Storia di una prigioniera israeliana

Hallel Rabin viene da un ambiente privilegiato e avrebbe potuto tranquillamente fare il servizio militare nell’intelligence o in qualsiasi unità lontana dall’azione sul campo e abbastanza prestigiosa da favorire la sua carriera futura. Ma Rabin, che ha da poco compiuto 19 anni, proviene dalla comunità antroposofica di Harduf. Non ha mai mangiato carne né pesce, e si rifiuta di arruolarsi perché è contraria a qualsiasi forma di violenza. Rabin avrebbe potuto trovare una scorciatoia e chiedere l’esonero. Avrebbe potuto far finta di essere religiosa o di essere affetta da disturbi mentali. E invece chiede che l’esercito israeliano riconosca la legittimità della sua obiezione di coscienza.

Il 19 ottobre si è presentata in un centro di reclutamento dell’esercito per la terza volta. Ha ribadito il suo rifiuto di diventare una soldatessa e il suo desiderio di fare il servizio civile volontario. È stata giudicata sul posto e rinchiusa nuovamente in prigione. La prima volta che si è rifiutata di arruolarsi ha passato una settimana in carcere. La seconda volta è stata imprigionata per due settimane.

Lei sostiene: “Affrontare la prigione militare non è un percorso facile. E’ un serio problema e affrontare il potere fa paura. Dunque sono soggetta alle leggi di questo posto, alle leggi della prigione. Mi trattano come se avessi commesso un crimine”.

Nella richiesta di esonero rivolta all’ufficiale addetto al reclutamento, Rabin ha scritto: “L’omicidio, la violenza e la distruzione sono diventati talmente comuni che il cuore s’indurisce e li ignora. Il male è ormai uno di famiglia, dunque lo difendiamo e lo giustifichiamo, chiudiamo gli occhi e neghiamo le nostre responsabilità. Non sono pronta a partecipare a una realtà violenta. Non sono pronta a far parte di un esercito soggetto alla politica di un governo che va contro i miei valori.”

Ad agosto la “commissione di coscienza” che esamina le richieste di esonero dal servizio militare, ha avuto l’impressione che le motivazioni di Rabin non costituiscano un’obiezione di coscienza valida per il servizio militare, e non riflettano un rifiuto assoluto di svolgere un servizio a favore della difesa.

Cosa significano queste parole? Significano che, secondo la maggioranza della commissione di coscienza, Rabin si oppone alla violenza dello stato israeliano nei confronti dei palestinesi. E in Israele questa non è obiezione di coscienza, ma una presa di posizione politica.

Eppure Rabin non ha mai usato parole come “occupazione”, “colonialismo” o “apartheid”.

Anzi in alcuni passaggi della richiesta in cui Rabin allude alla situazione attuale in Israele lei scrive: “Non lavorerò in un sistema basato sulla disuguaglianza, la paura e l’incapacità di vedere l’altro. Per un giovane israeliano questo è spaventoso quanto lo è per un giovane palestinese. Non esiste nessuno, e sicuramente non un intero popolo o una nazione, che ami la sofferenza, viva per la sofferenza o desideri la sofferenza per i propri figli. Non esiste oppressione benevola né razzismo giustificabile”.

Eppure non è stata creduta. Perché fa paura vedere che ci sono ancora ragazze come Hallel Rabin che hanno il coraggio di allontanarsi dal percorso facile che la sua vita agiata le ha regalato, la forza di ribellarsi e di tentare di far valere le sue ragioni, la determinazione di tenere testa al potere.

E non neghiamocelo, sappiamo tutti che vivremmo in un mondo migliore se ci fossero più Hallel Rabin.  

di Stefania Lastoria