Realismo capitalista

“Non è ancora reato affrontare il tema del realismo capitalista. Ma se parli con franchezza e scrivi con franchezza perdi lettori. In parte per l’algoritmo  al quale abbiamo affidato le nostre vite, le scelte commerciali e anche il fatto si esserci trasformati in merci noi stessi, da vendere al miglior offerente: se scrivi qualcosa di fastidioso, sparisci, codici segreti stabiliscono i vincoli del pensiero, ciò che serve a far funzionare il sistema e ciò che deve finire in ombra…” inizia così l’articolo di Antonio Cipriani su Remocontro, aprendo una riflessione su cosa è il pensiero unico uniformato al potere, su cosa siamo diventati causa i condizionamenti delle televisioni e della pubblicità. Il tutto togliendoci la capacità di pensare che il capitalismo è il male delle società, è la causa principale delle povertà, delle ingiustizie e delle guerre.

“In parte, prosegue Cipriani, perché il conformismo ha talmente innervato la nostra società, annidandosi con pervicacia in ogni frammento economico, comunicativo e culturale, che viene spontaneo pensare che non esista alternativa a questo sistema. Crudele, feroce e ingiusto che sia, è un dogma per noi poveri cittadini bistrattati. Che dobbiamo anche diventare capaci di comunicare camminando con perfezione sul terreno minato di ciò che si deve dire per salire di ranking e ciò che invece oscura i nostri pensieri”. Una attenta riflessione, molto pasoliniana, che ci aiuta a rimettere al centro del nostro agire la politica. La politica come prassi per il bene comune, per la pace, per eliminare le disuguaglianze, per superare il capitalismo e riprenderci la libertà di pensiero e di parola. Una libertà sempre più rilegata ai margini dalle nuove normative restrittive e dalla emarginazione dai media per coloro che scrivono o dicono cose sgradite al sistema.

Realismo capitalista, spietato, cinico, immorale, che fa vivere l’umanità in una grande illusione, dove tutto è  possibile, anche se poi tutto rimane com’è: i poveri più poveri, i ricchi più ricchi. Nessuno parla di povertà o ingiustizia o disuguaglianza, solo Papa Francesco ha il coraggio di dire le cose come stanno. Solo il Papa scrive di come il capitalismo spietato causa sofferenza e dolore. I migranti ne sono la prova più evidente. Fuggono dalla fame, dalla guerra, dalla violenza, ma nessuno li accoglie. Tutti li respingono. Ma loro, i migranti sono il prodotto di scarto del capitalismo spietato, cinico e baro. Eppure non possiamo parlare dei danni del capitalismo. Tutti sono prostrati nel glorificare questo capitalismo perverso che affama e distrugge.

Il realismo capitalista che si basa “sulla capacità di chi ha denaro e potere di far sembrare impossibile un mondo diverso. Di far sembrare sempre colpevoli i poveri, gli sfruttati, gli oppressi, i più fragili. Quelli che muoiono di fame, che sfidano la morte in mare per tentare di sopravvivere, che ogni mattina non sanno se una bomba intelligente li farà saltare in aria o no”.

Basta! È ora di dire basta! Un altro mondo è possibile. Un mondo dove la fratellanza sia l’elemento che unisce i popoli redistribuendo a ciascuno secondo i suoi bisogni.

Riprendere le piazze per gridare pace, per fermare i morti sul lavoro, per dire basta ai femminicidi, per lottare al fianco degli sfruttati, dei poveri, dei migranti.

“Disertare da questo modello culturale, scrive Cipriani, per fare altro. Per lavorare per un progetto corale di resistenza e alternativa alla ferocia del tempo. Per essere disertori dal realismo capitalista troppo sfacciato e ingiusto per essere vero”.

Claudio Caldarelli