Quei 74 migranti che il mare ha ucciso e riportato a casa
Il mare li ha riportati da dov’erano partiti, ma si è tenuto le loro vite e ha restituito solo i corpi. Quelli di 74 migranti, tra cui tre donne, ritrovati il 21 febbraio su una spiaggia della costa occidentale libica nei pressi della città di Zawiya, 50 km a ovest di Tripoli. A darne notizia è stata la Mezzaluna libica, l’equivalente della nostra Croce Rossa, su segnalazione degli abitanti della zona. Ma si teme che i morti siano di più, dal momento che è stata trovata anche l’imbarcazione sulla quale quelle persone erano stipate, presumibilmente in un numero compreso tra le 100 e le 120 unità, di varie nazionalità africane. Si erano imbarcate per raggiungere l’Italia in cerca di una vita migliore. Ma la vita l’hanno lasciata tra i flutti di quel Mediterraneo che invano hanno cercato di solcare. E’ l’ennesima tragedia dei migranti, “smorzata” nell’eco mediatica – perlomeno in Italia – dal fatto che quei morti non sono stati ritrovati su una delle nostre spiagge. E forse anche l’assuefazione dell’opinione pubblica a queste notizie ha fatto la sua parte. Ma i numeri di quest’olocausto sono in continuo aggiornamento al rialzo. Dal 2014 oltre 10mila persone sono morte in mare nel tentativo di raggiungere le coste italiane dalla Libia. E’ quella che per gli studi risponde al nome di ‘rotta mediterranea centrale’: 2.550 morti nel primo anno, 2.850 nel secondo e 4.600 nel terzo. Un tragitto che dal 1 gennaio scorso ha già mietuto 232 vittime (a fronte di 10.120 arrivi). E si tratta di stime per difetto, dal momento che il mare ha restituito solo una parte dei corpi annegati. Tutto ciò, nonostante non più tardi di un mese fa, il vertice UE di La Valletta abbia sancito l’impegno dell’Unione a sostegno del patto Italia-Libia sui migranti. Loro fanno i vertici, ma intanto la gente continua a morire.
di Valerio Di Marco