Un diritto o un capriccio? L’adozione e la conoscenza delle origini biologiche

Riflessioni emerse al convegno “Siamo adottati e stiamo bene”,

libreria Libri Liberi, Firenze, 9 Ottobre 2021

“Non è che chiedo chissacché, mi accontento di un nome: chi non ha provato non può capire. Molti pensano che sia un capriccio, o persino un moto di orrenda ingratitudine verso i nostri genitori adottivi. Ma non è così, anzi, li amiamo e siamo loro grati. Ma vogliamo conoscere la nostra storia, vogliamo un nome, un volto, un dolore, persino: insomma, un passato, come tutti gli altri.” (Anonimo)

Stiamo parlando di adozione; in particolar modo del diritto alla conoscenza delle origini biologiche. Il tema dell’accesso ai dati per quanto riguarda le origini è un argomento controverso e delicato, affrontato sia in ambito giuridico che psicologico e sociale. Quando si affronta l’argomento “adozione” è comune trovare testi e articoli che parlano di come la coppia debba fronteggiare tribunali, psicologi, assistenti sociali; vengono forniti consigli e accortezze per concludere al meglio il percorso e far sì che l’affidamento preadottivo si trasformi in un’adozione a tutti gli effetti. Ma chi si occupa di formare i soggetti che ruotano intorno all’istanza per l’accesso alle informazioni biologiche? Non si tratta di arrivare, suonare il citofono e chiedere ad una madre che al momento del parto ha dichiarato di voler restare anonima se dopo venticinque, trenta, quarant’anni ha cambiato idea e ora desidera da un momento all’altro conoscere suo figlio. Occorre una preparazione adeguata, conoscenze in campo legislativo e sociale, oltre che in ambito adottivo. Alcuni assistenti sociali, per fare un esempio, dichiarano di “temere” di disturbare chi dovranno andare ad interpellare. Durante gli anni cinquanta e sessanta alcune donne erano obbligate a lasciare i propri figli in orfanotrofio, magari perché la gravidanza avrebbe creato scandalo nel Paese; ad altre madri veniva persino fatto credere che il bambino fosse morto, storie non molto lontane da ciò che accade ancora oggi in altri Paesi del mondo. Per non parlare dei documenti che negli anni sono andati persi o distrutti a causa di calamità naturali come alluvioni o incendi. Un altro argomento di estrema importanza sempre legato al tema della ricerca riguarda il diritto alla salute e all’accesso ai dati sanitari; emblematico è il caso di Daniela Molinari, nata da una violenza e portata in orfanotrofio, ora adulta e malata di tumore, ha cercato di ritrovare la sua mamma di pancia non per questioni sentimentali, ma di sopravvivenza; perché i medici le hanno proposto di iniziare delle cure sperimentali basate sulla mappatura genetica. Dopo svariati appelli la madre ha fortunatamente deciso di fare il prelievo di sangue e dare una seconda possibilità di vita a quella bambina che aveva deciso di abbandonare. La storia di Daniela è un esempio per tutti noi che potremmo trovarci un giorno nelle sue stesse condizioni; il diritto alla salute viene prima di qualsiasi altro.

Questa è solo una piccola parte di quanto è emerso al convegno “Siamo adottati e stiamo bene” svoltosi il 9 Ottobre alla libreria Libri Liberi di Firenze, dove ho avuto l’onore di partecipare per presentare la mia tesi triennale sul diritto all’accesso alle origini biologiche. Erano presenti i protagonisti dell’adozione, giovani e adulti, genitori adottivi, insegnanti, pedagogisti e assistenti sociali. Tutti con le loro storie, tutte diverse l’una dall’altra, con tanta voglia di rivendicare i propri i diritti e dar voce alla propria esperienza di vita. Ognuno di noi cerca un volto, un nome, un perché; a volte occorrono anni, a volte si arriva tardi e si trova soltanto una tomba, a volte addirittura non si arriva da nessuna parte, ma vale la pena provarci per tentare di completare il puzzle con l’ultimo tassello mancante.

di Giorgia Bernardini

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