E c’è ancora chi li chiama “uomini d’onore”…
Graziella Campagna aveva 17 anni, veniva da una famiglia numerosa e lavorava per aiutare la madre ed il padre a mantenere gli altri sette fratelli. Guadagnava 150mila lire al mese, per lavorare con turni massacranti in una lavanderia nel messinese.
L’unica “colpa” di Graziella fu quella di aver estratto da una camicia che doveva lavare un’agendina di un boss mafioso. Tra le mani di Graziella passarono i segreti che nessuno doveva sapere. Il documento rivela che il vero nome dell’uomo fosse Gerlando Alberti junior, nipote latitante del boss Gerlando Alberti.
Qualcuno, da quella lavanderia, confermò ai mafiosi che Graziella avesse visto.
Ed allora il 12 settembre, come ogni sera mentre aspettava l’autobus per tornare a casa, venne fatta salire in macchina dai killer, portata in un prato e dilaniata da cinque colpi di un fucile a canne mozze che la colpirono in volto, da una distanza inferiore a due metri.
Inutile il suo tentativo di coprirsi con il braccio; dilaniati furono l’arto, il volto e lo stomaco. Nonostante fosse a terra un ultimo colpo alle testa la finì.
Graziella è una vittima innocente della violenza mafiosa, quella stessa violenza che è propria di chi ha le mani sporche di sangue, dei killer ma anche di chi si gira dall’altra parte, dei politici che fanno patti con la mafia e degli imprenditori che cedono al ricatto.
Graziella voleva vivere e sognare.
E basta.
di Paolo Borrometi