Quel polpettone avvelenato di guerra

150 milioni di dollari, pari a 90 miliardi di vecchie lire. 6000 comparse, tra cui alcune di extra lusso a contratti extra galattici: tipo Kenneth Branagh, Cillian Murphy, Tom Hardy. Messi là solo come specchietti per le allodole, dato che fanno poco o niente, dal punto di vista narrativo e attoriale. Solo Mark Rylance svolge un ruolo importante.

Per cosa la finanza cinematografica internazionale spende una simile miniera diamantifera? Per ricostruire una pagina di storia, seppure importante? Sarebbe come se la Ford si rimettesse a produrre e a porre in commercio i suoi modelli automobilistici anni ‘40-50 dello scorso secolo. Sì, dato che il cinema è quel particolare genere di merce che tu compri con un biglietto, acquistando soprattutto le idee della grande finanza che ha investito una tale ammasso monetario. E le idee da vendere per portare acqua al proprio mulino non possono essere idee legate all’attualità, al presente, o all’immediato futuro. Qual è dunque il senso attuale di questo film? Ci torniamo.

Ma intanto – rispetto ai grandi modelli del genere guerra – questo film dice qualcosa di nuovo? E soprattutto lo dice in modo nuovo? Non sembra proprio. A parte l’avanzamento tecnologico ed elettronico nei mezzi di ripresa, montaggio e post-produzione, non si vede un’idea nuova né in narrazione né in invenzione squisitamente cinematografica. La simultaneità cielo-mare, navi-aerei, è più il risultato di un formato tecnico (l’IMAX 70 mm) che di una visione intrinsecamente inedita. Come “merce” da spacciare al grande pubblico mondiale, Nolan e i suoi padreterni finanziari hanno badato più che all’originalità alla omogeneità, nel senso dell’omogeneizzato, del macinato da polpettone. Che pappone ci hanno allora voluto imboccare?

Ora dato che si tratta di circa 400.000 soldati umiliati dal nemico e costretti a un’ingloriosa fuga, il senso del film è riassunto dalle parole di Wiston Churchill, scritte sulla prima pagina di un quotidiano e lette da uno dei soldati che sono riusciti a tornare in Inghilterra: “Non ci arrenderemo. Combatteremo sulle spiagge, nei luoghi di sbarco”. Ecco fate conto che quel piccolo vecchio foglio di giornale sia il nuovo super schermo cinematografico. Il soldatino sopravvissuto che legge le parole del potere, le assume come l’ostia nella Santa comunione: sa che esse gli stanno dicendo che deve subito riarmarsi, ripartire e rinfilarsi in un nuovo tritacarne per polpette. Fate conto che quel soldatino siamo noi. D’altronde non solo la guerra ma anche un film di guerra a budget stratosferico è il miglior investimento per il capitale.

Alcuni hanno giocato sull’identificazione delle truppe inglesi e francesi buttate dai nazisti a mare con i migranti di oggi. Come si possa conciliare questa identificazione con l’orgoglioso discorso patriottico, nazionalista finale di Churchill, è tutto da chiarire. Un discorso e una scena che costituiscono una vera e propria architrave portante di tutto il film. Churchill dice a nome degli odierni migranti che essi non si arrenderanno mai, che continueranno a combattere su tutte le spiagge e i luoghi di sbarco?!? Dai, non scherziamo. La guerra di oggi sarebbe contro un nemico che – proprio come quello del film – non si vede mai e che non è certo la prima volta che è paragonato al nazismo. È il fondamentalismo islamico e chi oscuramente lo manovra?

Ecco proprio qui casca il polpettunkirk. USA, Europa e l’Occidente tutto sarebbero oggi come quel mezzo milione di fantaccini di ieri, sotto l’attacco dell’asse hitleriano del male, di cui facevano parte anche Italia e Giappone? O a minacciarlo inesorabilmente sono le radici intrinseche della sua violenza ontologica, strutturale, che sta mettendo a rischio la stessa intera sopravvivenza del pianeta? Radici che – conquistando l’intero pianeta – hanno seminato e lasciato crescere selvaggiamente e senza più frontiera ovunque. E per un’altra semina epocale dovremmo – come ci dice di fare questo film – ri-partire e impartire il nostro massacro al mondo?

di Riccardo Tavani