Attilio Boldrini, il Bulow di Ravenna
Nella stanza dell’Hotel Mare Pineta di Milano Marittima la luce è poca e il fumo tanto. È quasi una nebbia, densa, che avvolge tutti gli uomini intorno al tavolo. Da un lato ci sono messaggeri e inviati alleati, dall’altro ci sono Mario Gordini, Ennio Cervellati, Gino Gatta e tanti altri partigiani romagnoli.
Sul legno della scrivania ci sono bicchieri e posaceneri, ma soprattutto mappe. Si parla di manovre, di spostamenti, di punti nevralgici. Poi prende la parola Attilio Boldrini, dice qualcosa che stona alle orecchie di tutti quanti: la lotta partigiana doveva spostarsi dalle montagne verso la pianura. Qui i contadini e gli operai romagnoli avrebbero creato una vasta linea di traffici, scambi e protezione per le brigate. Per molti è un progetto impossibile, irreale. Così Michele Pascoli, barbiere comunista, gli risponde “Mo’ chi sit, Bulow?”.
Ma chi sei, Bulow? Ovvero Friedrich von Bulow, comandante prussiano che sconfisse Napoleone. Da quel momento Bulow divenne il soprannome di Attilio Boldrini. Se lo portò sulle colline ravennati, a Forlì, sul fiume Senio e sul delta del Po.
Il suo Bonaparte da sconfiggere erano i tedeschi e i fascisti. E ci riuscì guidando, nella pianurizzazione della lotta, “due brigate di patrioti per più mesi in rischiose e sanguinose azioni di guerriglia”, come si legge nella motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare che il generale Mac Creery gli conferì a Ravenna nel 1945. Era il primo partigiano attivo in territorio liberato che veniva decorato.
La sua Resistenza però non finì nell’anno della Liberazione. Educato a valori democratici e di libertà dal padre, Attilio Boldrini guidò l’Associazione Nazionale dei Partigiani Italiani fino a diventarne presidente onorario nel 2006. Parlamentare fino al ‘94 divenne anche Vicepresidente della Camera tra il ’68 e il ’76. Dirigente del Pci, girò il mondo per insegnare e ricordare i suoi ideali di socialismo e libertà. Dall’Argentina al Portogallo, dove aiutò i combattenti contro le rispettive dittature, fino all’Algeria e alla Palestina, dove si schierò apertamente per la loro causa indipendentista.
Classe 1915, muore nella sua Ravenna nel 2008. La sua figura, il suo ricordo e i suoi insegnamenti servono soprattutto oggi, dopo un 25 aprile avvelenato, fatto di polemiche e separazione, di cortei fascisti e di paura.
Bisogna allora ricordare, rileggere, riscoprire. Ritornare ad assaporare le parole e il loro valore. La lotta per la Liberazione e la Resistenza “fu un movimento popolare di partigiani e partigiane sostenuto da una grande solidarietà popolare – diceva Bulow – con i militari delle tre Forze Armate, che hanno combattuto assieme per riconquistare la libertà per tutti: per chi c’era, per chi non c’era e anche per chi era contro, con una generosità non sempre conosciuta in altre epoche storiche. Questo è il grande dato storico, che va sottolineato anche per rendere omaggio a tutti i Caduti e a quanti della nostra generazione sono scomparsi, e che ci hanno lasciato un nobilissimo testamento che non può essere dimenticato”.
di Lamberto Rinaldi