Trump e l’ONU, così vicini così lontani

1,2 miglia separano la Trump Tower dal Palazzo di Vetro dell’ONU a New York. A seconda che si vada a piedi, in auto o con i mezzi pubblici, ci si impiegano dai 9 ai 26 minuti. E’ vero, siamo a Manatthan e le distanze non andrebbero considerate con i normali parametri del resto del mondo, ma 1,2 miglia sempre tali rimangono. Eppure, molto probabilmente, Donald Trump il problema non se lo è mai posto. Non prima del suo esordio davanti all’Assemblea Generale, almeno. Ne ha avute per tutti, il magnate/presidente, nel suo primo discorso davanti ai delegati dei 193 paesi aderenti all’organizzazione internazionale, martedì 19 settembre 2017. Quarantuno minuti di discorso in cui ha reso un compendio di tutti gli attuali nemici dell’amministrazione USA, i “suoi” nemici.

Niente di nuovo ma era giusto che anche all’ONU sapessero, per quanto possa contare. Eccoli, i nemici di Trump. Il primo è stato ovviamente Kim Jong-Un. Per l’occasione gli ha anche affibbiato l’appellativo di “rocket man”, che ad ogni appassionato rock non può non riportare alla mente la canzone di Elton John. Ma qui più che di corsa allo spazio si tratta di corsa agli armamenti. Nucleari. Il clima è da Guerra Fredda ma sembra più una messa in scena, visti anche i toni tragicomici usati dai due contendenti. Una spirale di insulti alla Pulcinella, un derby delle parrucche tra due macchiette da cabaret che adesso annovera tra i suoi scenari anche la sede del più importante consesso mondiale. “L’ uomo razzo” è in missione suicida per sè e il suo regime”, ha tuonato The Donald minacciando di attuare un attacco se il leader di Pyongyang continuerà a giocare con l’atomica. Ma gli strali del presidente non si sono fermati qui. E toccato anche all’Iran, reo di finanziare Hezbollah “contro i pacifici vicini arabi e Israele” e col quale non bisognava fare l’accordo sul nucleare; poi il Venezuela, dove “il problema non è che il socialismo sia stato male applicato, ma è che sia stato applicato fedelmente”; e ancora, il clima, con l’accordo di Parigi considerato “ingiusto” per gli USA; e la chiosa con l’immancabile “America first”, lo slogan della sua campagna elettorale che non avrà fatto presa su artisti, intellettuali e personaggi dello sport, ma le fantasie di molti deve averle stuzzicate. Altrimenti all’ONU avrebbe parlato Hillary e non lui.

di Valerio Di Marco

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