MARIO FRANCESE
La mafia uccide solo d’estate? No, anche d’inverno, come dimostra l’omicidio del giornalista Mario Francese avvenuto a Palermo il 26 gennaio di quarant’anni fa. Il perché fu eliminato è abbastanza intuitivo: dava fastidio con i suoi articoli. Nello specifico? Francese, nei suoi pezzi per il Giornale di Sicilia, si occupò della faccenda relativa agli appalti per la ricostruzione della valle del Belice, in particolare della diga Garcia, un’opera che non è mai stata completata e per la quale furono stanziati una “ballata di miliardi”.
La mafia all’epoca aveva abbandonato la visione classica e ottocentesca di se stessa come fenomeno legato al latifondo e si era avvicinata alle città, permeandone il tessuto politico/istituzionale col fine di mettere le mani sui lavori pubblici. Ebbene, Francese l’aveva capito e lo scrisse a più riprese nei suoi reportage basandosi anche sulle rivelazioni che gli faceva il colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo, il quale – però – nel 1977 fu assassinato. Ciò non fermò la penna di Francese, che nell’ottobre dell’anno successivo scrisse: “Russo ucciso per ordine dei corleonesi. Richiesto forse un mandato di cattura per Leoluca Bagarella. L’eliminazione del colonnello sarebbe stata decisa per le indagini sui subappalti della diga Garcia”.
Anche il caporedattore e il direttore del Giornale di Sicilia in quei mesi subirono degli attentati. Furono avvisaglie di quanto sarebbe successo poco tempo dopo, allorquando Francese fu freddato a colpi d’arma da fuoco calibro 38 dallo stesso Bagarella. Il processo ai capi corleonesi si aprì solo nel 1994 e grazie alla caparbietà dei figli del giornalista, Giulio e Giuseppe. Nel 2001 furono condannati a 30 anni tutti gli imputati, vale a dire – tra esecutori e mandanti – Totò Riina,Francesco Madonia, Michele Greco, Antonino Geraci, Giuseppe Farinella, Matteo Motisi,Pippo CalòLeoluca Bagarellae Giuseppe Madonia. In Appello le condanne furono confermate, ma la Cassazione assolse Pippo Calò,Antonino Geracie Giuseppe Farinella “per non aver commesso il fatto”.
di Valerio Di Marco