2024 h 19
LA SPARANOIA
Atto unico senza feriti gravi purtroppo
progetto ideato e scritto da NICCOLÒ FETTARAPPA
con NICCOLÒ FETTARAPPA e LORENZO GUERRIERI
contributo intellettuale di CHRISTIAN RAIMO
regia di NICCOLÒ FETTARAPPA e LORENZO GUERRIERI
co-produzione SARDEGNA TEATRO – AGIDI, Con il sostegno di Armunia Teatro, Spazio Zut, Circuito Claps, Officine della cultura
con NICCOLÒ FETTARAPPA e LORENZO GUERRIERI
progetto ideato e scritto da NICCOLÒ FETTARAPPA
collaborazione artistica CHRISTIAN RAIMO
regia NICCOLÒ FETTARAPPA e LORENZO GUERRIERI
assistente alla regia GIULIA BARTOLINI
Si ringrazia Carrozzerie n.o.t.
Durata: 75’
“È un incendiario e ha sonno” Giorgio Manganelli, Centuria
Non ci sono buone notizie. La Sinistra è defunta ed è meglio così.
I fumogeni sono banditi. Il Ministro alle Politiche Giovanili sogna di divorare gli studenti che manifestano. I giovani, addomesticati, non trovano più il piacere di delinquere: vivono a casa, perimetrati da un metro quadro e con l’ossessione dei lavaggi delicati.
Il compagno Niccolò si innamora di colonnelli e programma orgasmi in caserma.
A fargli da spalla, un Fidel Castro che vive a Miami e preferisce gli scaldabagni alla rivoluzione. Niccolò coltiva la missione civile di far esplodere tutto: vorrebbe uscire di casa, mettere una bomba, organizzare un nucleo armato terrorista, portare l’attacco al culo dello Stato. Organizza un comitato di agitazione permanente con la terza età.
Basta casa, basta riposini. Basta abuso delle tisane al finocchietto.
La Sparanoia è il grido perforante che muore in gola, è la voce di chi non ha voce, è il megafono del ruggito addomesticato, della rabbia scolarizzata che ha imparato a dare del lei. La Sparanoia è il pianto dei serial killer narcolettici e dei bolscevichi da divano.
Felice repressione, a tutti. Dal profondo del cuore.
Il lavoro si sviluppa e si approfondisce grazie anche alla Scuola di Scritture – diretta da Lucia Calamaro e promossa da Riccione Teatro – nel corso della quale viene presentata una prima stesura, poi programmata durante la prima rassegna di PresenteFUTURO di Rai Radio 3, curata da Antonio Audino e Laura Palmieri.
NICCOLÒ FETTARAPPA, biografia
Niccolò Fettarappa Sandri (Roma, 1996), autore, attore e regista. Si laurea in filosofia, con una tesi su Theodor Adorno. Esordisce a teatro con Apocalisse Tascabile, di cui è autore, regista e interprete. Lo spettacolo vince prestigiosi premi, tra cui In-box 2021, il premio della critica al Nolo Fringe Festival, il premio delle giurie riunite a Direction Under 30, il premio Italia dei Visionari e gli vale la candidatura al Premio Rete Critica 2022. Con Apocalisse Tascabile inizia una tournée che lo porta in tutta Italia, raccogliendo entusiasti consensi di pubblico e critica. Durante il suo percorso artistico, studia con importanti nomi della scena teatrale contemporanea, come Daniele Timpano, Elvira Frosini, Daria Deflorian e Lucia Calamaro. È proprio Lucia Calamaro a selezionarlo per la prima edizione di Scritture, scuola di drammaturgia a più tappe La Sparanoia – atto unico senza feriti gravi purtroppo è il suo secondo lavoro teatrale, di cui è autore e interprete, prodotto da Agidi e Sardegna Teatro.
acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/la-sparanoia/210389
dal 4 al 7 aprile
giovedì e venerdì h 21, sabato h 19 e domenica h 17
Prima Assoluta giovedì 4 aprile h 21
LUCINDA CHILDS – MP3 DANCE PROJECT
Coreografie Lucinda Childs e Michele Pogliani
Produzione MPTRE Dance Project
Durata: 60’
Siamo felici di presentare a Roma, presso il Teatro Vascello, una produzione che vede in sinergia Lucinda Childs e MP3 Dance Project di Michele Pogliani.
Il rapporto tra i due inizia a New York dove il giovane Michele Pogliani riesce ad entrare a fa parte della Lucinda Childs Dance Company e ad affermarsi come un elemento di spicco per oltre 10 anni.
La collaborazione riprende nel 2019 in occasione della messa in scena dello spettacolo DOAD, al Teatro Comunale de’ La Spezia, il cui programma prevede nella prima parte un solo della Childs, sul testo originale di Susan Sontag, e nella seconda parte il revival di Available light del 1983 su musiche di John Adams. È così che vengono coinvolti i più talentosi giovani danzatori del corso di avviamento MP3 Project gestito dallo stesso Pogliani.
Questa proficua esperienza segna il primo tassello di una partnership con la Change Performing Arts di Milano che porterà a giugno 2022 al debutto di Relative Calm con la regia di Robert Wilson e le coreografie di Lucinda Childs.
Oggi oltre alle tournée degli spettacoli già in essere e alla ripresa del repertorio storico delle Childs si sta lavorando anche alla preparazione di una nuova produzione sulle musiche di Philip Glass.
Il programma che verrà proposto al Teatro Vascello ad aprile 2024, è ancora in fase di definizione e verrà stabilito in funzione agli sviluppi e la creatività di un’inossidabile Signora della danza come Lucinda Childs.
acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/lucinda-childs-mp3-dance-project/210394
dal 9 al 14 aprile
dal martedì al venerdì h 21, sabato h 19 e domenica h 17
ZIO VANJA
Progetto Čechov – seconda tappa
di Anton Čechov
con Giordano Agrusta, Maurizio Cardillo, Ilaria Falini, Angela Malfitano, Francesca Mazza, Mario Pirrello, Tino Rossi, Massimiliano Speziani, Giuliana Vigogna
regia Leonardo Lidi
produzione Teatro Stabile dell’Umbria, Teatro Stabile di Torino, Spoleto Festival Dei Due Mondi
scene e luci Nicolas Bovey
costumi Aurora Damanti
suono Franco Visioli
assistente alla regia Alba Porto
produzione Teatro Stabile dell’Umbria, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Spoleto Festival dei Due Mondi
Durata: 120’ circa
C’eravamo tanto amati. C’è stato un tempo dove questa strana famiglia non era poi così strana. I ruoli erano ben distribuiti, con credibilità e senza eccessi, e ogni personaggio poteva considerarsi utile allo spettacolo del quotidiano. Ognuno al proprio posto, con ordine e naturalezza. Chi indossava il costume dell’intellettuale, ad esempio, era da considerarsi metafora di speranza futura ed era opportuno riservare ad esso amore e gratitudine come ad un eroico e fascinoso cavaliere. Era lecito che una bella e gentile ragazza si invaghisse del proprio professore ed era altrettanto plausibile che la famiglia della giovine tutelasse il sapiente uomo come un animale in via d’estinzione. E così Vera si sposa con Aleksandr, lo porta a Casa e la storia comincia. Gli abitanti del pianeta Čechov si animano, trovano una dimensione adeguata alla propria formazione, tutti remano nella medesima direzione e la possibilità di una Russia efficace e vincente smette di essere un miraggio e si tramuta in un concreto e reale domani. In una dimensione dove l’uomo è artefice del proprio destino la felicità potrebbe trovare il giusto spazio. Ma Vera muore e tutto cambia. La speranza si spegne e chi prova a ricominciare suona ridicolo nel suo tentare. Il cuore si tinge di nero e questa possibile colorata commedia diventa una dissacrante e continuata risata isterica ad un funerale. L’idea di un paese guidato dai suoi pensatori è sepolta e noi non possiamo che fare i conti partendo da questo inesorabile dato di fatto. Questa casa è culturalmente morta, amici miei. È governata da ignoranti e da sterili ideologie. Ce lo ricorda lo Zio, quel buffone vestito male che palpa con gli occhi le nostre fidanzatine e aspetta le riunioni di famiglia per alzare il gomito e sbatterci in faccia la nostra condizione perennemente umiliante. Inutile lavorare, inutile impegnarsi, inutile studiare. Dice, lo zio. Meglio aspettare un reddito senza sudare, meglio lamentarsi di chi ha distrutto il talento.
La seconda tappa del Progetto Čechov abbandona il gioco e si imbruttisce col tempo. Spazza via i contadini che citano Dante a memoria per consentire un abuso edilizio ambizioso e muscolare. C’era un grande prato verde dove nascono speranze e noi ci abbiamo costruito una casa asfissiante con troppe inutili stanze ad occupare ogni spazio vitale. Avevamo sfumature e ora c’è un chirurgico bianco e nero che strizza l’occhio allo spettatore intelligente. Avevamo donne e uomini che cercavano la vita attraverso l’amore ma abbiamo preferito prenderne le distanze. Quando?
Quando è diventato “troppo poco” parlare d’amore? Come se poi ci fosse qualcos’altro di interessante. Se nel Gabbiano sprecavamo carta e tempo nel ragionare sulla forma più corretta con il quale passare emozioni al pubblico, divisi tra realismo e simbolismo, tra poesia e prosa, tra registi, scrittori e attrici, e ci bastava una panchina per tormentarci dei dolori del cuore (Quanto amore, lago incantatore!) in Zio Vanja l’arte è relegata a concetto museale, roba da opuscoli aristocratici, uno sterile intellettualismo che non pensa più al suo popolo, che annoia la passione e permette agli incapaci di vivere di teatro.
E allora che questa strana famiglia cantata da Čechov abbia la faccia di Gaber. La sua maschera irriverente. O meglio ancora di Freak Antoni. Che sia stonata e sgrammaticata. Sconfitta dai propri fantasmi. Ripugnante e fastidiosa. Con l’alito cattivo. Più alta del crocchiare di una gallina ad un comizio, più profonda del raglio di un asino messo a pilotare un aereo che si sta per schiantare. Che prenda in giro chi si nasconde dietro ai progetti perché spaventato e che faccia tanti e tanti e sentitissimi applausi a chi crede che Zio Vanja sia un testo attuale perché parla di alberi. Avete costruito un focolare tanto stupido che preferisco congelare al sincero freddo della mia solitudine, lasciatemi fuori, escluso come il cane di Rino Gaetano! Prendetevi le ghiande e lasciatemi le ali.
In questa cosa/casa non ci voglio neanche entrare – ma siate pazienti, l’anno prossimo la vendiamo per davvero! “Non è nulla bambina mia, le oche starnazzano per un po’ e poi si calmano… Starnazzano per un po’ e poi si calmano”. LEONARDO LIDI
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dal 16 al 21 aprile
dal martedì al venerdì h 21, sabato h 19 e domenica h 17
La ragazza sul divano
di Jon Fosse
regia Valerio Binasco
con Pamela Villoresi, Valerio Binasco, Michele Di Mauro, Giordana Faggiano
e con Giovanna Mezzogiorno
produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale / Teatro Biondo di Palermo
Durata: spettacolo in allestimento
Una donna di mezza età dipinge il ritratto di una giovane donna accovacciata su un divano. Il momento creativo, accompagnato da un costante senso di inadeguatezza, scatena in lei una ridda di sentimenti contraddittori, sull’onda dei ricordi di un’infanzia tutt’altro che felice.
Valerio Binasco è il principale interprete del teatro di Jon Fosse in Italia, grazie ad allestimenti che rivelano l’influenza del passato sul presente con un’esattezza quasi proustiana. Ama dire di sé l’autore norvegese, classe 1959: «Sono uno scrittore fortemente critico della lingua. Intendo dire che le cose più importanti non possono essere dette (né in un dialogo espresso con il linguaggio quotidiano, né con quello concettuale) – e proprio in questo consiste la mia arte poetica: dire l’indicibile.»
In questo spettacolo – con Pamela Villoresi protagonista, in scena insieme a Binasco, Michele Di Mauro, Giordana Faggiano e Giovanna Mezzogiorno – una donna di mezza età dipinge un ritratto di una ragazza seduta su un divano, combattendo contro i dubbi sulle proprie capacità artistiche e sull’incapacità di dipingere. L’immagine che la perseguita – quella della giovane accovacciata su un sofà – è l’istantanea di lei stessa da giovane, turbata da mille incertezze: litiga con la madre e invidia la sorella maggiore, anela il ritorno del padre con una passione al limite del lecito. Binasco esplora magistralmente il modo in cui le ferite psichiche inflitte nell’infanzia non si rimarginano mai del tutto.
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dal 26 al 28 aprile
venerdì h 21, sabato h 19 e domenica h 17
POETICA
poesie di Franco Arminio
con Caterina Carpio, Tindaro Granata,
Mariangela Granelli, Emiliano Masala, Francesca Porrini
testi e regia Tindaro Granata
elaborazione drammaturgica Proxima Res
scene e costumi Margherita Baldoni
disegno luci Stefano Cane
assistente alla regia Federica Dominoni
produzione Proxima Res
Durata: 70’
Poetica è una mappa “umanografica” dei paesi italiani, un viaggio alla scoperta di luoghi che conservano la memoria della gente che li ha abitati.
Se guardiamo attentamente i paesi delle nostre provincie, vedremo che sono pezzi di vita lasciate lì a invecchiare come l’intonaco di una casa; sono storie di persone, come finestre si aprono e si chiudono al mondo; sono sacrifici e sono gioie, si incrociano come vicoli e strade.
Grazie alla potenza evocativa delle parole di Franco Arminio, poeta e paesologo, riusciamo a ritrovare l’anima di un paesaggio che sta lentamente scomparendo. Forse non sta parlando solo di un paese reale, ma di un luogo che è nell’anima di ognuno di noi.
Attraverso le poesie di Arminio, tornano a vivere personaggi mitologici e personaggi popolari, figure il cui ricordo affiora ancora oggi nei discorsi di chi è rimasto.
La scrittura di Tindaro Granata, vuole essere a servizio della poesia di Franco Arminio, sperimentando un modo originale di far dialogare poesia e drammaturgia teatrale, a volte includendo l’una all’altra, a volte rimanendo separate per unirsi solo attraverso lo spazio vuoto Tindaro ha scritto grazie al confronto continuo, con gli attori e le attrici in scena, della compagnia Proxima Res: Caterina Carpio, Emiliano Masala, Mariangela Granelli e Francesca Porrini. Grazie a loro è stato creato l’adattamento di Poetica e grazie ai loro ricordi sono nate le cinque brevi storie, che raccontano un momento cruciale nella vita di una persona, un abbandono.
L’intuizione della scenografa e costumista di Proxima Res, Margherita Baldoni, crea un paese immaginario, onirico e originale, con cinque stendini sui quali si appendono i sogni e si fanno sgocciolare le fatiche di una vita di mille e più emozioni.
Le storie e le poesie si muovono tra gli stendini, grazie agli attori e le attrici, come a muovere ogni persona in un quotidiano fare perso nel tempo. Poetica è un tentativo di dialogo con i propri paesi, fisici o interiori. C’è bisogno di poesia.
Non limitarti a galleggiare,
scendi verso il fondo
anche a rischio di annegare.
Sorridi di questa umanità
che si aggroviglia su sé stessa.
Cedi la strada agli alberi.
Franco Arminio
Foto di Giulia Lenzi
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dal martedì al venerdì h 21, sabato h 19 e domenica h 17
debutto sabato 4 maggio h 19
Liberamente ispirato all’opera letteraria di Roberto Bolaño
Testi tratti da “il terzo reich”, puttane assassine, 2666, e altri
Regia, drammaturgia Fabio Condemi
produzione La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello
Leggendo i libri di Roberto Bolano si ride, ci si infastidisce, ci si commuove, si ha paura, ci si annoia, si soffre, ci si sente persi, si prova ansia, si sogna, si crede che possano esistere ancora passioni estreme, ci si illude che la poesia abbia senso, si pensa che niente abbia senso, si crede che tutto sia vano, e ci si convince che vivere sia meravigliosamente insano: dove si trova qualcosa del genere nei romanzi degli ultimi trent’anni? in nessun altro scrittore di oggi la letteratura è così grandiosamente allegra e disperata. Ammaliati dalla stupefacente capacità affabulatoria di Bolaño, e dalla sua voce al tempo stesso amabile e ironica, ci addentriamo in un labirinto di luoghi, di segni, di incontri, di libri, di quadri, di sogni, di storie che generano altre storie: un labirinto dove ci aggiriamo frastornati e felici, senza tuttavia sentirci mai perduti. Giacché, pur nel moltiplicarsi vertiginoso degli eventi, dei generi e dei piani temporali, Bolaño sa tenere il suo racconto con mano salda: e il lettore è certo che tutti i nodi che si vanno aggrovigliando si scioglieranno.
Bolaño è contemporaneamente il cronista di una quotidianità assurda, frantumata e inconsapevolmente crudele, e il visionario capace di spingere le situazioni vertiginosamente verso la morte, il sogno, l’attesa di catastrofe, l’allucinazione o il gioco intellettualistico. Di girovagare senza pace tra la crudeltà, il sentimentalismo, le immagini, i desideri e le citazioni del nostro caos giornaliero.
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Fabio Condemi (Ferrara, 1988) diplomato al corso propedeutico della scuola del Teatro Stabile di Genova e nel 2015 all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico di Roma.
Dal 2016 è assistente di Giorgio Barberio Corsetti con il quale ha collaborato per diversi allestimenti teatrali e operistici.
Nel 2017 presenta lo studio de Il sonno del calligrafo tratto dal romanzo Jakob Von Gunten di Robert Walser alla sezione College della Biennale Teatro di Venezia, ricevendo una menzione speciale per “il rigore e l’inattesa ironia con cui ha affrontato un autore complesso come Robert Walser (…)”. Nel 2018 il suo lavoro Jakob Von Gunten debutta alla Biennale Teatro di Venezia e nel 2020 è di nuovo ospite in laguna con La filosofia nel boudoir di de Sade.
Gabriele Portoghese (Milano, 1982) inizia il suo percorso sotto la guida di Carlo Cecchi. Ha lavorato, tra gli altri, con Andrea Baracco, Valerio Binasco, Ferdinando Bruni, Fabio Cherstich, Giorgio Barberio Corsetti, Roberto Rustioni, Federica Santoro. Dal 2015 collabora col regista Fabio Condemi. Premio Ubu come miglior attore nel 2021.
dal 14 al 19 maggio
dal martedì al venerdì h 21, sabato h 19 e domenica h 17
Questo è il tempo in cui attendo la grazia
da Pier Paolo Pasolini
con Gabriele Portoghese
drammaturgia e montaggio dei testi Fabio Condemi, Gabriele Portoghese
regia Fabio Condemi
drammaturgia dell’immagine Fabio Cherstich
filmati Igor Renzetti, Fabio Condemi
produzione La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello, Teatro Verdi Pordenone, Teatro di Roma -Teatro Nazionale
Durata: 60’
Questo è il tempo in cui attendo la grazia è una biografia onirica e poetica di Pasolini attraverso le sue sceneggiature.
Georges Didi-Huberman nel suo saggio Come le lucciole Scrive: «Tutta l’opera letteraria, cinematografica e persino politica di Pasolini sembra attraversata da momenti di eccezione in cui gli esseri umani diventano lucciole – esseri luminescenti, danzanti, erratici, inafferrabili e, come tali resistenti – sotto il nostro sguardo meravigliato».
I temi dello sguardo e dell’ecfrasi sono centrali in questo lavoro, Si comincia col bambino che vede il mondo, la luce, la natura, sua mamma per la prima volta (Edipo) e si prosegue con lo sguardo antico e religioso sul mondo del Centauro (Medea) e si arriva fino allo sguardo su un’Italia imbruttita dal nuovo fascismo consumista (la forma della città) passando per la “disperata vitalità” presente nel fiore delle Mille e una notte e per la scena della Ricotta nel quale il regista viene intervistato e recita “io sono una forza del passato”. I termini “vede”, “come visto da”, “vediamo”, “guarda”, “Attraverso gli occhi di…” compaiono molto spesso in tutti i testi scelti e creano questo filo rosso sul tema del vedere che è molto importante in un periodo nel quale la capacità di guardare le cose si è atrofizzata.
Per questo motivo il materiale letterario che abbiamo scelto è tratto dalle sceneggiature: Sfogliando una sceneggiatura di Pasolini entriamo immediatamente nella sua officina poetica e in quelle “folgorazioni figurative” per i pittori medievali e manieristi studiati sotto la guida di Roberto Longhi. Quello che ci interessa esplorare non è il suo cinema (cioè il prodotto definitivo delle sceneggiature) ma il suo sguardo. Uno sguardo che ci riguarda, sempre. Il titolo dello spettacolo è tratto da un verso della poesia di Pasolini, Le nuvole si sprofondano lucide, inserita nella raccolta Dal diario (1945-1947), Salvatore Sciascia, Caltanissetta maggio 1954.
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dal 21 al 26 maggio
dal martedì al venerdì h 21, sabato h 19 e domenica h 17
LA MARIA BRASCA
di Giovanni Testori
con Marina Rocco, Mariella Valentini, Luca Sandri, Filippo Lai
regia Andrée Ruth Shammah
uno spettacolo di Andrée Ruth Shammah
scene Gianmaurizio Fercioni
costumi Daniela Verdenelli
luci Oscar Frosio
musiche Fiorenzo Carpi
riallestimento a cura di Albertino Accalai per la scena e Simona Dondoni per i costumi
assistente alla regia Diletta Ferruzzi
pittore scenografo Santino Croci
direttore di scena Mattia Fontana
macchinista costruttore Marco Pirola
macchinista Giulio Cagnazzo
elettricista Gianni Gajardo
sarta Giulia Leali
scene costruite presso il laboratorio del Teatro Franco Parenti
produzione Teatro Franco Parenti, Fondazione Teatro della Toscana
Si ringrazia Pinina Carutti per il suo sguardo colto e profondo
Durata: 100’
Testori, un grande, grandissimo scrittore che quando ha scritto per il Teatro ha fatto nascere personaggi femminili indimenticabili come non ne esistono nel teatro di prosa, non solo in Italia ma credo nel mondo. Una di queste eccezionali figure è sicuramente quella nata per prima, l’unico personaggio vincente di Testori, quello che grida al mondo la potenza della passione, l’amore per la vita vissuta fuori da ogni costrizione, convenzione, compromesso: è La Maria Brasca. Negli anni ‘60 fu Franca Valeri a farla esistere sul palcoscenico ma poi, con la mia regia, per anni è stata il grande successo di Adriana Asti e ora, nei cento anni dalla nascita di Testori e nella stagione del Cinquantesimo del Parenti, è necessario un passaggio di testimone per continuare a far vivere sulla scena questa esplosione di energia che ci diverte e ci commuove. Dopo essere stata la mia protagonista né Gli Innamorati di Goldoni, Ondine di Giraudoux e, più recentemente, una memorabile Nora in Casa di Bambola, Marina Rocco è sicuramente l’attrice perfetta per entrare in questo spettacolo e farlo rivivere così come ha vissuto per tanti anni nell’edizione amata dal suo autore. Sento, adesso, a trent’anni dalla prima edizione e ventitré dalla ripresa, la necessità di far rinascere “quello” spettacolo, quello e non un altro perché, affascinata da quella volontà di Maria di non cedere, di difendere tutto ciò che rappresenta la sua vita e non aver paura di parlare di felicità (uno stato d’animo così prezioso ma assente nel teatro di Testori e così raro nella drammaturgia contemporanea) credo sia importante rilanciarlo nel tempo futuro per altre centinaia di recite. Io ci credo, succederà, perché il testo è ancora così fresco, potente nel messaggio e lo spettacolo fa vibrare la comunicazione tra divertimento (le scene con le sorelle sono irresistibili) e commozione (lei che rimane in sottoveste in cucina, disperata) e il gran finale in dialogo con il pubblico, un finale positivo che lascia gli spettatori divertiti, con lo stimolo a vivere le proprie passioni e i singoli desideri con grande fiducia e allegria! La scena è una delle più belle del mio scenografo storico Gianmaurizio Fercioni e le musi- che, quelle indimenticabili di Fiorenzo Carpi. Sì, ne sono certa, è il momento giusto per far rivivere questo capolavoro e questo mio spettacolo così fortunato, per chi non l’ha visto e per quelli che vorranno rivederlo. Andrée Ruth Shammah
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Intero: 25€
Ridotto over 65: 20€
Ridotto Cral/Enti convenzionati: 18€
Ridotto studenti: 16€
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Abbonamenti
Zefiro (7 titoli) € 105 acquista on line
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Eolo (8 titoli) € 120
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Abbonamento Danza (4 titoli) € 48
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Zefiro acquista on line
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10-22 ottobre
LE MEMORIE DI IVAN KARAMAZOV
19-27 gennaio
PROCESSO GALILEO
13-18 febbraio
Souvenir de KIKI
19-24 marzo
De Gasperi: l’Europa brucia
9-14 aprile
ZIO VANJA
16-21 aprile
LA RAGAZZA SUL DIVANO
21-26 maggio
LA MARIA BRASCA
Eolo acquista on line https://www.vivaticket.com/it/Ticket/abbonamento-eolo-8-spettacoli/211166
29 settembre – 8 ottobre
PAGLIACCI ALL’USCITA
25-29 ottobre
LA FABBRICA DEGLI ATTORI
15-19 novembre
ILGRANDE VUOTO
28 -30 novembre
COME UN ANIMALE SENZA NOME
12-17 dicembre
AMISTADE
27 febbraio – 3 marzo
4 5 6
20-25 febbraio
TOP GIRLS
14-19 maggio
QUESTO È IL TEMPO IN CUI ATTENDO LA GRAZIA
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1- 3 dicembre Lino Musella
L’AMMORE NUN’E’ AMMORE
19-30 dicembre
FOTOFINISH
3-14 gennaio
HYBRIS
6-11 febbraio
PINOCCHIO
5-17 marzo
SALVEREMO IL MONDO PRIMA DELL’ALBA
26-30 marzo
LA SPARANOIA
26-28 aprile
POETICA
4-12 maggio
LA PARTE DI BOLANO
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23-26 novembre
LA LUNA DEI BORBONI
5-10 dicembre
L’ARTE DELLA FUGA
30 gennaio- 4 febbraio
KRISTO
4-7 aprile
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Info: 06 5881021 – 06 5898031
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Teatro Vascello Via Giacinto Carini 78
Cap 00152 Monteverde Roma
orari spettacoli: ore 21, sabato ore 19, domenica ore 17
domenica 31 dicembre ore 21:30 Speciale Capodanno
Il teatro rimarrà chiuso i giorni: 24-25-26 dicembre, 1 e 2 gennaio 2024
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Come raggiungerci con mezzi privati: Parcheggio per automobili lungo Via delle Mura Gianicolensi, a circa 100 metri dal Teatro. Parcheggi a pagamento vicini al Teatro Vascello: Via Giacinto Carini, 43, Roma; Via Maurizio Quadrio, 22, 00152 Roma, Via R. Giovagnoli, 20,00152 Roma
Con mezzi pubblici: autobus 75 ferma davanti al teatro Vascello che si può prendere da stazione Termini, Colosseo, Piramide, oppure: 44, 710, 870, 871. Treno Metropolitano: da Ostiense fermata Stazione Quattro Venti a due passi dal Teatro Vascello. Oppure fermata della metro Cipro e Treno Metropolitano fino a Stazione Quattro Venti a due passi dal Teatro Vascello
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