Il valore della contemplazione

“ Vagare, esitare, muoversi lentamente, non come fatto negativo, ma come un indugio che schiude sentieri”. Il valore della contemplazione, è un libro di 48 pagine, scritto da Pietro Ingrao per Castelvecchi editore, venduto a 5 euro. Un testo anomalo, per un comunista eretico e arcaico come l’ex presidente della Camera. Una riflessione nata in occasione di uno degli incontri all’Eremo di Adriana Zarri.
Di Ingrao ricordiamo le battaglie per il lavoro e per i lavoratori, diceva ho sempre lottato ma ora non bisogna più avere soltanto la scala dl reddito medio o minimo.
“Proprio riflettendo sulla forza prorompente del fare è sorta dentro di me una domanda sul non fare, sul diverso fare, che è diventata sempre più urgente. Una domanda anzitutto sui tempi del lavoro, ma che non mira a una rivendicazione del riposo e dello spazio riservato ad altre esperienze umane. E piuttosto una riflessione sui diritti del fare, sull’esperienza del tempo…così è maturata in me una rivalutazione della lentezza, quasi un elogio, oserei dire”.
La lentezza non deve essere considerata come negativa, ma va inscritta in una visione più complessa, più emotiva e più sfumata della esperienza umana nella sua quotidianità. “lentezza intesa come gironzolare, sostare, procedere esitando, considerati non più come disvalori, come segni di fannullaggine, come perdite di tempo. Lentezza che diventa sempre più occasione di scoprire diverse forme di temporalità, conoscenze, che altrimenti nella agitazione non possono essere visibili”.
La lentezza, si riempie i contenuti nuovi, non più come ritardo, ma possibilità di sviluppare nuove esperienze che andrebbero perse o non acquisite. Dunque vagare, esitare, muoversi lentamente, non come fattori negativi, ma sperimentazione di nuovi spazi, ricchi di vita, un accostasi più aperto, con visioni nuove verso sentieri, che con indugio, aprono vie per diversi luoghi, altrimenti inaccessibili.
“Non più soltanto, allora, la classica rivendicazione operaia del tempo libero, ma la nuova rivendicazione di momenti che possano contenere una modulazione più ricca dell’esperire”.
“…mi spaventa una società che usa lì espressione perdita di tempo, che chiude l’io freudiano in una gabbia non si cura del bisogno. Una società che se la macchina ha bisogno di lavorare durante la notte manda al diavolo il sogno. Al diavolo, però vanno non solo le ore che si perdono, poiché non si tratta soltanto di quantità di tempo: è la qualità di quel tempo a essere perduta. Si perdono l’inoltrarsi nel sogno, il vagabondare, il contemplare. Di nuovo contemplare”.

di Claudio Caldarelli

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