Le rose del deserto, film drammatico, regia di Mario Monicelli

Mario Monicelli, il grande vecchio del cinema italiano scomparso il 29 novembre del 2010, regista di film celebri tra i quali, “amici miei”, “i soliti ignoti”, “la grande guerra”, “l’armata Brancaleone”, ha avuto il merito di portare sul grande schermo, una storia di guerra che bene descrive l’italiano al fronte, più in missione umanitaria che in quella di guerra.

Ci vuole coraggio nel portare sul grande schermo la storia, specialmente quella legata alla guerra. Monicelli lo ha fatto, dando prova ulteriore della sua bravura. Lui, un regista di indole dura, che comunque ha sempre conservato la capacità di ridere su tutto, anche sulla guerra. Un tema di scottante attualità.

Questo film è stato tratto liberamente da un romanzo di Mario Tobino. La trama segue un piccolo distaccamento, un manipolo di soldati della 31ma Sezione di Sanità accampata in una delle tante oasi sperdute nel deserto libico, quella di Sorman. Soldati che bivaccano in “attesa di stravincere” e tornare a casa. È il racconto di un’Italia minore, fatta di professori di ufficiali e di contadini mandati in guerra, in una guerra dove non conta la retorica di regime, dove si toccano con mano le inesistenti grandezze italiche. Monicelli fa trasparire la sua indole antimilitarista con continue frecciate a quegli interventi che pretendono di portare la pace con la guerra, mascherando la voglia di colonialismo e di sfruttamento con l‘esportazione della democrazia e della civiltà.

Un cast ottimamente costruito, ogni personaggio ben si addice al ruolo che interpreta.

C’è Alessandro Haber che interpreta il maggiore Strucchi, con la fobia di scrivere tutti i giorni alla moglie di dire sempre una monotona frase al termine di ogni richiesta od ordine dato, quel “per il bene che vi voglio”, diventata il motivetto della 31ma Sezione.

Giorgio Pasotti, il tenente Salvi, un tenentino che si trova alle prese gli indigeni del posto e commette affascinato da una bella araba una gaffe che peserà sul rapporto instaurato con i locali.

Michele Placido nelle vesti di un frate domenicano. che comanda tutti a bacchetta e che cerca di fare quello che può per garantire alla popolazione del posto un minimo di umanità prendendosi tutto ciò che occorre per la sua scuola e come prete convince gli ufficiali a prestare le cure mediche ai civili.

Soldati imbranati e inesperti che vivacchiano nel caos e nell‘improvvisazione. La situazione migliora solo quando da militari si trasformano in una sorta di missione umanitaria. Finché però la guerra non arriva davvero con tutto il suo dramma, con i tedeschi che dirigevano le operazioni belliche, e con la fobia di un generale italiano che voleva a tutti i costi un cimitero per la sua divisione.

Le rose del deserto, erano l’omaggio del capo del villaggio, offerte in una cena di ringraziamento per l’aiuto avuto. La rosa del deserto e una formazione minerale, di cristalli di gesso la cui colorazione sfuma dal giallo all’ocra, è una bellissima opera della natura, ma molto labile in quanto basta l’acqua a discioglierla. Una di quelle rose, nel film, è stata deposta sulla tomba del soldato Sanna, sposato dal frate per procura e ucciso da un tedesco, solo perché aveva dato del pane ad un bambino arabo. Questo film è un misto tra guerra ed umanità. Già guerra e umanità due parole distanti l’una dall’altra, ma in quella oasi nel deserto dove la guerra aveva come protagonisti un manipolo di soldati ha prevalso l’umanità. Le rose del deserto è un film bene interpretato dal cast e magistralmente diretto da Monicelli, forse poteva essere migliorata la sceneggiatura, ma il messaggio pacifista al pubblico arriva lo stesso.

di Fabio Scatolini

LE ROSE DEL DESERTO

 

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