Rachel Corrie: il coraggio ai tempi della gioventù

Rachel Corrie è stata un’attivista americana, morta in Palestina, ennesima vittima del conflitto più impari che la storia umana ricordi.

Studiava relazioni internazionali e nell’ultimo anno di college, decise di partire per Gaza: dopo tanto peregrinare giunse nella città di Rafah, al confine con l’Egitto, 140.000 abitanti, di cui il 60% sono profughi.
Nelle lettere della ragazza, si legge di come le antiche glorie della città siano andate distrutte negli anni: l’aeroporto è chiuso perché le piste sono state demolite, il confine commerciale con l’Egitto è divenuto zona di cecchini israeliani, lo sbocco sul mare è stato impedito.
I fiori di Gaza, che dovevano riempire i mercati europei, hanno finito per appassire, perché bloccati per settimane al confine con Erez, per ispezioni di sicurezza.

Rachel parla di assassini, attacchi con razzi, fucilazioni di bambini, e non crede sia errato definire tutto quello di cui è testimone come un “genocidio”: eppure scrive che partire “è stata una delle migliori cose che abbia mai fatto”, e nelle dicotomie di tutte le tragedie, dice di aver scoperto “una forza straordinaria e capacità elementare dell’essere umano di mantenersi tale anche nelle circostanze più terribili”.

Dalla difesa dei pozzi d’acqua locali, lentamente Rachel inizia ad occuparsi della demolizione di strade, testimonia il rastrellamento di 150 uomini e la distruzione, attraverso ruspe, di 25 serre, che davano da mangiare a 300 persone.

L’operazione del 16 marzo 2003, era volta a spianare gli edifici e la vegetazione lungo il confine e Rachel cercò di impedire la distruzione di case palestinesi.
Tecnica vuole che, mano a mano che il bulldozer accumula terra, i dimostranti si pongono al di sopra dei cumuli, rimanendo sempre visibili a chi è alla guida. Probabilmente Rachel quel giorno è caduta e non è riuscita ad alzarsi. Il bulldozer dell’esercito israeliano ha proseguito e la lama l’ha colpita e le è passata sopra. Testimoni oculari giurano di aver avvisato l’operatore, che ha proseguito inesorabilmente.

In un comunicato ufficiale dell’esercito israeliano, si è parlato di “comportamento illegale, irresponsabile e pericoloso”, e a provocare la morte sarebbe stata una lastra di cemento, caduta accidentalmente: in nessuna foto degli altri dimostranti compare l’oggetto contundente.
Nel processo ad Haifa, la morte della Corrie è stata definita come “il risultato di un incidente che lei stessa ha attirato a sé”. Pertanto, non furono previsti rimborsi alla famiglia.

Tra un mese circa ricorrerà il 14esimo anniversario della morte di Rachel e solo pochi giorni fa, il primo ministro Netanyahu e il Parlamento di Gerusalemme, attraverso una legge retroattiva, hanno delegittimato 4.000 insediamenti israeliani in Cisgiordania e Gerusalemme est.
Abu Mazen ha fatto appello all’Onu, persino Ankara e Trump hanno tuonato contro e anche il procuratore generale di Israele, non sembra essere d’accordo. Dall’altra parte, l’ispiratore della legge, Naftali Bennet, leader del “Focolare ebraico”, sostiene che “la determinazione paga” e allo stupore di tutti ha risposto che “questa è democrazia”.
L’Onu ha parlato di “violazione del diritto internazionale”: in compenso ai palestinesi è offerta la possibilità o di prendere altri terreni o di ricevere un pagamento annuale, per vent’anni, superiore del 125% del valore.

Che tutto il popolo palestinese abbia il coraggio di “tenere la testa alta contro la tempesta”, proprio come fece Rachel.
(Rachel and the storm-Elisa feat Casa del Vento)

di Irene Tirnero