Ius Soli, una legge di giustizia e civiltà

Ottocentomila. Sono le persone che beneficerebbero della tanto attesa legge sullo ius soli, che il governo sembra finalmente intenzionato a votare con la fiducia prima della fine di questa legislatura. E’ una misura di giustizia perchè riconosce la cittadinanza a chi, pur non essendo nato da genitori italiani, vive e lavora/studia nel nostro paese da tanti anni. Sono i “dreamers” all’italiana, che come quelli aspiranti americani sognano di essere considerati ufficialmente cittadini del nostro paese e avere gli stessi nostri diritti (uno su tutti: quello di voto). Sono coloro che parlano non solo la nostra lingua ma anche i nostri dialetti. Sono persone che incontriamo tutti i giorni, la normalità che abbiamo costantemente sotto gli occhi.

Non ci meravigliamo più se il giovane barbiere di origini egiziane ci racconta aneddoti in romanesco mentre ci taglia i capelli; se il garzone del catering cinese ci chiede “andò ‘o posso mette questo?”; o se il nostro compagno di corso all’università è di colore ma conosce il Treccani e Garibaldi meglio di noi. La legge sullo ius soli, peraltro già votata alla Camera due anni fa e in attesa di approvazione al Senato, prevede il riconoscimento della cittadinanza per i bambini figli di immigrati regolari che si trovino in Italia da almeno 5 anni (se i genitori non provengono dall’UE devono rispondere anche ad alcuni criteri economici) o, in alternativa, per i bambini che abbiano frequentato almeno un intero ciclo scolastico nel nostro paese (il cosidetto ius culturae).

Oggi un bambino che nasce in Italia deve risiedervi ininterrottamente fino ai 18 anni per vedersela riconosciuta. Si trattatterebbe quindi di una facilitazione, di un’apertura temperata, non indiscriminata. Non significherebbe far entrare tutti, come sostengono i detrattori della legge, ma di riconoscere un diritto acquisito, far sentire dei nostri coloro che di fatto già lo sono. Purtroppo nel dibattito pubblico la questione s’è intrecciata con i temi degli sbarchi dei migranti e del terrorismo, ma in realtà sono discorsi separati. Basterebbe ragionare prima di essere certi di essersi fatti un’opinione. In gioco è l’idea di società che vogliamo: se una società aperta, inclusiva, che non ha paura di farsi contaminare perchè le sue basi e i suoi valori sono comunque solidi; o una società chiusa, bigotta, insicura, ripiegata su se stessa. Noi scegliamo la prima.

di Valerio Di Marco

Print Friendly, PDF & Email