Il linguaggio come arma di distruzione di massa

“Vogliono vincere, e usano il linguaggio come arma di distruzione di massa…” il linguaggio è brutale quando distrugge l’uguaglianza tra parlanti, il tempo di elaborazione della parola, l’apertura all’altro, il gioco delle distanze. Nel suo dire letterale, istantaneo e automatico, il linguaggio brutalista non è altro che il linguaggio dei media radicalizzato all’estremo. Amador Fernandez-Savater analizza con lucidità estrema l’utilizzo del linguaggio brutale dalla destra trumpiana alla estrema destra lepenista, passando per Orban,  Meloni e Milei.

C’è una guerra nel linguaggio, inteso come macchina per tradurre gli affetti e le percezioni in orientamenti e in azioni. Il linguaggio della estrema destra contemporanea traduce la frustrazione di vivere in aggressione contro i più deboli, traduce l’umiliazione quotidiana in delirio persecutorio e la disperazione in voglia di rivincita. Capi di Stato che mentono, non dicono le verità, oppure dicono tutto e il contrario di tutto. Affermano, poi negano e rinnegano, ma intanto dicono. Confessano e si sconfessano con il linguaggio mediatico asservito ai loro fini politico-elettorali. Il linguaggio brutale della destra, Macron compreso è simile al linguaggio di hitleriana memoria.  Linguaggio intimidatorio, offendono, attaccano, insultano, squalificano, indicano capri espiatori. Vogliono solo vincere e usano il linguaggio come arma di distruzione di massa.

Il linguaggio è un virus, diceva Burroghs, il linguaggio brutale attiva questo virus che portiamo dentro. Gli affetti si oscurano, i corpi si irritano, i discorsi diventano crudeli. Siamo posseduti. Impossibile discutere razionalmente con un posseduto.per proteggersi non possiamo cambiare luogo o spostarci. Non c’è nessun luogo fuori dal linguaggio, a casa, a scuola, al lavoro, ma anche nel web o sui social, occorre quindi trasbordare all’altra sponda del linguaggio.  Chiamiamola conversazione, scrive Fernandez-Savater, la conversazione è una pratica del linguaggio che presuppone l’uguaglianza tra parlanti: non c’è qualcuno che sa, ma ci siamo noi che parliamo e discorriamo in congiunzione. Questo richiede un tempo di elaborazione che nel linguaggio brutale non c’è. Ma anche a sinistra spesso la conversazione si trasforma in linguaggio brutale, priva del tempo di elaborazione.

Ogni parola apre uno spazio per l’altro: io parlo tu rispondi, noi pensiamo. Ogni parlante affina la sua voce singolare in una trama comune, di tutti e di nessuno. La conversazione rende possibile l’elaborazione, la comprensione, crea il senso del profondo e può isolare la brutalità del linguaggio  come mezzo di distruzione.

Non si deve rispondere al linguaggio brutalista della destra con il linguaggio brutalista della sinistra, o trincerarsi dentro le incerte-certezze o rimanere nella propria zona confortevole. Si tratta di aprire e ampliare gli spazi di conversazione. La conversazione è ironica, ci permette di giocare con i nostri malesseri e le nostre gioie. Ci permette di condividere la presentazione di un libro o la lettura di una poesia. La conversazione ci permette di giocare con le nostre opinioni rimuovendo le gabbie ideologiche che inevitabilmente portano al linguaggio brutale. Prendere le distanze da noi stessi, divenire terzi, usare l’ironia contro la possessione.

Claudio Caldarelli