E i cinema restavano chiusi
I racconti della pandemia
Alice volle spingere la travicella sotto i suoi piedi e il manubrio tra le mani di un monopattino elettrico fino a Campo de’ Fiori. Proprio mentre arrivava davanti al Cinema Farnese, un uomo stava calando le due saracinesche che danno sulla piazza.
“Senta, mi scusi…” lo chiamò Alice, prima che le spingesse tutte giù.
“Mi dica” le fece l’uomo del cinema. Indossava un cappello Harris Tweed a coppola e una mascherina protettiva blu fin sotto gli occhi.
“Quando riaprite?”, chiese Alice.
L’uomo cominciò a scuotere la testa, ma la ragazza non gli diede tempo di dire niente.
“Non è che potrebbe farmi entrare solo qualche minuto?”
L’uomo del cinema sgranò gli occhi serrati tra la mascherina e la visiera del cappello abbassata sulla fronte. Giunse in quel momento un altro monopattino elettrico a cui un ragazzo a bordo fece compiere un’ampia curva sulla piazza vuota verso le bacheche del cinema. Aveva un cappello Newsboy sopra un volto completamente travisato da occhiali scuri e una mascherina Ffp 2 con valvola. Non si vedeva nulla dei suoi tratti, poteva essere anche una ragazza. Solo una certa postura del corpo e come si muovevano le gambe, faceva intuire fosse un ragazzo. Si fermò là davanti a guardare manifesti di film della passata stagione, facendo un cenno di saluto muto ai due. L’uomo ricambiò il saluto.
“Io ho dato il mio primo bacio a tredici anni in questo cinema, mi faccia entrare, la prego, vengo da Venezia”, sparò Alice.
“Ricordi, sogni, desideri, tutto chiuso in questo momento”, rispose l’uomo del cinema, tirando fuori il portafogli dalla tasca posteriore ed estraendone un biglietto. “Questo è un biglietto omaggio per quando riapriremo”.
“Io sono Fabio Amadei,” aggiunse “direttore del Farnese. Porti tutti i sospiri di una sala chiusa al Lido. Arrivederci.”. Abbassò del tutto le saracinesche e andò via verso la piazza, salutando anche quel ragazzo. “Io sono Alice Milfin”, lanciò lei verso l’uomo del cinema.
“Che film era?”, domandò il ragazzo avvicinandosi con il suo monopattino a quello di Alice. La voce, sì, poteva anche essere quella di un maschio. Poteva però trattarsi di un effetto mascherina con valvola. “Cosa?” domandò Alice, ancora con il pensiero e lo sguardo triste rivolto alle saracinesche abbassate. “Il film che stavi vedendo quando hai dato quel primo bacio”. “Non è che lo stessi proprio vedendo” rimandò lei. “Come mai da Venezia eri venuta qui a Roma?”. “Ero da una mia zia che viveva qui vicino”. “Anch’io abito qui vicino. Come si chiamava?”. Alice guardò perplessa quel volto che poteva essere di una testa di cuoio o di un terrorista dell’Isis che la stava interrogando prima di sgozzarla. “Chi, mia zia?” gli rispose. “No, il ragazzo che baciavi”. “Se ti levi un attimo mascherina e occhiali,” si stizzì ironicamente lei, togliendo la propria mascherina screziata di rosso “ti dico se magari eri tu”.
“Ah, scusami,” balbettò lui disvelandosi e porgendogli il gomito “è che sono un appassionato di cinema, e questo che racconti è già un film. Mi chiamo Lucio Savelli”.
“Mia zia è morta, due giorni fa. Di Covid. Per questo sono qui, si chiamava Gianna”.
“Porc…” s’inceppò lui “Sono proprio ignobile”.
“No, che potevi saperne. Mi diceva sempre che per lei io ero la figlia che non aveva mai avuto”. Lui si rimise occhiali e mascherina. Anche lei tirò fuori degli occhiali scuri e se li sistemò calcando sul viso.
“Si chiamava Giulio il ragazzo del bacio. Ma il film non me lo ricordo proprio, come faccio a ritrovarlo?”
“Chi, il ragazzo o il film?” domandò lui.
“Che dici, cosa è meglio?” rispose lei.
“Qui vicino c’è uno che conosco, Marco Castrichella, l’affitta film più nefandamente indovino di Roma. Basta che gli dici due cose pure sotto delirio anfetaminico e lui ti trova subito il titolo del film”.
“Mi ritrova anche Baciami Giulio?”, infilza lei.
“Se è un malato di cinema sì, perché non può non essere passato da Hollywood, a Via Monserrato”. Poi facendosi serio: “Ma Giulio l’ha conosciuta tua zia?”. “Mia zia era una patita di cinema”, rispose lei “Stava tutto il giorno a scrivere recensioni su Facebook”.
“Sì, la conosceva”, continuò Alice “Era il figlio di una sua amica. E quella volta c’era una matinée scolastica al Farnese. Giulio mi aveva invitato ad andare con la sua classe.”
“Ah, ho ecco…”, concluse lui come fra sé, facendole segno di seguirlo con il monopattino.
Passarono davanti la Libreria Fahrenheit 451. Lucio si fermò davanti la vetrina.
“Invece io qui a tredici anni ho comprato il mio primo libro di cinema” le disse.
“Scusa, Lucio: adesso, però, seriamente: vuoi mettere un libro con un bacio”
“No, però era la sceneggiatura di Ultimo tango a Parigi. Sai che film è?”
“Ah sì, il burro nel culo. Zia Gianna aveva firmato anche una petizione a quel tempo per farlo dissequestrare”.
Stava uscendo in quel momento la titolare dalla libreria. Indossava jeans, un lungo soprabito grigio e blu, un’ampia sciarpa rossa e un cappello a basco dello stesso colore, sopra una mascherina Ffp 2 bianca. Era con il direttore del Farnese.
“Lei è Catia Gabrielli,” la presentò Amadei “titolare di questa libreria che è l’altra colonna culturale di questa piazza: fino a quando resisteremo all’assedio espansivo di food e supermercati”.
“Le sta raccontando di Ultimo tango a Parigi?” chiese la libraia ad Alice “Glielo dico io come sono andate davvero le cose: non l’ha comprato, ma rubato quel libro”.
“Ma andava di moda rubare i libri” si difese Lucio “A scuola mi avrebbero preso in giro se lo avessi comprato. E poi Catia, ormai ammettilo, tu mi vuoi bene, io sono il figlio che tu non hai mai avuto”. Lo disse mettendosi subito dopo una mano sulle labbra, guardando Alice.
“Scusi, Catia,” le chiese la ragazza, mostrandole il display del telefonino “mia zia comprava libri da lei?”.
La libraia guardò la foto sullo schermo: “Sì, è una nostra cliente… Anzi, aspetti!”. Rientrò velocemente nella libreria e ne uscì poco dopo con un libro in mano. “Ha ordinato da tempo questo, ma non lo ha più ritirato”. Le mostrò la copertina di Recito dunque sono, un libro sul grande attore Gian Maria Volonté, di Giovanni Savastano, Edizioni Clichy.
“Se n’è andata da due giorni”, mormorò Lucio.
“Lo prenda”, disse Catia la libraia “non c’è bisogno di pagarlo”.
“Se vuole le faccio visitare il cinema” le disse contrito il direttore del Farnese “Mi scusi per poco fa, veniva da anni anche da noi sua zia, si chiamava Gianna Aleari, vero?”.
La ragazza accennò silenziosamente di sì con il capo. S’inserì nuovamente Lucio. “Stavamo andando da Hollywood a cercare quel film del suo primo bacio”.
“Ah, Marco, la terza colonna della zona”, sentenziò Amadei.
I due monopattini elettrici si fermarono davanti al 107 di Via Monserrato. Marco Castrichella era sulla soglia del locale. Aveva un DVD in mano.
“Mi ha telefonato Fabio del Farnese. Gianna era anche una nostra cliente. Si stava rivedendo alcuni classici. Ci teneva molto a questo”. Lanciò il DVD a Lucio che lo prese al volo: “Buona visione, Fabio vi aspetta”, augurò, prima di rientrare nel negozio. Era Alice nelle città, di Wim Wenders, 1974.
Entrando sotto la saracinesca semiabbassata del Farnese, Lucio le domandò a bruciapelo: “Tua zia Gianna era la colonna che univa le tre colonne culturali di Campo de’ Fiori… Ma li dava i baci a tredici anni dentro il cinema?”.
“No”, rispose Alice “È cresciuta in provincia, ma mi raccontava sempre che a undici anni si andava a “infrattare” con qualche ragazzino che le piaceva. Noi, in famiglia, rubiamo baci, non libri”.
di Riccardo Tavani