Cine pillole del nuovo anno da ingurgitare

La dea fortuna. Ozpetek moderatamente ma apprezzabilmente recupera. Una coppia gay, già parecchio in crisi, precipita vertiginosamente verso la rottura finale, causa una loro amica, più che del cuore, che molla loro figlio e figlia per ricerche cliniche con ricovero. La mano prevalente del produttore Gianni Romoli nella scrittura del film, ne migliora gli esiti rispetto alle esauste, eppure pretenziose prove precedenti, anche se di queste si riprendono temi e scene. Buona prova attoriale di Edoardo Leo e Stefano Accorsi. Meno la Jasmine Trinca. Sorprendente anche la  scrittrice Barbara Alberti in un perfido ruolo di nobildonna siciliana. Il film ci svela che la statua della dea nel titolo è a Palestrina, vicino Roma.

18 regali. Decisamente catturante. Quando un film italiano merita non andrebbe lasciato disperdersi in assenza e dissolvenza di pubblico nelle sale. Una figlia e una madre oltre lo spazio e il tempo di una visione troppo stretta della cosiddetta realtà. Tratto da una storia vera ma reso ancora più vero da una drammaticità immaginaria squisitamente, tenacemente cinematografica. Una lode particolare alla ventunenne Benedetta Porcaroli.

Pinocchio. Tanto di cappello ma non strappa applausi. Chapeau! per la già sperimentata e qui ribadita originale bravura rappresentativa del regista, ma emozioni-pensieri restano sotto lapelle. Garrone ha voluto soddisfare un suo desiderio infantile, avendo disegnato Pinocchio già a sei anni. Ok, ma al cinema e ai suoi spettatori alla fine cosa rimane? Lo verificheremo meglio tra qualche anno. Grande Roberto Benigni nei panni di Mastro Geppetto.

Tolo Tolo. Da vedere più come fenomeno di costume. Ma alla sua prima regia Checco Zalone, al secolo Luca Medici, esibisce un cinema non da commediaccia accia accia all’italiana. Scritto con il cineasta di sinistra Paolo Virzì non è anti-migranti e sovranista, anzi, tutto il contrario. Semmai anti-tasse. Fallito economicamente, sommerso dalle tasse e dai debiti, infatti, il protagonista fugge in Africa, per fare poi ritorno esattamente con uno dei tanti migranti ignoti. Sperimentando trafficanti, milizie islamiche, camion stracarichi nel deserto, prigione libiche, barconi. S’innamora di una migrante e aiuta un bambino a ricongiungersi con suo padre in Italia. Ogni tanto mena fendenti demenziali a manca e a dritta, a bordo e babordo, ma se non lo facesse non sarebbe più lui: un super sbancatore di botteghini. Tolo Tolo sta per Solo Solo.

The Farrwell. Tocco garbato per un addio doloroso. Una famiglia sino-americana torna in Cina perché alla vecchia madre (e nonna) è stato – a sua insaputa – diagnosticato un male incurabile. Tra bugia dolce e amara verità, tra commedia e dramma, tra individualismo americano e appartenenza comunitaria cinese, la lana dell’Occidente dentro la seta dell’Oriente. L’intreccio inscindibile che segna ormai il presente. Awkwafina, interprete della giovane protagonista, Migliore Attrice ai Golden Globes 2020.

Il primo Natale. Dal cine-panettone al cine-presepe. Anche Ficarra e Picone si fanno dare una mano per scrivere il film da un campione dei copioni, Nicola Guaglianone. E la storia ne guadagna. All’inseguimento di una preziosa statua del Bambinello, un ladro e un prete compiono un rocambolesco saldo spazio-temporale, trovandosi direttamente in Palestina, nell’immediata vigilia della nascita di Gesù. Anche le riprese della coppia siculo-comica tra le sabbie mediorientali migliora. Un eccellente Massimo Popolizio nei boriosi panni di Re Erode.

Sorry, We Missed You. Incalzante sul moderno autosfruttamento lavorativo. Ken Loach non molla i temi portanti del suo cinema, e questa volta lo fa con una storia dura, scandita in modo drammaticamente serrato, incalzante. Un ex lavoratore dell’edilizia, decide di mollare il suo lavoro fisicamente pesante, per entrare nel mondo della consegna dei pacchi a domicilio, che immagina meno gravoso. In realtà è entrato in un inferno dove non sono scritte, ma di fatto applicate le disperanti parole dantesche “Perdete ogni speranza voi che entrate”. Non lavoratore autonomo, padrone di sé stesso, ma schiavo autosfruttato, al servizio di un sistema logistico scadenzato da tempi implacabili e regole feroci, senza alcuna pietà.

Il mistero di Henri Pick. Giallo letterario in classica commedia francese. Esplode un travolgente caso editoriale per un romanzo scritto da uno autore del tutto sconosciuto e anche defunto. Un famoso critico letterario, star della tv, sente puzza di bufala, si mette ruvidamente contro tutti e comincia a indagare, come un vero e proprio detective. Il mistero è ben intessuto, ti aggroviglia allo schermo, infittendosi scena dopo scena, ricamando anche un tenue sfondo sentimentale nello scontro frontale tra lo scorbutico critico e la tenace figlia dello scomparso autore. Lo scioglimento del rompicapo precipita forse un po’ troppo macchinosamente, ma trattasi pur sempre non di vero giallo ma di commedia. Fabrice Luchini emerge sempre più come star di tale genere squisitamente francese.

Dio è donna e si chiama Petrunya. Spassosamente sorprendente. Laureata in storia, non riesce a trovare lavoro neanche come segretaria. Tanto meno un uomo. Si trova per caso dentro una locale saga-cerimonia greco-ortodossa macedone, riservata unicamente ai maschi. Ne diviene invece lei la protagonista, scatenando uno scandalo religioso, d’ordine pubblico, televisivo. I toni della commedia si intridono di una graffiante critica sociale e culturale contro la discriminazione di genere e i ridicoli riti del patriarcato non solo balcanico. Ancora in poche sale ma da non perdere.

JoJo Rabbit. Parodico e drammatico. Un ragazzino di dieci anni cerca di eccellere nella gioventù hitleriana, tanto da fabbricarsi un suo immaginario Führer che vive, dorme, mangia, discute in ogni momento con lui. Non ha però mai visto un ebreo in carne e ossa, se lo figura nelle fogge animalesche più stravaganti e si domanda se saprebbe riconoscerlo, allo scopo di sapere poi anche ucciderlo, perché tutti invece lo chiamano Rabbit, Coniglio. Un incidente durante l’addestramento lo rende claudicante e lo esclude dall’attività operativa del gruppo. L’ebreo poi lo incontra davvero. È una adolescente un po’ più grande di lui. Nascosta proprio in una cripta della sua casa che lui non conosceva. L’ha nascosta lì la mamma di JoJo. La parodia iniziale trasmuta gradatamente in rappresentazione sempre più seria e drammaticamente convincente, fino al sensibile apice finale. Roman Griffin Davis è JoJo, Scarlett Johansson sua madre, Sam Rockwell l’istruttore, il regista Taika Waititi l’immaginario, parodico Führer.

Cena con delitto. Esilarante, travolgente. Classico giallo per interno in chiave comico-sardonica. L’intera famiglia con cameriera e infermiera al seguito è chiusa da un enigmatico detective in una villa per risolvere il mistero dell’assassinio del suo proprietario, bizzarro patriarca, famoso romanziere, editore, ricco sfondato. Plot fitto davvero gustosamente acchiappante. Lo scioglimento ancora più intelligente e intrigante. Perfetto tutto il cast, particolarmente Ana de Amas, Daniel Craig, Christopher Plummer.

La ragazza d’autunno. Intenso, coloristico, talentuoso. Candidato agli Oscar 2020 per la Russia, rientrante nella decina prescelta per il Miglior Film Straniero, lo danno in pochissime sale. A Roma solo in Campo de’ Fiori al Cinema Farnese, ma sempre con una notevole fila al botteghino. Fine del secondo conflitto mondiale, due donne nel gelo, nella fame, negli ospedali pieni di feriti di guerra a Leningrado (San Pietroburgo). Trama non lineare, parla più con l’intensità della forma cinematografica, ossia delle inquadrature, delle sequenze, dei contrasti cromatici e di luci tra interni in ombra ed esterni abbaglianti di neve, dei capelli biondi e rossi, degli abiti verdi e vermigli delle due protagoniste. Sacrificio, pietà, crudeltà, amore e riscattotrasversale sullo sfondo della nuova, gelida nomenclatura post rivoluzionaria, in una trasmutazione del passato ai valori e temi del presente.  

di Riccardo Tavani