Lo stragismo e il cosiddetto saluto romano

Il 22 luglio di 10 anni fa si è consumato in Norvegia uno dei peggiori eccidi del dopoguerra europeo: alle 15,25 di quel tragico giorno un’autobomba è esplosa ad Oslo, nei pressi dell’ufficio del primo ministro, lasciando 8 morti ed oltre 200 feriti, di cui 12 gravi. L’autore dell’attentato si è poi recato nell’isola di Utøya, dove si svolgeva il meeting annuale dei giovani sostenitori del Partito Laburista Norvegese, ed ha sparato, uccidendo freddamente 69 ragazzi (i più giovani tra i 14 e i 16 anni d’età) e ferendone 110, la metà in modo grave.

L’autore della strage era un trentaduenne simpatizzante dell’estrema destra, perfettamente capace di intendere e di volere – come è stato riconosciuto nel corso del processo – che ha compiuto quell’atto apparentemente folle deliberatamente, in piena consapevolezza e lucidità, non accecato da alcuna forma di pazzia.

Non si trattava di un folle, anche se il suo atto può sembrare tale, come non erano folli i gerarchi nazisti responsabili dei campi di sterminio. Il loro stato mentale fu studiato durante il processo di Norimberga con la somministrazione di test psicologici, che risultarono perfettamente nella norma[1].

Sì, siamo spesso propensi a considerare gli atti più efferati come frutto della follia, eppure quasi mai si tratta di follia, ma di semplice malvagità: anche le persone sane di mente possono scegliere, in piena consapevolezza, di essere crudeli. È un’idea dolorosa e allarmante, ma è meglio esserne consapevoli. Anche per questo le vicende di deliberata ferocia, individuale o collettiva che sia, devono farci aprire gli occhi, nonostante l’orrore che suscitano: poiché non nascono dalla pazzia, bisogna chiedersi qual è la loro origine, quale pensiero le nutre e le porta a compimento, quale ideologia, quale visione del mondo le genera o le incoraggia.

In questo caso di dieci anni fa – come pure per il nazi-fascismo di sessant’anni fa – si tratta della solita, trita, idea che gli uomini siano divisi in razze, delle quali una (la propria, guarda caso) è superiore. Ne discende che questa razza superiore abbia il diritto di uccidere non soltanto chi appartiene ad una razza inferiore (come nel caso della shoah) ma anche chi non è d’accordo, e pertanto può essere visto come un nemico o semplicemente un ostacolo da eliminare: ecco l’originale pensiero di Anders Breivik, l’autore della strage di Utøya. Sembra una follia ma, come si diceva, non lo è, almeno non in senso clinico: è solo un misto di stupidità, mancanza di senso morale e crudeltà.

Un ulteriore punto di contatto tra i vecchi e i nuovi stragisti è l’uso di un particolare tipo di saluto, che si effettua alzando il braccio e la mano destra dritti davanti a sé. Così si salutavano i nazi-fascisti dell’epoca, così saluta ostentatamente Breivik anche nei tribunali, dinanzi agli obiettivi di telecamere e macchine fotografiche, così salutano alcuni simpatizzanti della destra politica di tutto il mondo.

È il caso, perciò, di spendere qualche parola su questo peculiare saluto, che dovrebbe suscitare orrore in considerazione delle ignobili cose cui è storicamente legato, ma che tuttavia diverse persone ancora usano o difendono, in quanto segno identitario della loro ideologia e supposto ricordo di un glorioso passato.

I fascisti lo chiamano saluto romano, ma gli storici sono concordi nel dire che nell’antica Roma quel gesto non fu mai usato come saluto né in ambito civile né militare. Di fatto, non esiste statua, moneta o dipinto che lo rappresenti, né scritto che lo descriva[2]. È semplicemente una bufala, una delle tante, della pseudocultura nazi-fascista. È un saluto meramente fascista, che di romano o di antico non ha proprio nulla.

Sembra sia stato inventato da Gabriele D’Annunzio per il film Cabiria del 1914, di cui il poeta curò parte della sceneggiatura e le didascalie: un vero kolossal del cinema muto della durata di circa tre ore, antesignano dei cosiddetti peplum prodotti ad Hollywood nei decenni successivi. Il film, impreziosito dalle musiche di Ildebrando Pizzetti e dal viraggio a colori della pellicola, fu un grande successo internazionale e lanciò la cinematografia italiana, diffondendo nel mondo il falso storico del saluto romano.

Lo stesso tipo di saluto fu usato, qualche anno dopo, dai legionari fiumani di D’Annunzio e, successivamente, fu adottato dal partito fascista, con la scusa di riportare in auge un’usanza dell’antica Roma, quando invece stavano semplicemente adottando l’invenzione scenica di un film. Ma proprio per la sua origine cinematografica, quel saluto possedeva un indubbio appeal, e contagiò i nazisti, i franchisti e i seguaci del dittatore greco Metaxas: in pratica tutta la destra filofascista d’Europa.

Lo ribadisco, non si tratta per niente di un saluto romano, ma di un saluto esclusivamente fascista, dittatoriale e liberticida, privo di qualsivoglia dignità storica.

E chi lo dice adesso a Michetti, il candidato sindaco di Roma, che non è vero che si può apprezzare quel saluto come eredità dell’antica Roma?

Oltretutto, la teoria da lui sostenuta che quel saluto pseudo-antico sia più igienico, non è per niente originale. Era già stata usata da Starace, segretario del partito fascista ai tempi del ventennio, nel tentativo di renderlo popolare in alternativa alla stretta di mano. La stessa idea ebbe Trilussa, con la sua abituale ironia:

Deppiù la mano, asciutta o sudarella,

quanno ha toccato quarche porcheria,

contiè er bacillo d’una malatia

che t’entra in bocca e va nelle budella.

Neanche il pregio dell’originalità, povero Michetti.

In conclusione, quel saluto non ha alcuna dignità storica né può essere associato ad un lontano nobile passato, ma soltanto ad un’ignobile storia recente; esso unisce con un filo rosso abbastanza evidente gli stragisti di ieri e di oggi ed i loro attuali simpatizzanti, accomunati dall’ignoranza della storia oltre che da una becera ed inaccettabile ideologia di fondo. Ideologia che periodicamente si ripropone con il metodo della violenza sanguinaria che, ancor più del saluto, costituisce il suo tratto distintivo.

di Cesare Pirozzi                                                                               

[1] La Repubblica, 28/10/2005. Nazisti: le cartelle psichiatriche che nessuno ha mai visto.

[2] Martin M. Winkler, The Roman Salute: cinema, history, ideology. Ohio State University Press, 2009