Due anni di governo e zero prospettive

Questo autunno piovoso, condito di esondazioni di fiumi e magistrati, sembra rappresentare ancora una volta il declino del nostro Paese, affidato com’è ad una classe politica di così modeste capacità.

Le cronache si sono occupate meno del solito delle alluvioni, anche se ancora una volta c’è scappato il morto. C’era troppa attenzione verso l’Albania e la finanziaria, con il dovuto contorno di polemiche. 

Anche i gravi problemi dell’industria italiana, sono stati rapidamente messi da parte, dopo l’audizione di Carlos Tavares a commissioni parlamentari congiunte, nonostante gli interventi molto critici da parte di esponenti della maggioranza e dell’opposizione. Ci si sarebbe aspettati un qualche indirizzo politico da parte del governo, che continua a latitare sul tema della politica industriale, tema ormai legato strettamente a quello della crisi ambientale. Su entrambi i fronti, però, nessuna risposta ai gravi problemi che ci attendono: questi sì, storici. Eppure, se preoccupanti sono i problemi, più preoccupante è il silenzio del governo rispetto a quelli che, in fondo, sarebbero i suoi compiti principali.

La faccenda non è di facile soluzione, almeno nel senso che non possono bastare un decreto né una nuova fattispecie di reato universale. Infatti, se è vero che il trasporto produce un terzo delle emissioni di CO2 e gran parte dell’inquinamento urbano, è anche vero che dà lavoro e ricchezza. Se l’Italia contribuisce alla produzione di Stellantis per solo il 10% ed è, pertanto, marginale rispetto alla “ditta” ormai olandese, non son marginali l’occupazione né la produzione industriale italiana; né sono trascurabili lo sviluppo tecnologico e la conversione “green” dell’automotive. Altri Paesi e altri gruppi industriali sono partiti in anticipo, noi e Stellantis no, e recuperare il tempo perduto richiede un impegno che ora non si vede da nessuna delle due parti.

Tavares è venuto a battere cassa, ha detto che l’aiuto di Stato è necessario per tanti motivi, tutti giusti. Ma non ha detto quanto vuole investire Exor, visto che Stellantis vale dentro Exor poco più di 5,4 miliardi su un valore netto dell’attivo della finanziaria di 38 miliardi. Non ha detto che quei soldi sono stati portati via dall’Italia e messi in Olanda, quindi non pagano neanche le tasse, qui da noi. Né le paga John Elkann, anche lui residente in quel Paese. Quindi si direbbe che la richiesta di Tavares nasconda un piccolo ricatto: o ci date dei soldi, o saremo costretti a chiudere gli stabilimenti italiani. Infatti, nel terzo trimestre 2024 la produzione di Stellantis è calata oltre il 31% e per l’intero anno la produzione sarà sotto le 500 mila unità, quando solo pochi anni fa si superava il milione di veicoli prodotti.

Poiché la politica è l’arte del possibile, forse sarebbe il caso di scendere a patti, dall’una e dall’altra parte. Magari non come per la crisi post covid, quando lo Stato ha fatto un prestito di 6,3 miliardi a Stellantis, che lo ha preso, usato e restituito sei mesi prima della scadenza, per non dover fare ciò che aveva promesso in cambio, cioè aumentare la produzione in Italia. Per non parlare dei 900 milioni per la cassa integrazione tra il 2016 e il 2024, dei 5,2 miliardi per Melfi e Pratola Serra, gli 1,9 miliardi per i programmi di riqualificazione e incentivi per l’industria, e via enumerando per contributi che superano ampiamente i 10 miliardi nel corso degli anni.

C’è sempre stato un paradosso fiat/FCA/Stellantis:​ anche quando i loro bilanci erano in deficit (ed è successo più di una volta) le casse della proprietà (IFI, IFIL ed Exor, cioè le holding facenti capo alla famiglia Agnelli-Elkann) sono sempre ingrassate. Nonostante ciò, i soldi ce li doveva sempre mettere lo Stato. Un po’ come dire: se guadagno i soldi li intasco io, se perdo i soldi ce li metti tu.

Prima, almeno, su quei guadagni si pagavano un po’ di tasse. Poche, ovviamente, perché sui dividendi azionari si paga una flat tax e non concorrono all’imponibile del reddito personale. Ora, invece, neanche quel poco, perché i soldi e la residenza li hanno portati all’estero.

Tuttavia sono in ballo i posti di lavoro e la capacità industriale del Paese. Quindi, anche se uno vorrebbe dire a Stellantis di andare a quel paese, se non di peggio, bisogna trattare, e trattare secondo un piano e degli obiettivi chiari. Se vogliono i nostri soldi, devono dare in cambio delle garanzie chiare ed esplicite, perché anche il passato pesa. E devono metterci del loro, perché anche il capitale privato deve concorrere a superare le crisi.

Invece si è parlato di Albania, magistrati e capi di gabinetto. Ma, per fortuna, nei due anni di governo appena passati la presidente del consiglio non si è mai risparmiata.

Cesare Pirozzi