Reality, di nome e di fatto
Il titolo del film Reality, di Tina Satter, non ha nulla a che vedere con quello omonimo di Matteo Garrone del 2012. Anche perché Reality corrisponde al vero nome di battesimo della protagonista di questa misconosciuta vicenda vera, reale. Reality Winner, infatti, è una ex addetta dell’Air Force, l’aereonautica militare Usa. Winner riceve la medaglia Air Force Commendation, per aver “aiutato a catturare 650 nemici, a uccidere 600 nemici in azione e a identificare 900 obiettivi di alto valore”. È inabile al volo, però. Laureata nel 2010 alla King Haig School, parla correntemente l’arabo, il persiano, il dari e pashtu. Il suo vero obiettivo è andare in missione in Oriente come interprete e traduttrice da queste lingue. Per aumentare il punteggio che la avvicini a tale suo scopo, dall’Air Force passa come traduttrice a una azienda informatica che lavora per la NSA, National Agency Security, che è stata al centro di numerose scottanti vicende nazionali e internazionali. Nel film Reality è interpretata da una sorprendente, più che convincete Sydney Sweeney, divenuta con il tempo un’autentica icona generazionale. Anche qui, tutto scaturisce dal licenziamento del direttore dell’FBI, James Comey e delle rivelazioni sulle interferenze russe nelle elezioni del 2016, cui è attribuita la sconfitta della candidata Hilary Clinton. Licenziamento disposto con effetto immediato disposto da Donald Trump appena eletto presidente Usa.
Nel giugno del 2017, scendendo dall’auto con la sua pesante sporta della spesa, trova ad aspettarla due agenti che si identificano con i loro tesserini dell’FBI. Le comunicano che hanno un mandato di perquisizione per la sua abitazione, chiedendole il consenso a rispondere spontaneamente a delle domande che vorrebbero porle. Lei accetta sia di subire la perquisizione, sia di rispondere al lugo interrogatorio, che avviene in pedi e in un ambiente disadorno, senza mobili e sedie, anche un po’ sporco, nel retro dell’abitazione. Tema delle domande su un suo sospetto, quasi certo trafugamento e successiva divulgazione di materiale classificato come secretato. Presto da soltanto due, gli agenti diventano una dozzina. Senza identificarsi, circondano con nastro di sicurezza l’intera villetta a un piano e cominciano a rivoltarne interno ed esterno come un pedalino. Soprattutto circondano con la massa corporea e muscolare di potere interamente maschile, patriarcale, vagamente minacciosa, la figura esile, con le gambe nude fuori dei suoi striminziti pantaloncini short, di Reality Winner, nella figura dell’attrice che la interpreta e che ha con lei un pronunciata somiglianza fisica e somatica.
In realtà anche il mandato di perquisizione le viene mostrato quasi alla fine del soffocante interrogatorio. Il film utilizza integralmente e fedelmente le registrazioni di questo esasperante interrogatorio conservate dall’FBI. A esse sono stati apportati ed evidenziati piccoli tagli riguardanti nomi riservati. Fatta eccezione per le poche limitrofe inquadrature esterne la villetta, si tratta di un film tutto per interni. Anche i flashback sul lavoro di Reality sono tutti all’interno della sua stanza, intorno alla sua scrivania e computer. Nonostante sia un film di sole parole, un fiume, e di ristrettezza di spazi, il film sprigiona una suspense spasmodica, che ti prende letteralmente alla gola e conduce all’acme l’attenzione di chi guarda. Un vero e proprio reality show, che – grazie alla bravura di tutti gli attori – il sapore inconfondibile dell’autenticità su un tema, non di semplice gossip, ma di controllo profondo, abissale e manipolazione o insabbiamento dei dati in rete, sia governativi che personali, relativi a ognuno di noi.
Dopo i casi maggiormente eclatanti di Edward Snowden e Chelsea Manning, forse proprio per la minore portata della vicenda, risalta ancora di più la ribellione delle coscienze, proprio nelle persone che più convintamente aderiscono ai valori patriottici americani. E proprio questa loro adesione ideale, difronte al contatto diretto con lo scempio segretamente e oscenamente compiuto di quei valori, non può che condurre a una ribellione, pagandone anche il duro costo che essa comporta. Anche perché per valori patriottici, non solo in America, si intende non la loro coniugazione democratica, ma soltanto quella reazionaria, razzista, sovranista che era alla Casa Bianca in quel momento.
Riccardo Tavani