Dossieraggi, dal carcere Panopticon all’auto-carcerazione
È come al cinema: se compare una pistola, prima o poi deve sparare. Idem per una banca dati: se compare in quel grande film che s’intitola Storia, prima o poi deve essere svaligiata. Tanto più che il modello di sorveglianza si è completamente ribaltato. Nel 1791, il filosofo e giurista Jeremy Bentham progetta un modello di carcere, il Panopticon, al quale si ispira poi ogni altro tipo di controllo e punizione, non più soltanto carcerario, ma anche politico, sociale. Panopticon, dal greco antico, sta per: opticon, sorvegliante, e pan, tutti, senza che questi possano rendersi conto se e quando sono controllati. È il mitologico gigante Argo Panoptes, il mostro guardiano con cento occhi che penetrano dappertutto. Il Panopticon, infatti, è costituito da una torre centrale, all’interno della quale si colloca il guardiano, attorno alla quale è disposto un anello murario di celle con doppia finestra, per rendere perfettamente visibile dalla torre il suo interno e i movimenti dei carcerati. Sul significato filosofico, antropologico e sulle sue conseguenze biopolitiche di tale modello hanno scritto molti grandi studiosi. Basti qui citare Michel Foucault, il filosofo francese autore di Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, il suo capolavoro del 1975.
Il modello Panopticon, però, è ormai una vestigia di un passato tramontato alle soglie del terzo millennio con l’avvento tecno-scientifico della digito-elettronica e dei social media. Non c’è più bisogno, infatti, di una torre e dell’occhio di un guardiano per il controllo centrale. A rifornire di dati continuamente aggiornati non solo giornalmente, ma ad ogni ora, istante, battito di ciglia, siamo noi stessi. Ne avevamo già scritto in altre occasioni, anche a proposito del film del 2019 The Great Hack, di Karim Amer e Jehane Noujaim, sui dati social che gli utenti stessi immettono in rete, utilizzati per fabbricare fake news e determinare il voto elettorale e referendario, come quello in Inghilterra sulla Brexit. Ognuno di noi, connettendosi e utilizzando un social, arriva a consegnare fino a cinquemila dati personali sensibili, psico-sanitari, pulsionali, intimi e ideologicamente orientativi. E lo fa – spontaneamente. Che il modello Panopticon, d’altronde, sia tramontato lo dimostra il fatto che le grandi agenzie di sicurezza, come la Fbi, si siano rivolte ai patron dei social per accedere ai loro dati, e che su questo lo stesso Zuckerberg abbia smentito solo parzialmente, tardivamente e in maniera davvero poco convincente. Attualmente poi, uno dei maggiori esponenti della potenza economica imperiale americana, come Elon Musk, è proprietario di un grande social come X, ex Twitter, e si è elettoralmente schierato con un altro magnate politico ed economico, di nuovo candidato alla Presidenza americana, quale è Donald Trump. E a Musk fanno anche capo aziende e centri di ricerca avanzati sull’Intelligenza Artificiale, che amplifica in maniera incontrollata, incontrollabile, la potenza di sorveglianza, condizionamento, manipolazione, falsificazione, stravolgimento profondo dei dati sensibili da noi stessi – individui, istituzioni pubbliche o private, elargiti al potere digitale – liberamente, gratuitamente.
L’ammasso astronomico di dati stratificato negli armadi digitali per la loro conservazione è tale ormai da costituire vere e proprie costellazione di palazzine, villaggi, residenze meramente elettroniche, bulimicamente energivore e obese di riservatezza fisica e spirituale umana. Più che di captazione di dati riservati, perciò, siamo di fronte a una loro copiosa, incontenibile fuoriuscita, offerta a chiunque voglia allungare programmi e memorie di download, per scaricarli e farne l’uso più cinico ricattatorio, falsificatorio, ma soprattutto lucroso che se ne voglia farie. La dimensione smisurata del fenomeno è nella stessa cifra dei primi ottocentomila dossier che cominciano a emergere quale punta di un iceberg sicuramente molto più estesamente sommerso.
È un vero neo far west, senza leggi e frontiere, dove le stelle di sceriffo servono meglio a entrare nelle banche e ad appropriarsi dei depositi, anziché proteggerle. E i revolver, i fucili a pompa che inevitabilmente sono arrivati a sparare, continuano a fornirli, a caricarli a pallettoni la nostra banalità del male on-line. Data la vorticosa e imprevedibile velocità del processo informatico-virtuale, al momento più che rimedi appaiono semmai nuove esasperazioni. Più volte lo abbiamo qui scritto: le basi di una nuova Costituzione mondiale, di una nuova Onu le richiede l’era dell’Antropocene tecno-scientifica, ma anche distruttiva dell’ambiente naturale planetario. Sembra, però, che la follia umana non sia in grado di farlo, senza aver prima dato fondo a tutte le magniloquenti idealità e risorse della propria auto carcerazione.
Riccardo Tavani