La follia come atto di resistenza al Covid-19

“Non farti queste domande, perché rischi di perdere la testa”, mi ha detto Mika mentre sorseggiava il gin tonic che avevo preparato e trasportato in un thermos disinfettato. Mika vive a Zagabria. Anche se l’amministrazione comunale ha introdotto restrizioni piuttosto blande, Mika si è imposta regole tutte sue, molto più rigide.

Eppure a Zagabria i casi di Covid-19 sono pochi ma questo non basta. Non per tutti. Così per convincere Mika a mangiare gli snack che avevo preparato ho dovuto metterli in contenitori scrupolosamente disinfettati. Le ho portato anche una bottiglia di acqua di Colonia tradizionale turca che a causa dell’epidemia ora costa moltissimo. “Non dovevi, tesoro”, mi ha detto Mika con il suo solito tono distaccato. “Non sono terrorizzata dal virus, sto solo cercando di gestire questo periodo allucinante a modo mio. Te lo dico per questo: smetti di pensare al futuro, altrimenti rischi di impazzire. Lo dico per esperienza”.

Mika ha la mia età, 46 anni. È una delle poche amiche che ho a Zagabria. È cresciuta in Bosnia-Erzegovina e quando è scoppiata la guerra, nel 1992, si è rifugiata a Zagabria. “Per sopportare le giornate nel campo profughi non ho parlato con nessuno per più di un mese. È il mio modo di affrontare la realtà quando diventa assurda. Mi chiudo in me stessa”.

Credo che sia affascinante il mondo della mente, il fantastico cuore della psiche e le dinamiche diverse che si innescano in ognuno di noi. Il bagaglio culturale ed emotivo che ci portiamo dietro ne è un punto fondamentale.
Mika mi ha raccontato che ha voluto rivivere quei ricordi per affrontare l’insensatezza dell’epidemia. Mi ha fatto i complimenti per il mio gin tonic e intanto io mi sono ricordata di Rosa Luxemburg, che per sopportare la vita in prigione si alzava prima dell’appello e si era imposta una disciplina ancora più ferrea di quella dei secondini. In questo modo aveva l’impressione che fosse lei a comandare.

Ho pensato anche al poeta russo Iosif Brodskij e alle sue memorie da un penitenziario dell’ex Unione Sovietica. Ogni giorno i detenuti dovevano spaccare legna per due ore. Così un giorno Brodskij decise di cominciare a spaccare la legna e non fermarsi più. Alla fine riuscì a spaventare le guardie con i suoi comportamenti da svitato, al punto tale che nessuno gli chiese più di spaccare la legna.

Ma questi sono metodi per combattere una dittatura, un potere visibile. Come si fa se non c’è niente a cui opporsi? Come si può restare lucidi davanti a un nemico invisibile che ti chiede solo di non fare niente?

Il covid-19 ha creato un’egemonia mentale specifica e peculiare. Non solo è impossibile parlare o pensare a qualcos’altro, ma l’emergenza mondiale si è presa anche i nostri sogni. Il lato positivo è che tutti, dalle steppe dell’Asia centrale alle Montagne rocciose degli Stati Uniti, facciamo gli stessi sogni in cui abbracciamo e baciamo qualcuno. E tutti ci svegliamo con gli stessi sudori freddi. Inforniamo pane e torte. Usiamo Zoom o House Party.

Avevo bisogno di un giorno normale, un giorno senza paura, senza nascondermi,  senza fantasmi.

Per questo, come atto di resistenza, la settimana scorsa ho deciso di ignorare tutto. Ho voluto fare finta che la pandemia non esistesse e ho trascorso una giornata intera come se tutto fosse normale. Credevo che l’immaginazione umana avrebbe prevalso. E così, anziché indossare mascherina e guanti di lattice, mi sono messa il rossetto e sono uscita, sorridendo come faccio sempre nei giorni normali.

Il problema è stato ritrovarmi nel centro della città e sentire il mio respiro e i miei passi, come in un film dell’orrore. La gente mi stava lontana perché non indossavo la mascherina. Immediatamente mi sono dovuta arrendere al fatto che l’egemonia mentale del virus sovrasta anche l’immaginazione più ostinata.

Quindi aggiungerei, il fantastico mondo della mente e le reazioni negli altri. Perché ogni forma di ribellione parte silente dentro noi stessi, in punta di piedi, come un cantiere in cui gli operai danzano sulle punte, scivolano lenti senza far rumore a preparare il nuovo che avanza. La prima cosa è difendersi come si può, anche con la “follia”. La seconda cosa è riprendere a vivere, anche con la “follia”. La terza cosa è trovare un proprio equilibrio, che non deve coincidere con quello degli altri ma che deve vestirsi amabilmente al nostro corpo e al nostro mondo interiore.

Perché non solo il virus è invisibile, lo sono anche i “folli” che volutamente non vengono guardati, osservati, avvicinati.

Perché fateci caso, tutto ciò che è invisibile, fa paura.

di Stefania Lastoria