La dignità dell’uomo è un patrimonio connaturato o, forse, donato. Kant vs. Hobbes.

Nell’Italia gialloverde Thomas Hobbes straccia Immanuel Kant. Per il filosofo britannico, a differenza di quanto sostenuto dal pensatore tedesco, la dignità non è connaturata all’uomo in quanto uomo, essere razionale e quindi fine e non mezzo, ma gli appartiene solo, e se, gli è attribuita dallo Stato.
E agli uomini che sotto il sole si spaccano la schiena per raccogliere i pomodori che alimentano la nostra industria conserviera e arricchiscono frotte di caporali, la dignità è negata.
Per la classe dirigente di questo Paese, i lavoratori di colore sfruttati nelle nostre campagne, rappresentano solo forza lavoro a basso prezzo che non merita diritti e dignità.
Ma quando a un essere umano, comunque presente sul territorio dello Stato, vengono negati i diritti fondamentali, quei diritti che tutelano le esigenze essenziali della vita e che non conoscono confini, che superano i limiti territoriali e prescindono da ogni vincolo di cittadinanza, la democrazia muore.
Quando s’ignora un articolo fondamentale della nostra carta costituzionale, quell’articolo 3 che riconosce pari dignità sociale, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, la democrazia muore.
Allora, oltre lo sdegno e la solidarietà, occorre affermare con forza che il trattamento subito dai lavoratori immigrati scuote la stessa essenza democratica della Repubblica.
Già ottanta anni fa, con il suo “Prima vennero…”, il pastore protestante Martin Niemolle, metteva in guardia l’umanità sui rischi dell’apatia politica.
Certo, oggi, non siamo sull’orlo dell’orrore e, probabilmente, ha ragione Carl Marx quando afferma che storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa.
Viviamo però tempi in cui l’indifferenza è una colpa grave.

di Enrico Ceci