Agenda Draghi: Carthago Calenda est

Il patto Lett-enda, indipendentemente dai catastrofici limiti personali ed esiti contingenti, non poteva che essere una Carthago delenda est, ossia Cartagine deve essere distrutta, secondo la nota sentenza pronunciata da Catone il Censore al senato romano nel 149 a. C. Nel nostro caso Cartagine è Roma, intesa come capitale e sede della politica parlamentare, governativa italiana, e il delenda, direttamente Carlo Calenda che lo contrordina a sé stesso, dopo il pubblico bacio social d’Iscariota a Cristo Letta.

Già si partiva con un 33% del centro sinistra contro 46% sulla carta del centro destra, accreditato ormai dalla maggioranza dei sondaggi per strutturale, ossia consolidato. In passato, però, molte delle previsioni pre-elettorali si sono dimostrate totalmente sballate. Dunque si poteva legittimamente sperare, o anche soltanto illudersi di ribaltare il pronostico.

Se si sparge, però, la paura, anzi il terrore del male maggiore, ossia la destra fascio-sovranista al governo, non si dovrebbe allargare lo schieramento a chiunque sia contro tale evenienza? Se invece, ab origine, si pretende un campo elettoralmente limitato, e in quanto tale istericamente lo si difende a testuggine, ecco che Roma, la simbolica Cartagine di oggi, è già delenda, distrutta in partenza.

Il fattore principale di preventiva distruzione cartaginese, però, è un altro. È proprio quella  stessa Agenda Draghi che si pretende di rappresentare, difendere e portare a compimento. Ma senza il titolare, ossia senza Mario Draghi, ciò è solo una pretesa, fondata su un ossimoro, ossia una contraddizione in termini. SuperM, infatti, gode ancora di un gradimento degli italiani oscillante attorno al 60%. Perché non getta questo suo peso specifico sul piatto della bilancia?

Perché è super partes, sopra gli schieramenti politici? Ossia sopra la democrazia? Quest’ultima, infatti, prevede le parti, i partiti, le ap-parte-nenze, nel cui campo ci si schiera, presentandosi agli elettori per chiedere esplicitamente di accordargli la propria fiducia, il voto.

L’ossimoro “Agenda Draghi senza Draghi” è così un chiaro sintomo del declino epocale della politica, della democrazia. Il Parlamento, infatti, è ridotto a una folle banderuola di volta gabbana, poltrone, giuramenti, editti. Fenomeno riguardante non più – come una volta – solo i cosiddetti peones, ossia, l’onorevole ignoto, le figure di secondo piano, ma i leader e le personalità più strette intorno a loro. Calenda è solo l’ultimo esempio, ma l’elenco sarebbe qui troppo lungo e non risparmierebbe proprio nessun partito e loro uomini e donne di spicco.

La Tecnica, quale sempre più dominante apparato planetario, e nel caso di Draghi la turbo-tecno economia finanziaria, aspira ormai non al governo di popoli e Paesi, ma alla “governance” monetario-amministrativa globale e ne detta modalità, regole e forme. Il romantico, quanto antiquato galateo politico-democratico, è per tale motivo anch’esso sempre più una Cartagine rasa al suolo.

Di questo, però, non abbiamo paura, anzi, lo accettiamo o a esso ci rassegniamo come stato di fatto ineluttabile. La politica, la democrazia si mostrano ormai come un fatto meramente estetico, relegato nei recinti innocui di anime esteticamente e materialmente agiate.

Ma come ebbe ad affermare proprio Mario Draghi, nell’ambito di un board internazionale che presiedeva prima di essere chiamato a Palazzo Chigi, ciò prevede molte e dolorose distruzioni. La chiamò, anzi: distruzione creatrice. Un ossimoro anche questo, come quello di un’agenda, senza il titolare dell’azione politica. Malgrado questo, però, le due diverse  opposizioni qualcosa in comune lo hanno: la loro agenda – ossia modi e tempi dell’agire – è in maniera sincronica e convergente  spietata.

di Riccardo Tavani

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