Canada, Papa Francesco chiede perdono ai nativi

Dopo decenni di silenzio, risposte negate e scuse non pervenute, Papa Francesco si è recato in Canada per chiedere perdono alle popolazioni indigene per quello che ha definito “un errore devastante”, riconoscendo così la corresponsabilità di molti membri della Chiesa per il genocidio culturale, un “mea culpa” che i rappresentanti delle comunità delle Prime Nazioni canadesi attendevano da tempo.

“Chiedo perdono, in particolare, per i modi in cui molti membri della Chiesa e delle comunità religiose hanno cooperato, anche attraverso l’indifferenza, a quei progetti di distruzione culturale e assimilazione forzata dei governi dell’epoca, culminati nel sistema delle scuole residenziali”. Queste le parole del Pontefice a Maskwacis, Alberta centrale, nel primo giorno del suo “pellegrinaggio penitenziale”, voluto per incontrare le popolazioni indigene ed esprimere loro vicinanza e pentimento.

Violenze, stupri, fosse comuni, sterilizzazioni, fame, freddo, tubercolosi, tutto questo rientrava nel “Canadian Indian residential school system”, la rete di scuole amministrate dalla Chiesa cattolica e finalizzate ad un ignobile processo di assimilazione dei nativi alla cultura canadese dominante. Considerate inferiori moralmente e legalmente, nel 1857 una legge, denominata Gradual Civilization Act, costrinse le famiglie indigene a trasferire la tutela dei loro figli alle scuole residenziali. In quei lager, ai bambini era vietato parlare la loro lingua, venivano banditi i loro usi e costumi, i loro nomi cancellati e sostituiti da un numero ed era loro proibito ogni contatto con la famiglia d’origine.

Nel 1907 un giornale canadese riportava che il 42% dei bambini che frequentavano le scuole residenziali moriva prima dei 16 anni. Le sterilizzazioni delle donne e delle bambine native, stando a quanto riportato dalla Royal Commission on Aboriginal People, continuarono fino al 1973, anno in cui fu abolito il sistema criminoso delle scuole residenziali. Si stima che oltre 150.000 bambini siano stati internati nei 139 istituti canadesi, mentre è ancora incerto il numero di coloro che non sono più tornati a casa.

Papa Francesco, con questo viaggio, ha mantenuto la promessa ai capi delle comunità native di recarsi nei loro territori, fatta in occasione della loro visita a marzo in Vaticano. A ricordarlo è Wilton Littlechild, 78 anni, sopravvissuto alle violenze delle scuole residenziali e membro della Commissione per la verità e Riconciliazione che, nell’accogliere Papa Bergoglio, ricorda così l’incontro in Vaticano: “Durante il nostro incontro con Lei, è stato chiaro a tutti noi che ha ascoltato profondamente e con grande compassione le testimonianze che hanno raccontato del modo in cui la nostra lingua è stata repressa, la nostra cultura ci è stata sottratta e la nostra spiritualità denigrata. Fu allora che espresse il desiderio di viaggiare per raggiungere il Canada”.

I rappresentanti delle comunità indigene avevano già chiarito, ed hanno ora ribadito, che chiedere perdono significa riconoscere ufficialmente che quell’esperienza è stata vissuta ed è un percorso verso la guarigione per chi è sopravvissuto e una vera speranza per le generazioni a venire. Di certo questo può essere considerato è un primo passo verso la condivisione pubblica di una verità tenuta nascosta per troppo tempo, celata dietro una pruriginosa discrezione diplomatica.

di Nicoletta Iommi