Lo sport in ginocchio contro Trump
Se c’è una cosa che Donald Trump sa fare alla perfezione è sfruttare il momento, soffiare sulla fiamma, aizzare gli animi. Stavolta quelli dei tifosi non solo di football, ma degli Stati Uniti, traditi, a detta del presidente, nei loro simboli e valori più alti: l’inno e la bandiera.
Tutto è iniziato uno anno fa, ad agosto del 2016. Colin Kaepernick, allora quarterback della squadra dei San Francisco 49ers, resta seduto mentre tutti, in campo e nello stadio, si alzano in piedi, mano sul petto e “The Star-Spangled Banner” in sottofondo. “Non starò in piedi per dimostrare il mio orgoglio per la bandiera di un paese che opprime i neri e le minoranze etniche. Per me è più importante del football, e sarebbe egoista guardare dall’altra parte. Ci sono cadaveri per le strade, e persone che la fanno franca”.
La protesta di Kaepernick inizia a diventare virale. “Ma non volevo sembrasse qualcosa di offensivo, così insieme ad un mio compagno di squadra abbiamo deciso di cambiare, di metterci in ginocchio, in segno di rispetto ma allo stesso tempo di denuncia”. Insieme a lui, oggi, sono centinaia gli sportivi in ginocchio contro Trump e le discriminazioni razziali. Dal football al basket, con le stelle afroamericane Stephen Curry e LeBron James, fino al mondo dello spettacolo e della musica, dal cast di Grey’s Anatomy a Stevie Wonder.
Ma per The Donald sono solo “sons of the bitch”, pericolosi come il leader nord coreano Kim Jong-un. Ma il discorso che passa tra le righe è un altro: a protestare sono soprattutto atleti neri, privilegiati, milionari, stipendiati da tifosi bianchi che vogliono vedere vittorie e spettacolo, non proteste umanitarie.
Trump alimenta l’odio con il sorriso sulla bocca: “La popolarità della Nfl (la massima competizione di football americano) sta scendendo. Certo, le partite sono un po’ noiose, ma molti stanno alla larga soprattutto perché amano il nostro Paese”.
A inginocchiarsi però non sono solo gli atleti afroamericani. Ci sono anche uomini forti del Presidente: Tom Brady, dei New England Patriots, Robert Kraft, proprietario del club e più volte ospite alla Casa Bianca e infine Rex Ryan, che aveva addirittura tenuto un comizio a favore di Trump, a Buffalo, durante la campagna elettorale. A giocare con il fuoco, a volte, ci si può anche bruciare.
di Lamberto Rinaldi