Graziella Campagna: vittima della mafia
Il 3 luglio avrebbe compiuto 49 anni, ma la sua vita cessò di esistere il 12 dicembre 1985 per mano della mafia.
Graziella crebbe in una famiglia numerosa, tra fratelli e sorelle erano in sette. Era di Saponara Superiore, un comune siciliano della provincia di Messina, 160 metri sul livello del mare. La famiglia numerosa la obbliga ad abbandonare gli studi e a cercare un lavoro. Lo trova in un lavanderia a Villafranca Tirrena, un lavoro umile e pagato in nero, 150 mila lire che sono indispensabili per la famiglia.
Graziella a quel lavoro ci tiene, lo fa con scrupolo. In una lavanderia di abiti ne arrivano, pantaloni, gonne, camice, maglioni, cappotti e giacche. Già le giacche, spesso chi le porta a pulire dimentica sempre qualcosa all’interno delle tasche, le giacche si prestano, di taschini ne hanno. Graziella, come sempre, si premura di controllare se nelle giacche da pulire e stirare vi siano oggetti. Lo fa sempre. Lo fa pure con la giacca dell’ingegner Cannata. Graziella trova un’agendina nella giacca dell’ingegnere. Un’agendina piena di numeri di telefono compromettenti e che segnerà il suo destino. Scopre che il signor Cannata non è un ingegnere ma è il boss latitante Gerlando Alberti junior, nipote dell’omonimo boss di Palermo.
Graziella ha avuto la sfortuna di leggere quel biglietto, di scoprire la vera identità del Cannata. Lei che ha un fratello carabiniere, potrebbe parlagli di quell’agendina. Quello che ha trovato nella giacca dell’ingegner Cannata è la sua condanna a morte. Girlandi junior per non essere scoperto decide di ucciderla, non ha importanza che fosse una ragazzina. No, non ha importanza, va eliminata.
Il 12 dicembre 1985 Graziella Campagna esce dal lavoro, si incammina come sempre per tornare a casa, ma a Saponara non arriverà mai. Tre giorni prima Graziella si era confidata con la madre: “Sai che è strano, l’ingegnere Cannata non è l’ingegnere Cannata”.
Il mafioso elimina la ragazza con l’aiuto di Giovanni Sutera, il suo guardaspalle. Qualche giorno dopo il cadavere della ragazza viene trovato a pochi chilometri di distanza da Villafranca Tirrena. Era stata uccisa a colpi di fucile sparati da distanza ravvicinata.
Un delitto su cui nessuno sembra, all’epoca, voler indagare. Eccetto il fratello Pietro, carabiniere, per il quale la morte di sua sorella diventa la sua ragione di vita. La ricerca della verità è durata 20 anni.
Dopo le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, il processo prende il via e si conclude nel dicembre 2004 con la condanna all’ergastolo di Alberti e del suo complice Sutera. Ma il boss dopo un anno e mezzo torna in libertà, perché i giudici della Corte d’assise non depositano entro i termini stabiliti le motivazioni della sentenza di condanna e quindi viene annullata per decorrenza dei termini la custodia cautelare.
Successivamente i giudici della Corte d’assise d’appello hanno confermato la condanna all’ergastolo per il boss Gerlando Alberti jr e Giovanni Sutera accusati dell’omicidio. Dopo la sentenza all’ergastolo Pietro, il fratello carabiniere, disse: “Nonostante avessero voluto zittirla con un’arma, hanno dato voce al suo silenzio e la sua voce sarà sempre, sempre più forte. Oggi ha vinto lei, ha vinto la giustizia”.
Cinque colpi di lupara a distanza ravvicinata hanno spezzato la vita di una ragazza colpevole solo di aver letto un’agendina dimenticata in una giacca. Non aveva colpe se non quella di aver scoperto la vera identità di quell’ingegnere, che altri non era, che un boss mafioso latitante. Cinque colpi di lupara la uccidono. Viene colpita al braccio, in viso, allo stomaco ed infine alla spalla.
Un ritrovamento che ha significato una condanna a morte, rispetto alla quale, sin da subito, si è messa in moto la macchina del depistaggio.
Fondamentali le indagini che il fratello carabiniere, allora in servizio in Calabria, ha dovuto compiere privatamente per fare emergere la verità di un omicidio spacciato come passionale per coprire i veri colpevoli.
L’omicidio di Graziella Campagna è una storia simbolo che non deve essere dimenticata.
La Rai realizzò e trasmise la fiction “La vita rubata”, ma fu mandata in onda in ritardo per volere dell’allora ministro della Giustizia, Clemente Mastella, che avanzò richiesta alla Rai di far slittare la programmazione per evitare un impatto emozionale che avrebbe potuto condizionare il clima del processo. La richiesta fu accolta e dal 27 novembre 2007 la messa in onda slittò al 10 marzo 2008.
Il 3 luglio avrebbe compiuto 49 anni, ma la sua vita cessò di esistere il 12 dicembre 1985 per mano della mafia.
La mafia non ha avuto ritegno, ha strappato la vita ad un’altra persona innocente. La mafia uccide senza guardare in faccia nessuno.
di Maria De Laurentiis