L’Europa e il potere sovranazionale

È molto più facile far pagare il conto ai cittadini: una stretta alle pensioni (ma, per carità, non alle “pensioni d’oro”), un aumento delle accise, un aumento del debito, che è molto più “nostro” che non del governo. È solo per questo che il nostro PIL arranca, mentre cresce bene quello tedesco. Ma, soprattutto, il debito è un’ipoteca sul futuro: è l’eredità che lasciamo ai nostri figli; è la rata che tutti noi paghiamo sotto forma di IVA, accise, tasse, povertà e disoccupazione. I nostri partner europei più “virtuosi” semplicemente spendono meno di noi per la macchina pubblica. Ed hanno, quindi, più risorse a disposizione. Soprattutto, dimostrano che è possibile spendere la metà per far funzionare (magari anche meglio) la cosa pubblica.
Ma, forse, queste mie osservazioni possono sembrare poco credibili: infatti, non fanno parte del dibattito politico, non si riscontrano nei telegiornali e nella maggior parte dei giornali. Forse fanno parte di quelle “bufale” contro cui tanti politici tuonano. Perciò, vi prego, verificate: i dati dei bilanci di tutti gli Stati sono disponibili on line (e non sono bufale), ed è possibile controllare quali voci del nostro siano esuberanti. Spendiamo meno dei partner europei per sanità, difesa, ricerca, istruzione; siamo più o meno allineati per spesa pensionistica (in gran parte autofinanziata dai lavoratori). L’unica voce superiore (e di molto) è quella della spesa per l’”amministrazione generale” dello Stato. Su questa voce, così dispendiosa (circa dieci volte più del Regno Unito) non si lavora seriamente. Ecco perché la famosa “spending review” poteva prospettare un risparmio di trenta miliardi, molto di più delle altre timide manovre economiche. Ecco perché non se ne è fatto niente.
C’è, poi, il problema di principio della perdita di sovranità. Perchè cederne una parte ad un organismo sovranazionale, con la sua burocrazia, i suoi tecnici dal cuore duro?
Perché cedere ad una Banca Europea l’autonomia della nostra Banca d’Italia?
Qui la risposta è più semplice.
Perché quei sognatori che – dal confino di Ventotene – scrissero il famoso Manifesto, che per primo ipotizzò un’Europa unita, proprio questo volevano: la riduzione delle singole sovranità, in cambio di una sovranità più alta. Il fine – ma, soprattutto, il premio – di tale progetto era la pace: una pace duratura, non l’effimero intervallo tra le guerre, come in tutta la storia passata del nostro continente.
Ora, non mi sembra il caso di barattare un disegno così importante, per un falso problema di tipo economico.
Con profetica lungimiranza, Spinelli scriveva:
“la linea di divisione fra i partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai, non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa coloro che concepiscono, come campo centrale della lotta quello antico, cioè la conquista e le forme del potere politico nazionale, e che faranno, sia pure involontariamente il gioco delle forze reazionarie, lasciando che la lava incandescente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel vecchio stampo e che risorgano le vecchie assurdità, e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale.”
Ed è sintomatico che gli ex fascisti di Le Pen siano oggi soprattutto anti europeisti: Spinelli (e i suoi amici Colorni e Hirschmann) avevano proprio ragione!
La sinistra italiana, o quel che ne rimane, sembra aver dimenticato il senso di quel manifesto. Ben se ne ricordano le destre, che non vogliono un’Europa sovranazionale.
Ovviamente, dimenticando il fondamento del movimento europeista, nato come antidoto alle derive autoritarie e reazionarie, quasi come un contratto assicurativo per un futuro di pace e di benessere, si dà spazio alle derive meno nobili, che possono annidarsi nel processo.
Ma non è barando sulle leggi finanziarie che possiamo ottenere un europeismo equilibrato e giusto.

di Cesare Pirozzi