Rubaix, la luce d’un brutto film contro le donne

Arnaud Desplechin, il regista di Rubaix, une lumière, ha girato questo quarto film sulla sua città natale. Il film esce anche con il titolo internazionale Oh, Mercy!, qualcosa come Oh, Dio!, Oh, Misericordia! Rubaix è nel nord della Francia, attaccata al confine con il Belgio. È però anche città di tanti confini sociali e multietnici interni. E di conflitti legati a essi. Che a volte prendono la via del crimine, come in tante altre simili città del mondo. Quando questo avviene si deve muovere il commissario Doud, di origini maghrebine, ma nato anche lui a Rubaix. Conosce persone, selciati e latrine del crimine meglio di chiunque altro tra quei confini. Calmo, saggio, serafico, non si scompone mai, i suoi occhi non indagano, ma si posano semplicemente su luoghi, fatti, e facce dei reati. Una luce morbida, aurea, a tratti caravaggesca permea tutte le sue inquadrature. Di più: Doud è il centro stesso della totalità d’immagine che compone e dà senso a tutto il film. Il fascino particolare, riservato e riversato unicamente alla sua persona, dovrebbe così irradiarsi sull’intera opera. La mancanza di novità e rigore stilistico d’arte, però, non può però essere riempito solo da tale artificioso bagliore.

Da poco è suo aiutante il giovane Luis. A chi è abituato a cogliere anche i dettagli delle inquadrature, non sarà sfuggito che tra i libri nella biblioteca della piccola abitazione di Luis spicca un libro di Emmanuel Levinas, il filosofo del volto dell’altro. Caspita, di poliziotti che leggono tali vertiginosi e complicati pensatori del Novecento se ne trovano davvero pochi! Il film è ispirato a un caso vero del 2002 e a un documentario televisivo sul commissariato di Rubaix. Non si vuole qui mettere in discussione la verità dei fatti, ma la falsità ideologica attraverso cui il regista li tratta. Un conto sono le persone realmente protagoniste di un crimine, un conto la messinscena drammatica che ne fa un film. Ciò sia in relazione ai significati che v’imprime l’autore, sia nel gioco dei rapporti con gli altri personaggi non sempre o non talmente reali.

Alle figure umanitarie, più che umane dei due investigatori principali, e a quella addirittura luminescente del Capo, infatti, si contrappone ripetutamente quella di due lesbiche conviventi, infingarde, alcoliste, psicologicamente da sottoscala, con una dimensione quotidiana piuttosto squalliduccia, come traspare anche dall’insieme delle loro persone. Una di esse ha anche con un figlio che, però, in casa loro noi spettatori non vediamo mai. Anche le due poliziotte presenti in caserma durante gli interrogatori si limitano a ripetere meccanicamente, e anche un po’ istericamente le contestazioni di Doud e Luis. Tra l’altro il Commissario Doud, in episodio minore del film, è mostrato indagare per riportare all’ovile la pecorella smarrita di una bella ragazza, anche lei d’origine maghrebina, che ha litigato con i genitori per il fidanzato che liberamente si è scelto. La donna è qui l’emblema stesso di ogni altro soggetto debole da sottomettere a un potere volitivo e virile.

Viene il sospetto che lo stesso regista sia un conclamato caso di quanto previsto dal celebre romanzo fantapolitico di Michel Houellebecq Sottomissione, del 2015. In esso un partito islamico vince le elezioni presidenziali francesi, alleandosi con socialisti, liberali e moderati di centro, portando all’Eliseo il suo candidato mussulmano francese di seconda generazione. Nell’immagine complessiva del film, infatti, si può perfettamente rispecchiare proprio l’ideologia patriarcale islamica. Solo che – come nel romanzo di Houellebecq – dietro di essa si nasconde e si accovaccia comoda quella mai doma del sistema patriarcale occidentale. Davvero Oh, Mercy!: No, Pietà!

di Riccardo Tavani