Scandalo Danske Bank, un manuale di riciclaggio internazionale

Pensando alla Danimarca la prima associazione non è certamente la corruzione. Considerato da sempre un paese di elevata trasparenza, lo scandalo che coinvolge la prima banca del paese arriva come un fulmine a ciel sereno. Alcuni già parlano dello scandalo che coinvolge la Danske Bank come del caso di riciclaggio più grande nella storia. Al centro della questione c’è una filiale estone della banca nella quale erano registrati conti sospetti a quali sono riconducibili flussi di denaro dell’ammontare di 200 miliardi di euro. Mentre il titolo crolla in borsa, lo stesso istituto ha ammesso che gran parte di quei soldi potrebbe avere un’origine illecita.

L’Unione Europea, attraverso la Commissione, ha richiesto all’Eba di aprire un’indagine per accertare che le autorità preposte alla supervisione in Danimarca e in Estonia abbiano effettivamente seguito le regole nel maneggiare il caso. Ora la banca rischia multe salate. La vicenda ha però già generato il primo effetto importante, le dimissioni del CEO Thomas Borgen. La modalità delle sue dimissioni ha però destato delle critiche, in particolare da parte dell’Associazione degli Azionisti. Il consiglio di amministrazione della banca ha deliberato che Borgen non lascerà la banca immediatamente ma rimarrà in carica fino a quando non sarà trovato un sostituto. A quel punto, riceverà anche un bonus di dodici mensilità.

La vicenda è arrivata alla ribalta grazie ad un report interno commissionato dalla banca stessa allo studio legale Bruun & Hjejle. Il rapporto mette in luce i movimenti sospetti e valuta come ‘non abbastanza efficaci’ i controlli da parte della banca. Per comprendere i fatti bisogna risalire al 2007 quando la Danske Bank ufficializza l’acquisto della banca finlandese Sampo Bank e, soprattutto, della sua filiale in Estonia AS Sampo Bank. Già in quell’anno si erano accesi i riflettori sull’istituto di credito e perfino la banca centrale russa esponeva i suoi dubbi sulla filiale estone inviando una lettera alla Fsa, l’autorità danese di supervisione finanziaria. Ma è solo nel 2014 che i sospetti si fanno consistenti quando un whistleblower interno denuncia anonimamente la correttezza del portafoglio estero detenuto dalla filiale estone. In totale 15.000 clienti che movimentavano cifre enormi anche messe in confronto al Pil dell’Estonia. Nel 2015 il non-resident portfolio viene chiuso ma è ormai troppo tardi per fermare lo scandalo. Viene fuori una vera e propria triangolazione di flussi di denaro. Il denaro, che nella maggior parte dei casi proveniva dalla Russia o comunque dall’ex territorio sovietico, attraverso la filiale estone arrivava a conti intestate spesso a società offshore. Molte di queste società erano britanniche e proprio una di queste veniva indicata dalla denuncia del whistleblower come appartenente alla famiglia del presidente russo Putin. In particolare, le società britanniche rientrano nella categoria delle LLP, Limited Liability Partnership, che rappresentano i veicoli ideali per il riciclaggio e di cui sono già famosi. Ciò è dovuto alle minime informazioni che questo tipo di società sono obbligate a fornire.

La NCA, National Crime Agency britannica, ha confermato l’inchiesta su una di queste società veicolo coinvolte nella vicenda. Tuttavia, il messaggio che il caso lascia è preoccupante. A dieci anni dal fallimento della Lehman Brothers, la banca d’affari americana che ha scoperchiato i meccanismi illeciti della finanza, ancora non si è arrivati ad una regolamentazione efficace sui movimenti di capitali. Per il denaro i confini restano completamente immateriali e, nonostante la crisi, la finanza è ancora un enorme cono d’ombra per comportamenti illeciti.

di Pierfrancesco Zinilli

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