Il 27 aprile 1937 moriva Antonio Gramsci
Nato ad Ales (Oristano) il 22 gennaio del 1891, da una famiglia di lontane origini albanesi, ebbe un’infanzia funestata da seri problemi di salute, che ne segnarono il fisico e difficoltà economiche, che a 14 anni, per aiutare la famiglia, lo portarono a lavorare per 10 ore al giorno. Poté studiare solo grazie ai sacrifici dei suoi e alle sue capacità, che lo portarono a vincere una sorta di borsa di studio. Entrato in contatto con le idee socialiste, grazie al fratello, probabilmente a 22 anni si iscrisse al partito e ne divenne militante. Non terminò gli studi universitari di lettere a Torino, proprio per il suo crescente impegno politico e nella redazione locale dell’Avanti!, giornale del partito.
Da allora in poi, la sua vita è tutto un susseguirsi di pubblicazioni e redazioni di testate, che mostrano un graduale spostamento sempre più verso tesi rivoluzionarie, avverse al riformismo (“La Città Futura” tentativo di un giornale dei giovani socialisti; “Il Grido Del Popolo” giornale di cui rimase unico redattore sino alla chiusura; “La Rivoluzione Contro Il Capitale” editoriale su l’Avanti!, del 24 novembre 1917, a commento delle notizie sulla Rivoluzione Russa; “L’Ordine Nuovo” rivista d’intenzione culturale socialista, col tempo diventata una sorta di giornale dei consigli di fabbrica). A seguito del fallimento degli scioperi nelle fabbriche del 1920, Gramsci denunciò la mancanza di attivismo del partito, ridotto a mero schieramento parlamentare e paventò l’allontanamento da questo della classe operaia, verso tendenze anarchiche; per questo auspicò la sua trasformazione nel “partito dei proletari rivoluzionari che lotta per l’avvenire della società comunista”, nonché l’eliminazione dal suo interno dei non-comunisti rivoluzionari. Anche a causa di una mancanza di strategia del partito socialista e dell’impreparazione del movimento ordinenuovista, fallita la stagione dell’occupazione delle fabbriche, il 21 gennaio del 1921, da una scissione in seno ai socialisti, nacque il Partito Comunista Italiano, di cui Gramsci fu tra i fondatori.
Fu tra gli esponenti del partito che teneva i contatti con gli organismi dell’Internazionale Comunista e con l’Unione Sovietica, ove conobbe la futura moglie, che gli diede due figli. Quando, nel settembre del 1923, a causa di numerosi arresti l’Esecutivo del PCI fu falcidiato, rimase quale dirigente più importante, che da Vienna seguiva la situazione italiana. Il 12 febbraio del 1924 vide la nascita del più importante quotidiano comunista, l’Unità, che doveva il suo nome all’auspicata unione della classe operaia, di tutti i lavoratori, di tutto il popolo (del nord e del sud) nella lotta contro il fascismo. Alle elezioni del 6 aprile fu eletto deputato e, in virtù dell’immunità parlamentare poté rientrare a Roma. A seguito del delitto Matteotti, Gramsci propose al “Consiglio dei Sedici”, che rappresentava i gruppi parlamentari della secessione dell’Aventino, uno sciopero generale quale forma più incisiva di protesta e, poiché questo respinse la proposta, il gruppo dei comunisti da quel Comitato delle Opposizioni e il 26 novembre rientrò in Parlamento. Nel gennaio del ’26 al III congresso del partito, che si tenne clandestinamente a Lione, fu eletto Segretario, dopo l’approvazione a larghissima maggioranza delle sue Tesi congressuali. Mentre nel partito ferveva il dibattito sulla situazione politica in URSS, dopo l’attentato al Duce del 31 ottobre, il 5 novembre del ‘26 il Governo sciolse i partiti di opposizione, soppresse la libertà di stampa e, in spregio all’immunità parlamentare, fece arrestare Gramsci. Da allora, tra carcere preventivo, confino, processo, condanna a 20 anni e ricovero sotto sorveglianza per gravi motivi di salute, egli non vide più la libertà se non per pochi giorni, prima di morire per emorragia cerebrale.
Nella sua vita scrisse moltissimo e non solo di politica, dove si dimostrò capace di analisi puntuale e precisa della società italiana, che spesso si mostra attualissima ancor oggi. Interessanti i temi sulla questione meridionale, sul concetto di Egemonia Culturale, sulla divisione tra le classi subalterne, sul freno alla rivoluzione sociale da parte della Chiesa, della mancanza di autocoscienza delle masse. Però, fu anche un interessante critico teatrale e la sua corrispondenza famigliare (famosi i suoi Quaderni Dal Carcere) ne delinea la personalità sensibile, di chi abbia conosciuto la miseria, la malattia, la distanza dai suoi cari, la privazione della libertà.
Purtroppo, soprattutto guardando l’attuale panorama politico, oltre ad apprezzarne ancor più la rettitudine, la vivacità intellettuale, dobbiamo constatare la squallida desolante nullità, di coloro che oggi gli succedono.
di Mario Guido Faloci