politica estera: tra gli Stati Uniti e l’Iran c’è l’Europa

Con l’uscita unilaterale dall’accordo nucleare iraniano (JCPOA) – l’unico patto di non proliferazione che, secondo l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, funzionava – e l’apposizione di nuove sanzioni, l’amministrazione Trump ha innescato un possibile shock petrolifero mondiale, sfidato l’Unione Europea, destabilizzato la Repubblica Islamica e ridotto ai minimi termini l’affidabilità americana.

Tra gli obiettivi della politica statunitense c’è l’azzeramento delle esportazioni di petrolio iraniano e, per questa via, il contenimento della potenza finanziaria di Teheran.

Oggi l’Iran, con una produzione giornaliera di 4 milioni di barili, è il terzo produttore mondiale di petrolio all’interno dell’OPEC, dopo Arabia Saudita e Iraq. Le restrizioni imposte alle sue esportazioni non potranno che portare a un aumento dei prezzi e questo preoccupa molto l’Europa che dipende dalle importazioni di oro nero. Inoltre, essendo le principali economie del vecchio continente basate sulle esportazioni, l’UE è molto vulnerabile agli shock delle materie prime che trascinano in basso la produttività industriale e provocano un aumento della disoccupazione.

Sostanzialmente, quindi, la politica estera di Washington è ostile agli interessi dei Paesi europei.

La politica messa in campo dall’UE tenta di difendere l’accordo sul nucleare e il commercio con l’Iran, oltre che per le questioni economiche, anche perché le Capitali europee ritengono queste scelte le più adatte a garantire sicurezza e stabilità nella regione e indispensabili perché possa verificarsi un’apertura della società iraniana. Nel paese degli Ayatollah, infatti, la parte più intransigente della politica iraniana, da sempre contraria agli accordi internazionali, sta approfittando del voltafaccia americano per riacquistare posizioni di potere e controllo.

L’UE ha deciso estendere all’Iran il Blocking Statute – un regolamento risalente al 1996, stilato con l’obiettivo di difendere le aziende europee che commerciavano con Cuba e Libia, nonostante l’embargo statunitense – che, teoricamente, dovrebbe consentire alle aziende europee di bypassare le nuove sanzioni senza il rischio di essere, per questo, penalizzate.

La questione è però molto più complicata. A differenza delle sanzioni europee che si applicano solo alle aziende e ai cittadini europei, quelle americane si compongono di due parti. Una, che si applica a cittadini e aziende americane, e un’altra, extraterritoriale, che impone il rispetto delle sanzioni a qualsiasi società – a prescindere dalla sede – quando gli scambi avvengano in dollari, se hanno sedi negli Stati Uniti o sono controllate da cittadini americani.

Certo, le aziende europee potrebbero fare le loro transazioni in euro ma le possibili ritorsioni spaventano le imprese ed è prevedibile che le grandi aziende europee possano rinunciare al mercato iraniano per evitare ripercussioni su quello americano.

Chiare, a questo proposito, le parole del presidente Trump: “Le sanzioni all’Iran sono state ufficialmente lanciate. Sono le più dure mai imposte, e a novembre raggiungeranno un altro livello. Chiunque farà affari con l’Iran non farà affari con gli Stati Uniti. Chiedo la pace nel mondo, niente di meno!”.

Rottura dell’accordo, sanzioni americane, contromosse europee: la vera posta di questa difficile partita è il futuro e la natura stessa delle relazioni transatlantiche come le abbiamo conosciute negli ultimi 70 anni.

di Enrico Ceci

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