Il filo oscuro che sottostà allo stupro. È il momento di tagliarlo
Gli stupri di gruppo commessi a Rimini, il tempio del divertimento estivo, subiti da una turista polacca e da una transessuale peruviana, sembrerebbero aver riacceso l’attenzione dei media e della politica su un reato odioso e diffuso.
Purtroppo, però, quello che ha attirato gran parte della stampa e della politica, e che ha indirizzato il dibattito, è stata la nazionalità degli stupratori. Non l’offesa e l’umiliazione, che sono indifferenti alla provenienza etnica del molestatore.
A seguire, l’allucinante vicenda di Firenze che vede coinvolti due carabinieri e due studentesse ventenni.
Anche in questo caso l’attenzione è alta ma il registro è, apparentemente, diverso. Stavolta sotto la lente finisce la moralità delle ragazze.
Il reato è lo stesso, l’approccio di politica e stampa sembra diverso ma c’è un filo oscuro che lega tutto.
Nel dibatto seguito al caso di Rimini si è abusato del corpo delle donne per dare più forza alle battaglie contro l’immigrazione. L’offesa principale portata dal branco, con un ribaltamento di prospettive, non è quella contro la vittima: è l’uomo a essere sfidato e offeso dallo straniero che insidia le “nostre” donne. Addirittura è stato riesumato, dai bassifondi della storia, un manifesto dell’Italia repubblichina che raffigura un molestatore di colore mentre insidia una donna bianca. Il messaggio riportato sul manifesto è chiaro: potrebbe essere tua madre, tua moglie, tua sorella, tua figlia. Comunque è roba tua.
Sulla vicenda fiorentina è il dubbio ad imporsi e la violenza diventa presunta. D’altra parte le due studentesse americane trascorrono notti alcoliche nelle discoteche e, probabilmente, provocano. Non sono madri, sorelle o figlie. Sono l’altra metà del mondo femminile: quello delle “ragazze facili”.
E’ il portato di un’arcaica cultura maschile, fondata sul dominio, il filo oscuro che sottostà allo stupro, alla difesa di una parte dell’universo femminile e all’offesa dell’altra parte.
È il momento di tagliarlo.
di Enrico Ceci