ADOLESCENZA FRA MITI E VIOLENZA

Il concetto di mito entra di diritto nell’orizzonte dell’adolescenza, tanto da farne parte, connotando tale età dell’uomo di elementi ideali e di dati immaginifici.

 Adolescenza come età mitica, sospesa fra realtà e desiderio, in uno spazio di incubazione psicologica dove il “brutto anatroccolo” cammina nella realtà senza appartenervi e l’elemento mitico funge da trampolino per un futuro ancora in costruzione.

Transitando, quale cometa, dal mondo magico del bambino, ai miti adolescenziali, poi ai sogni dell’adulto, infine alle nostalgie dell’anziano, la funzione immaginifica attraversa la vita dell’uomo, conferendole una dimensione che arricchisce la persona al di là del dato biologico e ne denuncia, nel contempo, l’appartenenza dello stesso ad un ordine superiore.

In tale dimensione meta-contingente, nasce, si sviluppa e si dipana il finalismo, cioè il darsi una meta frammista di ideale e reale, che arricchisce la storia di ogni uomo di un proprio significato e spinge alla ricerca di un senso della vita.

Infatti, alla dimensione biologica appartiene la vita, a quella immaginifica appartiene il divenire.

E’ necessario che l’uomo possa completarsi con questa dimensione, man mano che cresce, per trovare la propria originalità di individuo e modellare la propria personalità contro l’alienazione e l’omologazione della massa.

Ogni epoca e ogni cultura hanno espresso delle “mitologie” per rispondere, in modo più o meno consapevole e simbolico, a bisogni personali e sociali di carattere mistico, cosmologico, sociologico e pedagogico (cfr.: gli studi di J. Campbell).

Françoise Dolto1 ha elaborato un quadro sinottico dei modelli degli adolescenti dal Medioevo fino alla fine del XX secolo, nel quale si evince il passaggio dal “tempo degli eroi” al “crepuscolo degli dei”, contrassegnati dalla scelta delle figure ora eroiche, ora geniali, ora mistiche o rivoluzionarie… fino all’identificarsi, oggi, con le grandi cause sociali, umanitarie o ecologiche…

Da tale quadro si deduce che man mano che la storia occidentale procede, si va perdendosi il gusto per i sapori del sacrificio, dell’ingegno, della conquista che gli antichi personaggi mitizzati possedevano. E cadono l’identificazione personale con essi e la voglia di imitarli, mettendosi in gioco, per cui l’adolescente contemporaneo mitizza il gruppo o il movimento e con esso le grandi cause e si muove solo collettivamente, senza protagonismo, evitando di imitare modelli mediati dagli adulti; oppure si limita a guardare, magari con stupore ma con atteggiamento smagato e svincolante.

In effetti la cronaca ci rimanda fatti o situazioni in cui si vedono adolescenti e giovani che scendono in piazza in massa, sovente con volti mascherati o semi nascosti, soprattutto se al coraggio dimostrato dagli antichi personaggi mitici, quando scendevano in campo, si sostituisce la violenza e il teppismo incondizionato, quale nuove qualità che legittimano certa “difesa” delle cause sociali, mentre al sacrificio personale si oppone la violenza sugli altri.

 In termini cinematografici potremmo dire che i personaggi mitici di “Arancia meccanica” si oppongono a quelli del “Signore degli anelli”.

 A differenza del passato oggi le figure adulte decadono come modelli mentre l’adolescente si costruisce riferimenti su misura e “fai da te”, che corrispondono ad un Io ideale personalizzato2, magari con l’ausilio del mondo virtuale offerto da Internet: anni fa, «Quando un sito milanese ha lanciato Virtual boy, sondaggio fra le ragazzine per costruire il ragazzo ideale, tra le migliaia di e-mail c’era quella di Sara, 15 anni: “Caro Virtual boy, sei l’unico raggio di sole nella mia vita. Se dovessi scegliere fra te e la mia vita sceglierei te. Perché ho solo te”.»3

Probabilmente, ciò è dovuto anche alla crescente distanza in atto tra giovani e adulti4 nonché all’indebolimento delle figure genitoriali e ad orizzonti di adultità che sovente combaciano con livelli adolescenziali.

D’altronde, causa anche la capillare e costante azione dei mass-media, molte maschere del mondo adulto oggi stanno cadendo con un effetto “domino” e l’adolescente ne è spettatore consapevole che, intimamente, può rimanere smarrito o offeso più di quanto voglia ammettere o farci credere.

La baldanza, l’ironia o la superficialità con cui l’adolescente reagisce di fronte a situazioni sconcertanti, promosse dagli adulti, sono più delle volte difese agite per dimostrarsi già all’altezza della situazione e per non incappare in comportamenti che egli giudicherebbe infantili quindi riprovevoli.

Al contrario, ne può, invece, scaturire un’imitazione caricaturale che riduce il mondo adulto ad una farsa, nel quale l’adolescente cerca la collocazione più “comoda” invece che un terreno per realizzarsi.

Il cinema e la televisione, che dal loro sorgere, hanno forgiato “miti” per ogni età, oggi propongono con più frequenza bassi o infimi profili di personaggi per lo più caserecci, come instancabilmente ci mostra “Il Grande Fratello”, “L’isola dei famosi” e i talk show della De Filippi o altri; così come lo sport, da sempre fucina di campioni mitici, oggi annovera “macchine umane” dopate per il successo e il lucro (il mito di Pantani fu esemplare, a tale proposito).

Grazie a tali dinamiche sociali, l’adolescente, che non è né stupido né così disarmato di fronte alla realtà, percepisce progressivamente e amaramente che i suoi miti nulla valgono e dovranno probabilmente perire sotto l’egida del possente e arrogante mito adulto, cioè il binomio denaro-potere, oggi decisamente arrogante anche sulla scena politica, che non rispetta più neanche la possibilità di mitizzare la realtà.

Non può non conseguirne, appunto, il rifugio nella dimensione solipsistica, disincantata, autoreferenziale e opportunistica… per cui ognuno risulta “mitico” per se stesso, sentendosi costretto o autorizzato, soprattutto se ancora in cammino verso la maturazione, ad alienarsi da tanto squallore o a distruggerlo.

L’allignare endemico della tossicodipendenza nel mondo adolescenziale costituisce esemplarmente un ulteriore dato che denuncia la caduta dei miti e dell’immaginario a fronte dell’ascesa dell’artificiale, per fuggire realtà ormai vuote e anestetizzare la frustrazione con la sostanza chimica, in sintonia con quella voglia di una certa “vita” cantata da Vasco Rossi: idolo dei giovani, appunto, in quanto anti-mito.

Come uscirne ?

L’allegoria espressa da Hende nel romanzo “La storia infinita”, si presta ad evidenziare la necessità di fronteggiare questa avanzata del nulla per salvaguardare il fronte dell’immaginario e del mito.

Una risorsa positiva è rintracciabile, a mio avviso, in un mito che, nonostante tutto riscontriamo ancora vivo, se non del tutto integro: quello della libertà, in quanto necessità che l’uomo avverte per natura e del quale l’adolescente si nutre.

Pur con le minacce, le ambivalenze e le insidie interpretative che la libertà da sempre subisce, essa rimane un mito fondamentale nel suo farsi ricerca per l’uomo, capace di riscattare la voglia di vivere e di osare, essenziali all’adolescente stesso.

Questo mito permette di sognare ad occhi aperti, di progettarsi, di ricercare modelli e valori per poi magari modificarli o abbandonarli; di essere se stessi pur condividendo con gli altri, fornendo all’adolescente una palestra delle scelte, la prova dei propri limiti, il duro esame di realtà, la misura della regola e della sregolatezza, che lo formano all’assunzione futura delle responsabilità.

“La cosa bella della libertà è che ci si affeziona ad essa proprio in quanto sembra impossibile” (Emil M. Ciorian): essa possiede quel fascino dell’impossibile che appartiene a tutti i miti e ciò la rende seducente, soprattutto per l’adolescente che vive più di sensazioni che di realtà.

Attraverso le sensazioni e le proiezioni del mito, l’adolescente compie il rodaggio del proprio mondo pulsionale ed emotivo, si apre ad amori platonici, immagina la forza della sessualità, scatena le prime tempeste intime e improvvisa confronti e scontri col mondo esterno, disegna possibilità, proietta progetti, giustificato dalle possibilità illimitate di immaginare.

Grazie a queste sinergie profonde e inconsce nell’adolescente si formano o consolidano fra l’altro l’autorevolezza, l’autostima e il sentimento sociale poiché l’identità personale ha trovato rotte per navigare, non necessariamente tracciate solo nel reale.

Da qui l’essenzialità del mito e l’importanza della preservazione di questa possibilità per l’adolescente, se si vuole evitare un mondo di giovani “grigi di noia”, depressi nelle aspettative, nichilisti[5] e soli, ben oltre quella solitudine che appartiene alla pubertà in quanto tramonto del bambino e alba dell’uomo.

Prof. Nicolò Pisanu


1 F. Dolto, Adolescenza, A. Mondadori Ed., Milano, 1990, pag. 42.

2 G. Lutte, Psicologia degli adolescenti e dei giovani, Il Mulino, Bologna, 1987, pag. 118.

3 in “Panorama”, 29 marzo 2001.

4 G. Lutte, Psicologia degli adolescenti e dei giovani, Il Mulino, Bologna, 1987, pag. 119.

[5] U. Galimberti, L’ospite inquietante, Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Milano, 2007.

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