Desiderio di pace, amore e fratellanza

La nostra meravigliosa utopia, che poi tanto utopia non è se pensiamo che può essere realizzata con la partecipazione dei giovani, delle lavoratrici, delle donne, dei movimenti antifascisti, dei movimenti   antagonisti e della Pace, dei movimenti Green, per l’ambiente e per la giustizia sociale, è: l’uguaglianza. Desiderio che si è diffuso con il sessantotto, anche per rompere con una società ancora fascistizzata. L’autunno caldo dei metalmeccanici, ha visto scendere in piazza, al loro fianco, gli studenti, i movimenti femministi, cioè tutta la meglio gioventù di guegli anni. I sogni e le utopie hanno fornito uno strumento straordinario ai giovani che hanno aderito in massa alle occupazioni, contestazioni, ma soprattutto alle proposte che scaturivano dalle assemblee. Gli studenti, nelle scuole le chiamavano collettivi, veri momenti di democrazia partecipata che tentava, anche, di democratizzare le coscienze fascistizzate dal ventennio e poi dal ventennio successivo.

Questo spirito di uguaglianza, la splendida utopia, è stato rapidamente soffocato dal liberismo individualistico è competitivo attraverso lo sviluppo selvaggio del capitalismo, il quale a partire dagli anni Ottanta ha fatto credere in un benessere facile, mentre in realtà era solo frutto di uno spaventoso è pesante indebitamento.

Su questo insano indebitamento si fondava l’ostentazione della ricchezza negli “Yuppie” della Milano da bere, dei carrieristi, ma anche delle persone comuni, sempre più vittime dell’individualismo competitivo, senza sogni e utopie. Ora, infatti, non si era più uguali degli altri, non si voleva più essere come gli altri, con le stesse buste paga, con le medesime aspirazioni che si cercava di realizzare anche con l’emigrazione. No, ora ci si voleva stranamente differenziare, si voleva a tutti i costi essere diversi, più ricchi, più egoisti, più avidi, illudendosi che il benessere consistesse nel consumismo sfrenato e nell’individualismo. In funzione di questa effimera appariscenza, il sistema economico si riconvertiva nella produzione di generi superflui, o non necessari, aumentando il debito per poterci accedere. Il lavoro, che prima era fonte di ricchezza, si trasformava in terziario, si delocalizzava, si dematerializzava, l’economia si finanzairizzava e le finanziarie crescevano (come i compro oro odierni) come funghi assieme a banche persino in paesini di pochi abitanti. In cima alle preoccupazioni degli italiani, non c’era il lavoro, bensì il denaro, il re del mondo lo definiva Battiato. Ci si ingegnava non a creare lavoro, ma ad ottenere denaro in tutti i modi possibili, anche illeciti. Anzi più si riusciva a muoversi nell’illecito e nel torbido e più si veniva considerati importanti. Non c’era più l’etica del lavoro. Non c’erano più le utopie e il desiderio di uguaglianza, fratellanza e libertà. C’era l’avidità della ricchezza illecita, resa lecita da una politica subalterna alla finanza della disuguaglianza. C’era un partito, il Partito Comunista Italiano, guidato da Enrico Berlinguer, me fece della questione morale una battaglia epocale, era bello dire “noi siamo il Partito dalle mani pulite”. Erano gli anni Ottanta. Con la morte di Berlinguer, è iniziato il declino di un partito che candidava alle elezioni almeno il 30% di operai.

Nessuno più si occupava di povertà, di diritto del lavoro, della condizione delle donne, dei giovani. Iniziarono a demolire lo stato sociale, a scardinare il contratto collettivo nazionale di lavoro. Tolsero l’articolo 18, unica forma di tutela dei lavoratori, e lo tolse un governo di centro sinistra guidato da Renzi, che fece anche il Job Act, la vergogna delle vergogne per il mondo del lavoro.

Ogni tanto qualche flebile voce ricordava le “antiche” utopie della uguaglianza e della fratellanza, ma venivano derisi, additati come dinosauri sopravvissuti, fuori epoca, sciocchi che ancora avevano un ideale. Invece era un ritorno alle umili origini del sentirsi parte di un movimento che voleva ancora sognare. Le flebili voci divennero urla. Grida di giovani che rivendicano le loro belle utopie, che sono anche le nostre. Le splendide utopie di sentire il desiderio  di pace, di amore, di fratellanza e di uguaglianza. Il desiderio di sentirsi vivi in un mondo che muore per causa della sua stessa avidità.

di Claudio Caldarelli