1945: quei passi che tornano a scavare il buio dell’Europa
C’è un corpo di reato ancora occultato sotto l’attuale superficie d’Europa che il film 1945torna a dissotterrare. È l’atto di rapina continentale, di totale spoliazione di un’intera etnia e di altri gruppi e popolazioni che resta ancora nascosto dietro l’orrore della Shoah, dello sterminio nazista e razzista di ebrei, rom, omosessuali, handicappati, oppositori politici, ecc. I beni mobili e immobili di milioni di persone sono stati razziati, appropriati, anche attraverso falsi atti legali, da chi li ha rastrellati, imprigionati e sterminati. Anche il cinema che pure non ha mai smesso di produrre pregevoli opere su quella orrenda pagina di storia della nostra civiltà, il più delle volte ha mancato e manca di squarciare questo velo.
Lo ha fatto – per citare qui solo due opere diverse – nel 2014 il film tedesco Phoenix, uscito in Italia con il titolo Il segreto del suo voltodi Christian Petzold, presentato alla Festa del Cinema di Roma, ma poco distribuito e visto nelle sale. Un altro film, ancora oggi rintracciabile in qualche cinema, è il documentario Hitler contro Picassodi Claudio Poli, narrato dal volto e dalla voce di Toni Servillo. Una rassegna della rapina capillarmente pianificata e portata a termine dai massimi gerarchi nazisti di tutte le più pregiate opere d’arte presenti nei musei e nelle abitazioni private d‘Europa. Razzia che arriva fino all’appropriazione anche di quelle opere condannate dal nazi-fascismo come arte degenerata, quali i quadri di Picasso e degli altri astrattisti, cubisti, ecc.
Ora grazie a Mariposa Cinematograficheviene distribuito anche nelle sale italiane il film 1945dell’ungherese Ferenc Török.Il tema emerge qui in una chiave stilistica, fatta di una scarnezza fotografica e narrativa in bianco e nero, che fa emergere discretamente il tema e rende la denuncia proprio attraverso il silenzio delle vittime e l’assordante senso e confessione di colpa dei razziatori carnefici.
La mattina di un afoso agosto del 1945 due ebrei, uno anziano e uno giovane, scendono da un treno con due casse al seguito nella stazione vicina a un villaggio che si sta preparando a partecipare al pranzo di nozze del figlio di un piccolo notabile locale Ivstva’n Szentes. Piccolo ma potente, praticamente il capo della comunità. Notaio, vicario amministrativo, proprietario del grande emporio cittadino. Il villaggio è sotto il controllo dei militari sovietici e dei partigiani comunisti e antinazisti locali.
Al solo vederli scendere dal treno il capo stazione si mette in agitazione, inforca la bicicletta per correre in paese ad informare il vicario. I due ebrei sono attesi da un carrettiere che carica le due casse e si avvia lentamente verso il villaggio con il suo stanco ronzino. I due seguono il carro a piedi nell’abbacinante biancore estivo della strada sterrata, senza proferire una parola tra loro.
Man mano che i loro muti passi procedono dietro le due casse sul carro, in paese si sparge intanto la notizia portata dal capostazione e cresce l’allarme generale. Che cosa sono venuti a fare, cosa vogliono, sono solo la prima avanguardia di un ritorno ebraico di massa? La forza del film è in questo rigore fotografico e nel montaggio alternato tra lo tramestio flebile di quei passi nella polvere e i preparativi del pranzo, i desideri veri e le paure inconsce degli sposi, il diffondersi di un nervosismo epidermico tra gli abitanti che fa riemergere man mano gli sporchi segreti, le carte nascoste, i sordidi patti, i micidiali risentimenti sotterranei ed ebbri sensi di colpa in quella piccola collettività che ha eretto il proprio sereno e ipocrita benessere economico ed esistenziale sull’espropriazione di altri suoi concittadini rastrellati, concentrati e gassificati nei campi di sterminio.
Cosa contengono quelle due casse inchiodate, quale minaccia celano? Il film ce lo svela nel finale in una maniera altrettanto afona quanto inesorabilmente drammatica e struggente. Perché quei passo non smettono di tornare e di scavare nel sottosuolo delle terre e delle esistenze negate d’Europa. Ancora oggi.
Ufficio Stampa Vania Amitrano e Carlo Dutto.
di Riccardo Tavani